Gentile Direttore,
di fronte a fatti come l’omicidio di Diego Rota, avvenuto a Martinengo, piccolo comune della bergamasca, per mano della moglie Caryl Menghetti che sembra si trovasse in stato confusionale, nulla si dovrebbe dire se non stringersi, almeno idealmente, a quanti rimangono coinvolti da questo ennesimo evento di “follia quotidiana”. Lasciando, se ce ne saranno le ragioni, agli inquirenti il compito di individuare gli eventuali addebiti giudiziari e deontologici.
Sennonché la Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Emi Bondi, con una azzardata manovra argomentativa, tenta di costruire una stramba relazione fra l’accaduto e il recente finanziamento della Regione Lombardia alla Legge sullo “Psicologo delle Cure Primarie”. Sui media (vedi Corriere della Sera del 27.1.24), a commento del fatto, viene riportata la seguente affermazione: “Stanno aumentando a dismisura i pazienti che hanno problematiche e stanno diminuendo in maniera esponenziale gli psichiatri […] in compenso in Lombardia dove mancano 300 psichiatri, abbiamo visto trovare immediatamente i soldi per lo psicologo di comunità”. La nostra “olandese volante” quindi, con sforzo equilibristico non indifferente, sembra tentare di far passare la tesi per cui se ci fossero più psichiatri invece che psicologi si potrebbero fronteggiare meglio tali situazioni.
Vediamo di approfondire la vicenda con qualche dettaglio in più. Dai media si apprende che la donna era stata visitata da uno psichiatra dell’Ospedale di Treviglio la mattina, quando il marito l’aveva accompagnata, sembra, in stato delirante. Si legge che veniva dimessa il pomeriggio con una prescrizione farmacologica e con l’invito di rivolgersi al proprio medico di base. La stessa, ritornata a casa, uccideva nella notte il marito con diverse coltellate. Il coltello veniva facilmente ritrovato, la signora non si opponeva all’arresto ma intanto due vite, quella del marito e quella futura della figlia di 5 anni che dovrà crescere con questo danno irreparabile, sono andate perdute.
Tante sono le domande e le congetture specialistiche che si possono fare e che si faranno attorno a questa tragedia ma intanto, penso, che tutti noi ci chiederemo: cosa non si è fatto, piuttosto che, chi mancava. Ribaltando in un certo qual modo la tesi della Presidente Bondi. Si legge anche che la donna nel 2020 fosse stata ricoverata presso lo stesso SPDC in regime di TSO e quindi dimessa con la relativa terapia farmacologica e molto probabilmente con l’invito di rivolgersi al proprio CPS di competenza. Quindi, verosimilmente, la paziente era già conosciuta al Servizio. Mi pare dunque che la psichiatria in questo caso non sia proprio mancata. Mi chiedo però: da allora, la donna avrà continuato la cura al CPS, così come penso le sia stato suggerito? avrà dunque seguito la terapia farmacologica prescritta? qualcuno l’avrà monitorata? sarà stata presa in carico da un terapeuta? Speriamo di sì; anche se sappiamo che questa continuità di cura non è sempre garantita e ciò non è a causa della cronica mancanza di psichiatri; gli infermieri, infatti, dove sono? e le assistenti sociali? e gli psicologi?
Non voglio però continuare in questa direzione, non ho pensieri di “qualche tipo” su condotte inappropriate o carenti, ed anzi va agli operatori coinvolti in tale vicenda tutta la mia più sincera vicinanza. E dopo 40 anni di vita professionale trascorsa in psichiatria so perfettamente come certe sciagure hanno cause complesse ed è praticamente impossibile individuarne una o una più importante di altre. Purtuttavia, dallo stesso vertice osservativo, non posso non chiedermi: quale continuità c’è stata col Territorio? E addirittura, chissà se prima di quel TSO, la signora avesse potuto contare su un servizio di rete a lei più prossimo, come ad esempio le citate Case di Comunità? Forse avrebbe potuto incontrare uno di quegli Psicologi di base, finanziati recentemente dalla Regione Lombardia, che l’avrebbe potuta ascoltare e magari aiutare a decidersi di farsi curare, invitandola a contattare il suo CPS anziché arrivandoci in maniera costrittiva.
L’istituzione dello Psicologo di base è fra le più importanti novità espresse in materia di sanità territoriale. La crisi pandemica ha slatentizzato una domanda di cura psicologica che ha riguardato e continua a riguardare strati diversi di popolazione per età, per estrazione sociale e anche per gravità. L’utente in questione, non è necessariamente un paziente “adatto” ai Servizi tradizionali che trattano solitamente la grande sofferenza psichica, psichiatrica e neuropsichiatrica, consultorile o da addiction; e nemmeno infatti, questo tipo di paziente si riconosce “utente” di tali presidi. Quindi lo Psicologo di base non sostituirà lo psicologo che già opera nei Servizi dei Dipartimenti di Salute Mentale e nemmeno gli psicologi che prestano la loro opera nei Consultori, figuriamoci gli psichiatri!
Alla Presidente Bondi mi permetterei di far osservare infatti che non è una strategia vincente (ma per nessuno, nemmeno per l’utente), quella di tentare di dequalificare altre figure professionali per mettere in risalto la propria. Sappiamo bene che la Sanità pubblica è sottofinanziata e ancor di più la Salute mentale, e che la domanda di cura è aumentata mentre le risorse messe a disposizione no. Sappiamo anche che la popolazione interessata da problematiche psichiche sfiora ormai le 800 mila unità ecc., ma ci si deve anche chiedere perché più del 39% dei pazienti psichiatrici entro un anno abbandona la cura farmacologica o perché il paziente sintomatico ritarda tanto prima di rivolgersi a uno specialista o perché il 25% della popolazione generale che soffre di disturbi psichici cerca unicamente nel medico di famiglia una risposta ai suoi problemi e solo l’1-2% si rivolge ai Servizi.
Insomma, il problema di come dare risposte utili all’utenza che si rivolge a noi sembra superare la semplice denuncia di carenza di una determinata figura professionale, né tanto meno la “guerra fra poveri” può dare vere soluzioni ai professionisti della salute.
Franco Merlini