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Professioni sanitarie. Sinergia o complementarietà?

di Angelo Papa

30 GEN - Gentile Direttore,
ho assistito con un certo interesse al dibattito riportato nelle vostre pagine, rispetto alla neo definizione di competenze professionali in ambito sanitario, in particolare nel settore infermieristico. Inevitabilmente sono emerse preoccupazioni corporative, accanto a precisazioni di natura giuridica e alle ragioni di chi si occupa di programmare modelli più funzionali alla mission del SSN. Per quanto autorevoli ed importanti siano stati i contributi offerti, l’analisi svolta fino adesso, mi sembra che non tenga in sufficiente conto degli aspetti disciplinari culturali, che per certi versi sono alla base delle criticità paventate e allo stesso tempo rappresentano la loro possibile soluzione.

Per prima cosa va fatta una precisazione, che per quanto banale sembra essere spesso causa di equivoci, determinando un possibile dialogo tra sordi. Il superamento del concetto di unicità disciplinare in sanità è un fatto consolidato, che trae origine storiche dalla caduta dell’impero romano d’occidente. Oggi non esistono solo varie professioni, si sono sviluppate soprattutto varie discipline scientifiche sanitarie, di cui la “medicina” rappresenta sicuramente la componente di maggiore rilievo.

Ogni disciplina ha un proprio oggetto e ambito di competenza esclusivo. Per la medicina, per quanto i giudici della Cassazione si siano espressi diversamente, vi è un proprio ambito, rappresentato di fatto da quando contenuto nel sistema ICD. Perciò, la rivendicazione di esclusività diagnostica e prescrittiva fatta dai medici rispetto a tale ambito, mi sembra che abbia una sua piena legittimità.

Una conferma della correttezza di questa impostazione sul piano giuridico ci viene fornita dal secondo comma dell’art. 1 della legge 42/1999 citato nell’articolo di Luca Benci. Esiste un “criterio limite” dato dal rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.

E' anche vero che la diversa competenza disciplinare non evita in modo assoluto aree di limitata e minima sovrapposizione, anche perché l’individuo non è frammentabile in sezioni. Si tratta comunque di aree talmente limitate da risultare facilmente gestibili, se tutti evitassero “fughe egocentriche”.

Il rispetto reciproco delle specifiche competenze, tanto meno, ci autorizza a considerare le competenze, di ciascuna professione, come cristallizzate. Una chiara indicazione in tal senso emerge dall'art. 16-bis del DLGS 229 /1999 avente per titolo la Formazione continua. Al comma 1 sono definiti in modo distinto l'aggiornamento professionale e la formazione permanente.

L'aggiornamento professionale è l'attività' successiva al corso di diploma, laurea, specializzazione, formazione complementare, formazione specifica in medicina generale, diretta ad adeguare per tutto l'arco della vita professionale le conoscenze professionali. La formazione permanente comprende le attività finalizzate a migliorare le competenze e le abilità cliniche, tecniche e manageriali ed i comportamenti degli operatori sanitari al progresso scientifico e tecnologico con l'obiettivo di garantire efficacia, appropriatezza, sicurezza ed efficienza alla assistenza prestata dal Servizio sanitario nazionale.

Il concetto di miglioramento delle competenze va oltre all’adeguamento. Si pone il problema di costruire comportamenti capaci di assicurare appropriatezza, sicurezza ed efficienza all’assistenza prestata. Ne emerge un chiara attenzione ai  modelli operativi .

Quindi quando parliamo di rivisitazione delle competenze in termine di ampliamento o miglioramento (il termine “superiori” mi sembra improprio), adottiamo una misura di normale adeguamento, tra l'altro già prevista nell’ordinamento.

La questione, tuttavia presenta un possibile elemento di criticità, che in questo dibattito non mi sembra chiaramente esplicitato. Nei rapporti interprofessionali si sono affermate, oltre alle condizioni di sinergia tra discipline diverse, anche condizione di complementarietà professionale, spesso in una logica di ottimizzazione.

Per decenni gli infermieri hanno assicurato, per esempio, interventi sinergici (cioè di natura assistenziale) accanto ad interventi complementari (vedi la somministrazione dei medicamenti, triages ecc).

In ragione di questa evidenza è logico supporre che ci possano essere margini di miglioramento di competenze per gli infermieri tanto in ambito della sinergia (intradisciplinare), quanto in quella della complementarietà (extradisciplinare). Tuttavia i due percorsi di miglioramento (l’intradisciplinare e l’extra disciplinare), non possono essere considerati simili. Le implicazioni conseguenti sono diverse.

La rivisitazione delle competenze potrà essere espressa in termini assoluti, cioè senza condizionamenti o vincoli, se investe l’ambito di capacità disciplinare propria. In questo caso la condizione di necessità è dettata esclusivamente dall’evoluzione scientifica e tecnologica.
Se, invece, il miglioramento delle competenze investe un ambito di complementarietà, quindi agiamo su un ambito extradisciplinare, la sola evoluzione scientifica, tecnologica non bastano per giustificarla. Tale miglioramento deve essere sostenuto anche da un’esigenza operativa di ottimizzazione e va vincolata a queste specifiche condizioni di esercizio.

Dato che il sistema di miglioramento delle competenze rappresenta un’importante opportunità per ottimizzare il nostro sistema sanitario, la mancata attuazione del processo di miglioramento delle competenze determina un chiaro danno per i cittadini.

Occorre, quindi, che i vari soggetti coinvolti nella discussione facciano lo sforzo di adottare criteri di lettura comuni. Distinguere gli ambiti sinergici e da quelli complementari, mi sembra che rappresenti il primo passo per costruire una relazione fondata sulla chiarezza e sulla reciproca comprensione.

Angelo Papa
Fisioterapista

30 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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