Gentile Direttore,
il grido di dolore e sofferenza di medici e personale sanitario si ode sempre più forte, si accompagna a scelte personali più o meno dolorose (abbandono del lavoro, trasferimento da pubblico a privato, emigrazione) e risuona in un silenzio vociante di soluzioni. Questo malessere deriva, in parte, dalla retribuzione, percepita dai più come inadeguata per impegno e/o responsabilità; non bastasse, medici e professionisti sanitari, sono sollecitati a lavoro straordinario o a prestazioni aggiuntive, per senso di responsabilità e/o interesse/necessità di integrazione economica.
Avremmo potuto fare diversamente? Si, operando con programmazione di medio e lungo periodo, quella che avrebbe potuto prevedere per il Ssn un contributo privato integrativo, con una governance pubblica forte, piuttosto che l’attuale deriva strisciante che muove verso il sostitutivo, e che nel mondo delle professioni poteva modificare un modello organizzativo ed universitario invariante al mutare dei bisogni degli assistiti ed alla evoluzione formativa dei professionisti sanitari. Tempo scaduto. Eppure, le idee non sono mancate, ma per realizzarle servono alcuni adeguamenti normativi, regolamentari, contrattuali; serve soprattutto l’accordo tra tutti i portatori di interesse.
L’interesse, gli interessi. Proviamo ad immaginare che volendo preservare il Ssn, si decida di impegnarsi per retribuire meglio medici e professionisti sanitari. In un sistema che dispone di risorse economiche definite, è ingenuo/ipocrita pensare che si possano aumentare significativamente gli stipendi nel quadro macroeconomico attuale, come dimostrano i recenti Ccnl. Dovremmo quindi immaginare che per retribuire adeguatamente i medici questi dovrebbero essere ridotti di numero; se così fosse dovremmo aver cura di impiegarli ottenendone il massimo valore e garantendo loro piena gratificazione, affidando alcune attività ad altri professionisti. I professionisti sanitari, nonostante gli ultimi due Ccnl abbiano aperto alla realizzazione della visione della L 43/2006 (17 anni!), continuano ad avere una busta paga che valorizza le ore lavorate piuttosto che il contributo professionale.
Anche in questo caso il numero complessivo del personale coinvolto è così alto, seppure espressione di distintive e forti carenze rispetto alle necessità degli assistiti, da rendere difficile ipotizzare, realisticamente, un aumento retributivo importante; quindi, anche nei professionisti sanitari, negli infermieri, dovremmo prevedere che una parte, 25/ 30% fosse, in virtù di competenze e formazione, dal Master di 1 livello alla laurea magistrale clinica (se ne parla, invano, dal 2007), inserito nelle ‘nuove organizzazioni’ con responsabilità maggiori e corrispettivo retributivo adeguato. Nella revisione del modello organizzativo il personale OSS dovrebbe avere diversa considerazione, traendo suggestioni di prospettiva da scelte del passato: la formazione complementare. Progettando diversi indirizzi di formazione complementare, ruoli ad alta standardizzazione e/o ad elevato contenuto tecnico potrebbero trovare nell’OSS fc l’operatore più appropriato.
Così, attraverso la specializzazione in Medicina interna e d’emergenza, si costituirebbe l’ambito di formazione dei Medici Interni, Medici EU, MMG e, magari, degli hospitalist: una specializzazione che consenta al medico di poter scegliere una carriera che mantiene congruenza con l’avanzare dell’età: dagli interventi in elicottero dell’età giovanile, al lavoro di prevalenti feriali nelle degenze o negli ambulatori dell’età matura. I chirurghi sarebbero chiamati ad intervenire solo nei momenti di maggior valore, decisionali ed interventisti, gli anestesisti sarebbero impiegati nei casi più complessi. In ospedale, in prossimità delle aree operative, uno staff di operatori amministrativi presidierebbe le necessità degli assistiti e dei professionisti. Attraverso un diverso approccio alla cronicità, in congruenza coi bisogni dei cittadini, il MMG, massimalista a 3.000 assistiti, lavorerebbe supportato da amministrativi ed in sinergia con Ife/oC e gli altri professionisti sanitari, impegnati con logica di responsabilità primaria in relazione al tipo di problema prevalente, con gli OSS impiegati in assistenza domiciliare. Stesse riflessioni potrebbero esser fatte per i professionisti tecnico sanitari, fisioterapisti e dietisti tutti in interdipendenza virtuosa con medici e tecnologia.
Una innovazione che preveda meno medici, retribuiti meglio, carriere diversificate e stratificate per tutti i professionisti sanitari, tutti con le mani libere, per dare di più, per fare meglio, insieme. Magari alcune esemplificazioni sono urticanti, forse ciascuna dovrebbe essere limata e revisionata, ma il senso dovrebbe essere chiaro: Università pronta a cogliere le necessità di sistema, organizzazioni culla dell’innovazione, parti sociali coese nella difesa del sistema sanitario pubblico, nella valorizzazione dei professionisti, e quest’ultimi ingaggiati in logica sfidante, motivati dalle diverse opportunità di carriera, uniti a sollecitare un cambiamento del modello organizzativo, che oggi fa tutti demotivati se non arrabbiati. Tempo scaduto. Nel frattempo, procedendo senza mai alzare lo sguardo, si aumenta il numero degli ammessi alla Facoltà di Medicina dove i docenti di infermieristica sono sparuto gruppo, i dirigenti delle professioni sanitarie sono gli unici senza indennità di esclusività, l’infermieristica perde attrattività nei giovani e non è riconosciuta come autonomo livello essenziale di assistenza.