Gentile Direttore,
sulla scorta della riflessione di Silvestro Giannantonio che ringrazio, mi permetto di aggiungere la mia, partendo da un aneddoto. Si narra che nel 1984, durante una tournée dei Rolling Stones, un esuberante Mick Jagger avesse svegliato con una telefonata Charlie Watts urlandogli al telefono “Dov’è il mio batterista? Muoviti!” Il solerte, equilibrato e impeccabile Charlie (estraneo agli stravizi) si alzò, si fece la barba, si vestì in completo e cravatta e scese in hotel da Mick Jagger. Appena questi aprì la porta, Charlie gli rifilò un diretto al volto e lo atterrì, sottolineando con fermezza: “Io non sono il TUO batterista. Casomai, tu sei il MIO cantante”.
Scaramucce e amenità da rockstar a parte, ho sempre pensato che in fondo questo aneddoto sia emblematico. Ogni membro dei Rolling Stones non era a servizio degli altri. Non c’erano solisti con accompagnamento al seguito. Ciascuno era rispettivamente il cantante, il chitarrista, il bassista o il batterista dei Rolling Stones.
Detto ciò, per analogia (e senza passare per le vie di fatto - mai e poi mai!) io amo pensare che se anche sono “solo” infermiere, sono l’infermiere del, anzi, nel team che in una particolare situazione ha affrontato il problema di salute di una persona e con la persona.
Potrei essere l’infermiere del caso Tizio Caio (come potrebbe esserci l’ortopedico o l’ostetrica). Ma suonerebbe molto come il titolo dei romanzi gialli.
Anche la dicitura “il mio infermiere” o ancor più “la mia infermiera” mi rammenta la letteratura d’appendice dove la contessa non si separava mai dalla propria “infermiera” (ovviamente nubile, più simile a una domestica/badante che a un professionista sanitario).
Potrei essere anche l’infermiere dell’equipe del professor Sempronio (chissà perché…sempre al maschile, e sempre “professore”…). Ma questo lo diceva mio nonno ai tempi verticistici dei “luminari”.
Potrei esser infermiere del pronto soccorso-118, ma sono stato anche altro, e ringrazio ogni realtà in cui ho lavorato per l’esperienza fornitami.
Potrei, come suggerisce Silvestro Giannantonio, essere l’infermiere del SSN. Ed è vero, innegabile. Ma dice tutto e niente. Come “l’artista del popolo” in Unione Sovietica. Infatti mi chiedo: se invece lavorassi per istituzioni private? Sarei da meno perché non del SSN?
Ma poi, devi essere per forza “di qualcuno” o “di qualcosa”? Potrei essere libero professionista, scelta che svincola ma che stranamente fa acquisire uno status talora più assimilabile a quella della “mia” fisioterapista (che libero-professionista lo è).
A me piace pensare che viviamo in un mondo dinamico, dove le equipe si creano e si modificano all’occorrenza.
Mi è piaciuto molto un articolo dell’azienda USL per cui lavoro, non perché “mia” (casomai è vero il contrario!) ma perché evidenzia come una situazione complessa accaduta a una persona sia stata affrontata da un’equipe che va dall’infermiere di triage fino al chirurgo, passando per altri professionisti medici e non. E vedere pubblicato come tutto ciò sia stato affrontato con la persona! Più di ogni spiegazione, vale la foto che correda l’articolo: un gruppo di professionisti con al centro la persona curata.
Tutti insieme, per chi e con chi ha bisogno. E questa appartenenza è condivisa alla pari.
Tutti insieme, ciascuno nel proprio ruolo a contribuire. Come le foto che troviamo sulle copertine dei dischi dei Rolling Stones.
Infermiere