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“Non ce la faccio più”. Quei medici che mollano

di Giuseppe Belleri

17 OTT -

Gentile Direttore,
per rendere metaforicamente l’idea dell’impegnativa posizione del medico del territorio, si ricorre spesso a metafore belliche come avamposto, trincea, prima linea e ad eventi come assedio, assalto, arrembaggio. Ormai pochi sono disposti ad andare in trincea e anche quando la prima linea viene finalmente rinforzata con truppe fresche non è in grado di reggere l’assedio e cede alla superiorità degli assalitori.

E’ accaduto in un paesotto brianzolo la scorsa settimana, come riferiscono le cronache locali: la nuova dottoressa ha dato le dimissioni dopo una settimana per “troppa pressione” come ha commentato il sindaco che ha anche inviato gli agenti per controllare la situazione. La professionista sarebbe stata assalita da telefonate, richieste d’ogni tipo fino all'aggressione verbale.

Non è il primo collega che non regge l’urto e getta la spugna poco dopo aver accettato un incarico, ma questo episodio per tempi e modalità è emblematico di un salto di qualità insostenibile, oltre a rappresentare la proverbiale punta dell’iceberg di un profondo disagio professionale, che rischia di portare alla desertificazione assistenziale del territorio. Sotto la parte emergente troviamo casi meno eclatanti di “defezione preventivo”, ovvero di colleghi che terminato il Corso di MG decidono semplicemente di lasciar perdere per dedicarsi ad attività meno impegnative e rischiose.

E dire che c’è chi scopre con stupore che non si trovano medici disposti a partire per il fronte per dare manforte alla prima linea in affanno. Che professionisti ultra sessantenni decidano di abbandonare l’avamposto poco prima del traguardo pensionistico non è sorprendente, ma che nuove reclute dalle energie fresche non accettino la sfida dovrebbe far riflettere coloro che hanno contribuito al disastro.

La situazione appare ormai irrimediabile, grazie a disinteresse, incuria e accanimento burocratico di una politica sanitaria miope che ha scaricato e screditato la medicina territoriale, lasciata nell'abbandono per un decennio. A fare le spese delle contraddizioni del sistema è la gente, ma non trova di meglio che prendersela con il medico-parafulimine, con paradossali effetti autolesionistici come nel caso brianzolo.

Il clima di tensione e di conflittualità aperta sul territorio pone una gravosa ipoteca sull'esito del PNRR. Dal secondo quadrimestre del 2022 si sono addensate altre minacciose nuvole sul percorso di attuazione del Missione6A. Il combinato disposto di varie concause annuncia il rischio della tempesta perfetta:

Le difficoltà economiche denunciate dagli attuatori del PNRR, amministratori regionali e imprese, potrebbero rendere necessaria una ristrutturazione finanziaria dell’intero NextGen al fine di adeguare i progetti ai costi crescenti. Insomma le incognite professionali, politiche, economiche, finanziarie ed organizzative potrebbero innescare circoli viziosi fino a depotenziare una svolta radicale per la medicina del territorio, da tutti auspicata ma quanto mai ardua.

Per il successo della riforma si dovranno superare numerosi ostacoli, a partire dalla demotivazione e dal morale dei professionisti che, vista l’endemica carenza sul territorio, non sarà facile recuperare.

Dott. Giuseppe Belleri

MMG in pensione - Brescia



17 ottobre 2022
© Riproduzione riservata

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