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La replica di Croce (Enpaf): “Sfogo legittimo ma la previdenza obbligatoria non può essere definita ‘un furto legalizzato’”

di Emilio Croce

20 DIC - L’esercizio dell’attività in regime libero professionale comporta, ai fini ENPAF, l’applicazione della quota contributiva in misura intera atteso che, in questa ipotesi, non è previsto il versamento di altra contribuzione previdenziale obbligatoria ad altra gestione, come nel caso di lavoro dipendente. Il contributo soggettivo all’ENPAF è stabilito in misura fissa, con possibilità di attenuare il relativo obbligo, in presenza di determinati  requisiti, tra cui, l’esistenza di altra previdenza obbligatoria nell’esercizio dell’attività professionale.
 
Osservo che nel nostro Paese i professionisti priva di Cassa previdenziale sono assoggetti obbligatoriamente alla Gestione separata la cui ritenuta sul reddito è pari attualmente al 27,72%. L’anomalia che si riscontra da più parti nel Regolamento ENPAF, soprattutto da parte di coloro che producono redditi libero professionali, è che lo stesso non preveda alcuna correlazione fra l’obbligo contributivo e il reddito professionale prodotto. E’ innegabile che nella quasi totalità dei regimi previdenziali la contribuzione è legata al reddito,  tuttavia, la gran parte delle Casse di previdenza dei professionisti,  come anche la Gestione commercianti presso l’Inps, che pure parametrano il contributo previdenziale al reddito professionale, stabiliscono sempre un importo minimo da versare anche nel caso di reddito zero (ad esempio per la Cassa Avvocati l’importo contributivo minimo stabilito è pari ad € 3.512,00 mentre nel caso della Gestione commercianti Inps il minimo contributivo è pari 3.353,90).
 
L’ENPAF, al fine di attenuare le possibili situazioni di disagio economico degli iscritti assoggettati a contribuzione intera pur avendo redditi libero professionali non elevati, dispone annualmente, a decorrere dal 2006, l’erogazione di un contributo assistenziale una tantum a favore degli iscritti che hanno svolto ininterrottamente attività professionale, (prima per un periodo non inferiore a tre anni) dal 2013 per un periodo non inferiore a due anni, in regime di lavoro autonomo con apertura di partita IVA, ovvero nella  forma del co.co.co o del co.co.pro., ovvero nell’ambito di una borsa di studio, e che, quindi, hanno versato la contribuzione in misura intera per tale periodo.

Non è ovviamente la soluzione ad un problema che coinvolge alcuni iscritti, ma ritengo che responsabilmente l’Ente, nell’ambito delle proprie prerogative, soggette al controllo e alla vigilanza ministeriale, della Corte dei Conti e della Commissione parlamentare bicamerale, abbia cercato di individuare soluzioni tramite la sezione assistenza che possano attenuare il carico contributivo che grava su quelle categorie di iscritti obbligati a versare la quota contributiva piena ma che non producono redditi di rilievo. Riguardo alla restituzione dei contributi prevista dall’art. 24 del Regolamento, preciso che la modifica regolamentare ha abrogato l’istituto della restituzione a partire dal 2004 ed ha comportato che coloro i quali non raggiungano i requisiti per il trattamento pensionistico con l’ENPAF hanno la possibilità di richiedere, una volta cancellati dall’Albo, la restituzione dei contributi previdenziali versati fino al 2003. In proposito, anche sulla base di un principio consolidato in giurisprudenza, non esiste nell’ordinamento previdenziale un diritto alla restituzione dei contributi versati ove l’iscritto non maturi il diritto a pensione. L’Inps ad esempio non ha mai restituito all’assicurato contributi non utilizzati;  la restituzione fu introdotta dal Regolamento ENPAF nel 1994 in seguito alla previsione dell’attività professionale tra i requisiti per il conseguimento dei trattamenti pensionistici di vecchiaia e di anzianità.
 
Il mancato conseguimento dell’anzianità di iscrizione e contribuzione minima, oltre all’eventuale assenza del requisito dell’attività professionale rappresentano si causa ostativa al raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia ma gli anni di contribuzione versati potrebbero essere comunque oggetto di ricongiunzione presso altro Ente previdenziale ovvero di totalizzazione, e quindi non andrebbero perduti. Ai fini del riconoscimento dell’attività professionale si tiene conto dell’apertura e della chiusura della partita Iva e, di conseguenza, se la partita IVA è aperta per più di sei mesi ed un giorno nell’arco dell’anno solare, viene riconosciuto un anno di attività professionale, indipendentemente dal reddito professionale percepito o dal numero di prestazioni professionali svolte.
 
A titolo esemplificativo, nel caso della Dr.ssa Bellini, avendo aperto partita IVA nel 2008, ha già maturato sei anni di attività professionale utile ai fini pensionistici. Pur comprendendo il legittimo sfogo di un’iscritta che con sacrificio svolge una doppia attività, quella di insegnamento e quella libero professionale, non può ammettersi che la tutela previdenziale obbligatoria, riconosciuta per tutti i lavoratori dalla Carta Costituzionale, possa essere definita “un furto legalizzato”. Anche perché è proprio grazie a questo “furto legalizzato” che la gran parte della spesa pubblica del nostro Paese è destinata alla spesa nel settore previdenziale e che solo l’ENPAF assicura ogni anno prestazioni pensionistiche pari a circa 160 milioni di euro.
 
Emilio Croce

Presidente Enpaf

20 dicembre 2013
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