Gentile Direttore,
sul delicatissimo tema delle violenze ed aggressioni ai sanitari, penso possa essere di interesse comune un articolo pubblicato lo scorso 22 febbraio su Jama di cui riporto i punti che più mi sembra presentino facili e rilevanti collegamenti con l’attuale situazione italiana.
Gli Autori (Università di Harvard) esordiscono con i dati secondo cui negli Stati Uniti gli operatori della sanità hanno 5 volte più probabilità di essere sottoposti a violenze rispetto ad altri lavoratori e queste rappresentano il 70 % di tutte le violenze non fatali registrate nei luoghi di lavoro; sono aumentate nell’ultima decade ed uno studio nazionale mostra un aumento del 119% tra il Marzo 2021 e Marzo 2022 per il personale infermieristico. Sono poi descritti alcuni episodi tragici, da leggere, qui non trattabili per esigenze di spazio.
Si legge poi un’interessante classificazione degli eventi violenti del National Institut for Occupational Safety and Health (NISH), agenzia federale che compie ricerche e offre raccomandazioni per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono descritti quattro tipi di violenza. Il tipo 1 comprende attacchi criminali commessi da chi non è in contatto o collegamento con il luogo di lavoro. Il tipo 2 riguarda le violenze nel luogo di lavoro perpetrate da clienti o utenti. Nel tipo 3 la violenza è esercitata da lavoratori contro lavoratori. Il tipo 4 è una violenza che deriva da una relazione personale al di fuori dell’ambiente di lavoro che si riflette al lavoro. Di solito gli attacchi di violenza ai sanitari ricadono nella categoria due, in quanto gli assalitori sono spesso individui prive di relazioni con l’ospedale oppure sono pazienti o familiari che diventano violenti mentre ricevono assistenza.
Tra le cause ipotizzate di questo aumento generale della violenza, una è la frustrazione generale provata dai pazienti verso i servizi sanitari. Spesa elevata, trattamenti limitati, o lunghe attese possono scatenare le aggressioni. La riduzione del personale, per cui ci sono meno sanitari per paziente, potrebbe essere una causa che si esprime in due direzioni: la prima, gli operatori sono meno capaci di valutare i pazienti potenzialmente problematici; la seconda, dato il tempo ridotto e la relazione più debole con i pazienti, gli sforzi per ridurre la violenza possono non essere efficaci.
Infine, tre mie brevi considerazioni: 1) un sistema totalmente privato come quello USA non è indenne dal problema, anzi. 2) gli operatori vanno protetti con risorse, ritmi e tempi di lavoro “giusti” (inclusi i salari), formazione continua. 3) In generale, dobbiamo riuscire a realizzare Società meno repressive e più efficacemente inclusive, con riduzione delle disuguaglianze sociali, sollievo dalla paura.
Paolo Da Col