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Lep come i Lea: non basta definirli per garantirli

di Vanessa Pallucchi

14 FEB -

Gentile Direttore,
secondo il monitoraggio del Ministero della Salute sui Livelli essenziali di assistenza, praticamente metà delle Regioni nel 2020 non è riuscita a garantire le cure essenziali: indicatori legati alla prevenzione, alla presa in carico del paziente o alla medicina territoriale hanno evidenziato criticità forti in Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Val d’Aosta e nella provincia autonoma di Bolzano.

Il rapporto del Ministero, è vero, fa riferimento al primo anno della pandemia ed è evidente che la crisi sanitaria abbia influito pesantemente sui risultati. È anche vero, però, che non possiamo non trarne alcune importanti considerazioni rispetto a un dibattito che, su impulso del disegno di legge sull’autonomia differenziata, sta animando l’Italia.

L’attenzione sulla definizione del Livelli essenziali delle prestazioni sociali è senza dubbio positivo: si tratta di un passaggio atteso da ben 22 anni e che rappresenta un passo essenziale per far sì che il nostro sistema di welfare garantisca gli stessi diritti a tutte le persone, a prescindere dal luogo in cui vivono. Parliamo, è bene ricordarlo, di un obiettivo – quello della definizione dei Lep - assolutamente raggiungibile anche al di fuori del percorso di autonomia differenziata che il Governo ha deciso di intraprendere. Ma che, in ogni caso, non possiamo considerare come un traguardo, semmai come una tappa che ci avvicina alla meta.

Prendiamo l’esempio dei Livelli essenziali di assistenza: il fatto che siano definiti (e tralasciando per un momento la questione che andrebbero aggiornati) non è di per sé garanzia che siano concretamente esigibili su tutti i territori. Il monitoraggio del Ministero della Salute, per quanto sia giusto contestualizzarlo, ne è una dimostrazione. Stesso discorso vale per i Lep: una loro definizione dovrà necessariamente essere accompagnata da un adeguato finanziamento e anche da un’infrastrutturazione dei territori per far sì che siano realmente applicati.

Nel dibattito aperto sull’autonomia differenziata, si sente quindi il bisogno di allargare ulteriormente il campo al tipo di investimento che si vuol fare sul nostro sistema di welfare e, dunque, al modello di sanità e, più in generale, di “benessere” cui aspirare.

Il Terzo settore italiano può dare un grande contributo in questa riflessione alla luce della sua esperienza sui territori, che lo vede da lungo tempo al fianco delle persone, creando opportunità, aiutando e sostenendo soprattutto le più fragili, dando voce ai loro diritti negati e includendole in percorsi di emancipazione dal bisogno e dal disagio sociale. Proprio questa esperienza ci ha fatto maturare la consapevolezza di quanto sia necessario un cambiamento radicale nell’approccio al welfare, per concepirlo come un sistema fondato non più sul concetto di “protezione” delle persone, ma sui diritti.

Non un complesso di strutture cui si accede nel momento della malattia o del bisogno e concentrato esclusivamente sull’offerta di servizi e prestazioni, bensì un sistema che è attivo in ogni fase della vita delle persone, anche prima o dopo la manifestazione esplicita di un disagio, attraverso la prevenzione, la socialità, l’inclusione delle persone in percorsi che le emancipano dalle condizioni di difficoltà in cui si sono venute a trovare. È un welfare generativo, che non si limita a curare, ma sviluppa benessere individuale e collettivo, avendo tra gli obiettivi l’autonomia della persona. Il livello sanitario e quello sociale sono già, nella realtà dei fatti, strettamente collegati: pensiamo, ad esempio, a quanto una sana socialità incida positivamente sui problemi di salute mentale, a quanto l’accessibilità della pratica sportiva o l’educazione alimentare possa prevenire su larga scala l’insorgere di patologie, a quanto l’inclusione lavorativa possa aiutare le persone con disabilità. Il passo da compiere è quindi quello di realizzare l’integrazione tra sanitario e sociale anche nella risposta che si dà ai cittadini. Ciò anche alla luce degli investimenti che il Pnrr prevede sulle Case di Comunità. Avvalersi del contributo delle realtà sociali che compongono il mondo del Terzo settore, attraverso gli strumenti dell’amministrazione condivisa, risulta strategico.

Il Manifesto del Forum Terzo Settore “Verso un nuovo sistema di welfare” contiene spunti per realizzare un sistema che abbia come principi fondanti la prossimità, l’universalismo e l’inclusività. Ci auguriamo che anche da questi, e non solo dalla volontà di realizzare in tempi brevi il progetto di autonomia differenziata, si possa portare avanti una riflessione proficua per il progresso del Paese.

Vanessa Pallucchi

Portavoce del Forum Nazionale Terzo Settore



14 febbraio 2023
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