La salute in vendita?
di Giuseppe Amato
01 MAR -
Gentile Direttoreriprendo volentieri
le riflessioni di Paolo Da Col riguardo la crisi del Ssn e le difficoltà a concepire una valida riforma della sanità (
Riforma della sanità. Sì, ma su quali basi? Certamente non quelle del neoliberismo ora imperante -
Quotidiano Sanità). Sono orientate, mi sembra, a mettere in discussione un “sistema dominante” in mano a una minoranza che, per incamerare profitti, non esita a creare confini, disuguaglianze e danni alla salute delle persone.
Ma cosa c'entra la salute con i confini?
I Romani usavano parole diverse per descriverli: “limen” la soglia della domus e “limes” come barriera. Inclusivo il limen, esclusivo il limes. Michel Foucault definiva il confine “dispositivo spaziale che regola e dispone il rapporto tra dentro e fuori, tra inclusione ed esclusione”. Per quanto astratto evoca barriere. Oltre che geografici e politici, i confini sono pure psicologici, sociali. Sono demarcazioni di disuguaglianze e detenzione. Come sanitari non possiamo scordare l'affinità tra confine, carcere e manicomi. Erano luoghi isolati, in cui mura, sbarre, porte chiuse sancivano un dentro e un fuori. Un confine che divideva un mondo utopico di persone cosiddette normali e gli individui da escludere dal contesto sociale.
Eppure, secondo Foucault, la collettività stessa è reclusa a sua volta in un ampio "sistema carcerario" che coinvolge istituzioni della vita quotidiana come ospedali, scuole, luoghi di lavoro. Il filosofo francese si riferisce a un “sistema” di sorveglianza totale e di controllo, che accettiamo senza opporre resistenza. Difficile non richiamare alla mente le suggestioni di
1984 di George Orwell,
Il mondo nuovo di Aldous Huxley,
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.
Sono opere letterarie che descrivono scenari distopici, volutamente estremizzati, ma paragonabili a quanto è successo nel nostro mondo quando, dagli anni Novanta del secolo scorso, si è imposta la “globalizzazione”. Il pianeta ha dovuto adeguarsi a leggi e principi funzionali alla libera circolazione delle merci, veicolati da una pervasiva rete virtuale che ha sopito ogni spirito critico. I nuovi “stili di vita” hanno smontato certezze e valori del passato, dal welfare alla politica, ai concetti della vita e della morte. Il risultato è la crisi dello Stato e delle ideologie e lo smarrimento dei singoli individui. Tutto è diventato labile, tanto che Zygmunt Bauman ha definito “liquido” lo stato della società in questa nostra epoca. Ma in una società “liquida” che vive per il consumo tutto si trasforma in merce in balia del profitto, incluso l’uomo e la salute.
Ampliando le riflessioni di Da Col, ritengo che tale processo, nell'ambito sanitario, si sia tradotto nel “curare solo malattie” rispetto al “prendersi cura delle persone” dato che la prima opzione genera profitto. La medicina che cura persone dà valore alle relazioni umane, migliora la qualità della vita e fa solo le cose che ritiene necessarie, talvolta nulla. Fornisce servizi utili alla comunità, ma non privilegia il profitto. La medicina che cura malattie ripara organi, come fossero pezzi guasti di una macchina, utilizzando farmaci, esami e strumentazioni molto costose. Come si dice oggigiorno, converte in capitale il “valore estraibile” dalla salute del maggior numero possibile di esseri umani. È bene ricordare che si produce valore quando si creano beni, materiali e immateriali, si inventano medicine, si offrono servizi. L'estrazione di valore, invece, fa sì che quelli essenziali come assistenza sanitaria, previdenza sociale, difesa dell'ambiente, escano dal circuito del welfare. Tutto ciò che va contro tale scopo viene eliminato o, quanto meno, corretto.
Gli esempi sono numerosi. Per il teologo Hans Küng “Il diritto di vivere è stato sostituito dal dovere di vivere”. Stando al
Rapporto della Commissione Lancet sul valore della morte del 2022: “Il modo in cui le persone muoiono è cambiato radicalmente nelle ultime generazioni... La morte e il morire si sono spostati dall'ambito familiare e comunitario all'ambito dei sistemi sanitari... Un trattamento inutile o potenzialmente inappropriato può continuare fino alle ultime ore di vita”. In questo modo la sanità fornisce prestazioni mediche come risposta a bisogni o incertezze, anche esistenziali, e noi medici prescriviamo indagini e terapie la cui necessità è discutibile. In pratica, vita e morte sono diventate nuove frontiere per un consumismo senza limiti.
Oggi nella sanità molte prassi ergono barriere, confini e alimentano il meccanismo di una pervasiva “estrazione di valore”. Elevare a mo' di totem decisore sovrano dei percorsi sanitari il software del CUP, e non le necessità dei malati; spacciare per appropriata e realistica la narrazione distopica delle normative burocratiche; utilizzare l'epidemiologia come indicatore di costi, ritardi, carenze e non uno strumento per influire sul corso delle malattie; non garantire omogeneità tra ospedale e territorio, tra pubblico e privato; separare gli aspetti sanitari da quelli sociali, fa del sistema sanitario un insieme di frontiere che mortifica le persone reali, portatrici di bisogni e fragilità. Accomuna il loro destino, alla fin fine, a quello dei popoli migranti.
Nell'ideale di una salute “senza confini” deve prevalere la garanzia dei diritti umani rispetto agli asseriti principi del neoliberismo della libera circolazione del lavoro, delle merci e dei capitali. È una sfida, ma non solo. Sarebbe una misura di civiltà, un giusto recupero dell'ormai obsoleto concetto dell'OMS che dichiara: “La salute è una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l'assenza di malattia o infermità”.
Dobbiamo abbandonare tutto ciò che nella nostra medicina ci induce a considerare gli uomini come strumenti e non persone. Eppure, attualmente facciamo ben poco per modificare la situazione perché la nostra coscienza è stata anestetizzata. La nostra mente è prigioniera di una logica assoggettata agli interessi della classe dominante. E questa, non ha confini.
Giuseppe Amato
01 marzo 2024
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