Gentile direttore,
il dibattito sulla sanità pubblica del nostro Paese che anima questo giornale, e che ormai è in testa alle preoccupazioni sia dei cittadini che della politica (vedi il primo posto dato alla sanità nei 5 punti prioritari del progetto per l’Italia della Segretaria del PD Elly Schlein), colloca giustamente al centro il tema delle risorse umane. All’interno di questo tema la priorità viene giustamente data innanzitutto alla carenza e all’inadeguato trattamento economico del personale e poi sempre più al tema della violenza sugli operatori. Ritengo che accanto a questi problemi vada data priorità anche alla lotta alle inefficienze nell’utilizzo delle risorse umane all’interno del Ssn. Le motivazioni di questa proposta sono banali e scontate: gli incrementi del finanziamento del Ssn, il ritocco dei tetti di spesa del personale e il miglioramento dei salari che ci possiamo aspettare nei prossimi anni non basteranno mai se alle maggiori e meglio pagate risorse umane non si farà corrispondere un loro migliore utilizzo. E qui i margini di miglioramento sono notevoli, ovviamente con importanti differenze tra Regione e Regione e spesso all’interno della stessa Regione.
Le cause strutturali (e cioè presenti in varia misura in tutte le sanità regionali per problemi di fondo di diversa natura) delle maggiori inefficienze (a volte addirittura veri e propri sprechi) nell’utilizzo delle risorse umane del Ssn possono essere a mio parere raggruppati in almeno tre grandi tipologie:
Siccome credo nel detto milanese (come del resto faceva il grande Gianni Brera) “Ofelè fa el to mesté!” e cioè letteralmente “pasticcere fa il tuo mestiere”, mi occuperò della prima tipologia di inefficienze, quelle “da campanile”. Queste per chi le sanità locali le conosce da vicino hanno un peso importante, che a volte diventa addirittura enorme. Il primo e più importante capitolo in tema di inefficienze “da campanile” è quello che tratterò ancora un volta qui su Qs della frammentazione delle strutture ospedaliere pubbliche. Quando si parla di questo tema scatta un cortocircuito e la mente corre subito al ruolo e al peso dei “piccoli ospedali”, che in realtà sono solo una delle forme in cui questa frammentazione si manifesta. In molte realtà regionali, come quella delle Marche che conosco bene, un peso importante in termini di impatto sulla efficienza nell’utilizzo delle risorse umane e sulla qualità complessiva delle attività ospedaliere è esercitato dall’eccessivo numero di strutture ospedaliere pubbliche con attività per acuti comprensive di quelle del Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA). Diverse di queste strutture sono relativamente vicine tra loro e sarebbe sensato nel tempo integrarle strutturalmente passando per una fase di integrazione funzionale che riduca al minimo e gestisca al meglio le duplicazioni, come sarebbe sensato ricondurre il funzionamento dei “piccoli ospedali” delle aree interne ad attività a prevalente orientamento alla gestione della cronicità riacutizzata. Se mai ce ne fosse bisogno ripeto ancora una volta (e me ne scuso) alcune delle motivazioni clinico-organizzative per cui la frammentazione delle reti ospedaliere pubbliche per acuti va governata e contenuta:
Prima di tentare una stima o almeno qualche esemplificazione del peso di questa frammentazione, conviene fare qualche riflessione sulle motivazioni della scarsa popolarità della lotta alla frammentazione delle reti ospedaliere pubbliche non solo tra i cittadini, ma anche tra gli addetti ai lavori comprese le loro rappresentanze sia di tipo sindacale che scientifico. I cittadini dimostrano la loro posizione attraverso i moltissimi “Comitati per la difesa dell’ospedale di…”, mentre tra gli addetti e quelle che ho chiamato le loro rappresentanze il richiamo va molto più spesso al taglio del numero dei posti letto e del numero degli ospedali piuttosto che non alla necessità di lavorare alla razionalizzazione della rete ospedaliera. L’atteggiamento dei cittadini nei confronti degli ospedali e la spinta verso una loro difesa a oltranza è comprensibile: l’idea che la tutela della salute avvenga soprattutto in ospedale ha radici profonde come testimoniato triade programmatica “case, scuole, ospedali” cara a Giuseppe Saragat. Molto meno comprensibile, almeno ai miei occhi, è la tendenza tra gli addetti ai lavori a non includere tra le misure urgenti in difesa del Ssn la razionalizzazione delle reti ospedaliere pubbliche.
Ma quanto pesa in effetti il fenomeno della frammentazione della offerta ospedaliera? Come noto a tutti, anche se non da tutti apprezzato, la programmazione delle reti ospedaliere pubbliche ha un riferimento normativo nel Decreto Ministeriale (DM) 70 del 2015. Questo Decreto fissa una classificazione delle diverse tipologie di ospedale e un bacino di utenza di riferimento per ciascuna di esse e per ciascuna disciplina per cui può essere utilizzato come riferimento nella analisi della offerta ospedaliera nelle varie Regioni. Abbastanza curiosamente una valutazione di impatto della applicazione del DM 70 in Italia non è però mai stata fatta né dall’Agenas né dal Ministero della salute. L’unico tentativo a mia conoscenza è quello fatto alcuni anni fa dal mio amico Marcello Bozzi che in una sua lettera a QS e nello studio allegato alla stessa utilizzando i dati dell’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale edizione 2019 con i dati 2017 aveva stimato pari a 600 le unità di degenza in più rispetto agli standard di riferimento del DM 70 in termini di bacino di utenza minimo per le diverse discipline. In realtà, come riportato dallo stesso Bozzi nella lettera, la stima è approssimata per difetto vista l’abitudine di molte Regioni ad aggregare nei flussi ministeriali che alimentano l’Annuario Statistico del Ssn più stabilimenti in una unica struttura, come ho già avuto modo di commentare qui su Qs. Conosco però bene la realtà ospedaliera delle Marche e quindi la utilizzerò letteralmente come caso di scuola del rischio di irrilevanza cui è stato ridotto il DM 70, che ho trovato qui brillantemente definito come “ciò che è paradigmatico di una situazione, con ciò prestandosi alla reiterata applicabilità di un modello”. Mi fermo un attimo per ricordare a me e a chi ha avuto la pazienza di leggere almeno fino a qui che per una volta il mio focus sulle Marche è solo esemplificativo di un rischio, quello che le Regioni vadano a ruota libera sulla programmazione e gestione delle reti ospedaliere pubbliche quando è verosimile che le stesse siano fonte di importante “spreco” di personale sanitario, uno spreco oggi inaccettabile.
Il nostro caso di scuola, le Marche, hanno una situazione che poi sinteticamente descriverò la cui interpretazione richiede una conoscenza minima del DM 70, della popolazione della Regione (circa 1.500.000 abitanti) e della sua struttura geografica e sociale rispetto alla quale ricordo solo la concentrazione della popolazione e degli ospedali lungo la costa o nelle immediate vicinanze e la presenza di aree interne lungo la dorsale appenninica povere di strutture sanitarie. Ultima informazione: dopo decenni di governo regionale del centrosinistra nel 2020 il centrodestra trainato da Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni con un programma tutto centrato sulla riapertura dei piccoli ospedali e la lotta a qualunque forma di razionalizzazione della rete ospedaliera “in ossequio” al DM 70. Ed ecco la situazione attuale della rete degli ospedali delle Marche:
Ovviamente in questa situazione i servizi territoriali delle Marche soffrono di una grave carenza di personale, sia ad esempio che si parli di consultori, che di assistenza domiciliare o di salute mentale. Cosa ci dice il caso di scuola delle Marche? Che è perfettamente possibile che una Regione programmi una rete ospedaliera frammentata e per sua natura a rischio non solo di inefficienza, ma anche di sicurezza (gli ospedali delle Marche si reggono ampiamente sulle cooperative in particolare nei Pronto Soccorso e nei Punti Nascita), e che costruisca su questa rete il proprio programma di edilizia ospedaliera senza che tutto questo intercetti i sistemi centrali di controllo. Questi in teoria esisterebbero, come il Tavolo interministeriale per il monitoraggio dell’applicazione del DM 70 che ogni tanto, ma sempre meno spesso, emerge dalle pagine di Qs (l’ultimo avvistamento risale a una riunione del febbraio 2022) e il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Ministero della salute. Nel sito del Ministero si dice che questo Nucleo “dovrà verificare che i contenuti dei Programmi siano coerenti con gli atti di programmazione regionali adottati o da adottare per la riorganizzazione di servizi ospedalieri, in attuazione del D.M. 2 aprile 2015, n. 70” e che rientrano nella sua sfera di azione anche gli “interventi di realizzazione di nuovi ospedali e progetti di ristrutturazione ivi compresi quelli realizzati mediante capitali privati (PPP)”. Sempre nel sito del Ministero si legge che il Nucleo può fornire un supporto tecnico alla valutazione ex ante di progetti e programmi di investimento. Certamente la Regione Marche non ha chiesto alcun supporto tecnico al Nucleo così come quasi certamente non ha sottoposto i suoi atti di riordino della assistenza ospedaliera e di programmazione della edilizia ospedaliera ai citati organi ministeriali.
Io credo che sia sbagliato evitare di affrontare il nodo della applicazione e revisione del DM 70, nodo che compare e scompare dallo scenario del dibattito sul Ssn nonostante sia chiaro a tutti, compreso il Ministro Schillaci, che oltre ad avere bisogno di più risorse il Ssn ha bisogno di usarle meglio. E usarle meglio passa innanzitutto dalla razionalizzazione delle reti ospedaliere regionali, notoriamente componente energivora ed esuberante dei sistemi sanitari regionali. Invece il trauma della pandemia sembra avere rallentato, o meglio bloccato, sia il percorso di verifica della applicazione del DM 70 che il percorso della sua revisione, che già nell’ottobre del 2021 aveva portato ad una sorta di bozza che qui su Qs era stata presentata e commentata. Da allora si è istituito più di un anno fa quel tavolo di lavoro sui DM 70 e 77 che nulla ha prodotto e nulla di buono può produrre, come ho già ricordato poco tempo fa. Riaprendo la pubblicazione di Qs lo scorso 2 settembre il Direttore tra le sfide che attendono la sanità nel prossimo autunno non ha messo la revisione del DM 70 e il tema della razionalizzazione della assistenza ospedaliera nel Ssn. Bene, Direttore, rilanciamola questa sfida!
Claudio Maria Maffei