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Il ruolo del management nella gestione dell’emergenza

Se il Servizio Sanitario non avesse costruito in questi decenni una forte autonomia decisionale e organizzativa a livello regionale e una elevata flessibilità operativa delle singole aziende non avrebbe saputo garantire la rapidità di risposta e la capacità di adattamento che si sono rese necessarie per fronteggiare l’emergenza Covid

24 APR - Affrontare l’emergenza Covid 19 ha messo a dura prova il nostro servizio sanitario, per la rapidità della diffusione del contagio e l’improvviso afflusso di persone ad alto rischio infettivo bisognose di ricovero, situazione che ha reso necessario un immediato incremento di posti letto, anche di terapia intensiva, in reparti specificamente allestiti, con percorsi separati e equipe dedicate.
 
Ma l’epidemia, dal punto di vista sanitario, non ha chiamato in causa solo la rete di emergenza e le strutture ospedaliere, bensì tutti quei servizi che si sono rivelati fondamentali per identificare, mettere in sorveglianza e monitorare i casi sospetti, gestire al domicilio le persone paucisintomatiche, garantire la dimissione dagli ospedali in strutture protette, vigilare o intervenire sull’insorgenza di casi in strutture residenziali o comunità, senza peraltro sospendere la cura di persone portatrici di altre patologie o che necessitano comunque di un’assistenza continuativa o di servizi e prestazioni indifferibili (es. malati oncologici, pazienti cronici, salute mentale, disabilità, dipendenze, ma anche percorso nascita, screening di secondo livello, vaccinazioni).
 
I numeri di questo incredibile sforzo organizzativo per garantire un’immediata rimodulazione dell’offerta sono impressionanti. Possiamo misurarli nel numero di casi trattati, operatori dedicati, assunti e formati, posti letto attivati, apparecchiature acquistate, dispositivi di protezione distribuiti; ma anche, in relazione alle misure di contenimento del contagio, con il numero di linee di attività interrotte o sospese, di cittadini contattati per riprogrammare una prestazione, di unità di personale collocato in smart working, e in tutte le misure di prevenzione e riduzione dei rischi adottate. Tutto questo nell’arco di poche settimane, con decisioni da assumere, provvedimenti da adottare, soluzioni organizzative da condividere e azioni da intraprendere nell’arco di pochi giorni se non di poche ore.
 
E’ sbagliato dare per scontato che questo sia avvenuto solo perché è un dovere. Certo, tutelare la salute dei cittadini è la finalità istituzionale del nostro servizio sanitario, esiste per questo. Ma gestire in pochi giorni un cambiamento repentino dalla routine per organizzazioni che contano migliaia di operatori, decine e centinaia di presidi dislocati sul territorio e una miriade di imprevisti da affrontare non è un’operazione facile. Nel pubblico, come nel privato, le aziende sanitarie sono complesse. Cambiare la direzione e l’assetto di una macchina in corsa non è mai un’operazione semplice o frutto del caso.
 
Ed è limitato anche ricondurre la risposta data dal servizio sanitario ad una sorta di mero automatismo, sulla base del fatto che gli operatori sanitari, per la natura della loro professione, devono comunque prendersi cura delle persone che stanno male, a prescindere dal modo in cui lo fanno.
 
Le cose non sono così semplici, perché non basta sapere “cosa” fare (ammesso che sia chiaro), ma fa la differenza il “come”, vale a dire chi deve fare cosa, con che criteri, quando, dove, con quali risorse, regole, procedure, condizioni di sicurezza e ordine di priorità, e sempre all’interno di un percorso di diagnosi e cura strutturato, benché in emergenza.
 
Se il Servizio Sanitario non avesse costruito in questi decenni una forte autonomia decisionale e organizzativa a livello regionale e una elevata flessibilità operativa delle singole aziende non avrebbe saputo garantire la rapidità di risposta e la capacità di adattamento che si sono rese necessarie per fronteggiare l’emergenza Covid. Rimodulare un’intera rete ospedaliera in pochi giorni o sospendere intere linee di attività in poche sono scelte ad alto impatto organizzativo.
 
Per fare un esempio, decidere di attivare in sette giorni un intero padiglione per la gestione di pazienti Covid, all’interno di un ospedale che non ha mai gestito ricoveri per malattie infettive, significa spostare immediatamente interi reparti, costituire team multiprofessionali, garantire una dotazione di DPI anche cento volte superiore all’ordinario proprio quando scarseggiano, formare tutte le equipe alla vestizione e svestizione, identificare percorsi differenziati sporco/pulito con una segnaletica adeguata e informare tutto il personale, delocalizzare servizi delicati come ad esempio la Radioterapia e il Day Hospital oncologico con decine e decine di pazienti in terapia per evitare loro il rischio di contagio, fare lavori in urgenza per potenziare la rete elettrica e l’impianto di ossigeno, recuperare in qualche modo tutte le apparecchiature necessarie, e si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco.
 
Tutto in una settimana. Per fare questo serve una squadra eccezionale, in cui tutti diventano fondamentali e devono muoversi come in un orologio: le équipe di professionisti, i direttori e coordinatori dei reparti e servizi coinvolti, la direzione sanitaria, il servizio infermieristico, i servizi tecnici, il risk management, la farmacia, etc.
 
Tutto questo non è un mero adempimento, ma l’esito di valutazioni, decisioni e azioni collettive in condizioni di incertezza. Una questione di organizzazione. A questo serve il management, a fare in modo che tutto questo accada, dal primo all’ultimo minuto, curando ogni dettaglio, superando ogni difficoltà, motivando le persone e creando le condizioni perché anche ciò che sembrava impensabile poche ore prima diventi l’obiettivo comune in cui tutti credono e che insieme raggiungono.
 
E questo riguarda non solo le singole aziende, ma anche e soprattutto la funzione di governo regionale. La capacità di agire in modo compatto come sistema sanitario regionale e non con una sommatoria di azioni scoordinate delle singole aziende fa la differenza.
 
Nella Regione Lazio sin dal pomeriggio del famoso 29 gennaio in cui sono stati accertati i primi due casi positivi in Italia si è di fatto costituita una task force che ha messo insieme livelli diversi di responsabilità (assessorato, direzioni regionali, direzioni aziendali) e competenze differenti (igienisti, virologi, epidemiologi), come un gruppo coeso e fortemente orientato ad assumere e condividere le prime decisioni sulla base delle poche informazioni disponibili. Ed è apparso subito chiaro che la rapida acquisizione e l’immediata elaborazione delle informazioni erano fondamentali per l’assunzione delle decisioni e l’adozione delle prime misure straordinarie.
 
Progressivamente le aziende sanitarie si sono attivate, e l’iniziale task force si è allargata a una squadra composta da tutte le direzioni generali con la guida dell’Assessore e della Direzione Regionale, che ha condiviso h24 (anche con una chat dedicata) le singole decisioni e azioni, con un monitoraggio quotidiano di numeri, criticità, imprevisti e soluzioni.
 
Fronteggiare l’emergenza ha richiesto una perfetta sintesi tra una guida unitaria nei processi decisionali e la partecipazione di tutti soggetti chiamati a condividere e attuare quelle stesse decisioni, con una continua circolazione delle informazioni e una sistematica valutazione di situazioni locali che evolvono in modo dinamico e in parte imprevedibile.
 
E’ difficile capire dall’esterno quanto un’emergenza sanitaria metta in tensione un sistema sanitario proprio nella sua capacità di essere e funzionare come un “sistema”: dai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica che hanno dovuto Identificare e gestire la sorveglianza di migliaia di casi sospetti, alla rete di emergenza che ha dovuto attivare i pre-triage nei Pronto Soccorso, ampliare il numero di posti letto di terapia intensiva COVID e no-COVID, alla rete dei Laboratori, all’assistenza territoriale che ha dovuto potenziare le cure primarie e cercare nuove soluzioni di maggiore proattività e capillarità per la gestione delle persone a domicilio, all’azione di sorveglianza e intervento anche sostitutivo nei confronti di strutture residenziali sanitarie e socio-sanitarie; per non parlare della necessità di centralizzare la gestione delle graduatorie del personale, l’acquisizione e la distribuzione di dispositivi e attrezzature, o di gestire sul piano istituzionale i rapporti con i Sindaci, le Prefetture, la Protezione Civile, i sindacati, le ditte fornitrici di beni e servizi, tutti portatori di un legittimo interesse ad essere supportati, informati e tutelati nella loro funzione istituzionale o attività economica.
 
Governare tutto questo con razionalità e coerenza, in condizione di emergenza, di estrema incertezza e di rischio, cercando di rendere il più possibili appropriati, tempestivi ed efficaci gli interventi di ciascuno, all’interno di un disegno complessivo, richiede un vero e proprio “management di sistema”.
 
Abbiamo sperimentato in questi mesi una modalità di coordinamento che appare la più adatta, anche a prescindere dall’emergenza, per governare la complessità dei sistemi sanitari regionali, che si confrontano costantemente, per la loro stessa natura, con la sfida dell’innovazione e del cambiamento.
 
L’esperienza che abbiamo vissuto collettivamente in questi primi mesi del 2020 dovrebbe condurci a superare sterili contrapposizioni tra livelli di governo (Stato centrale, Regioni, Enti locali) o tra culture professionali e culture istituzionali all’interno del servizio pubblico, come se la forza dell’uno dovesse necessariamente essere una debolezza dell’altro.
 
Lo sviluppo di un “management di sistema” ha a che fare con la capacità di sperimentare e consolidare una modalità più efficace di attuazione delle politiche sanitarie, che discendono sì da priorità e indirizzi definiti a livello di governo nazionale e regionale, ma che impattano sulla salute dei cittadini solo se si traducono in piani e programmi implementati a livello locale con i metodi e gli strumenti propri del management delle organizzazioni ad alta complessità.
 
Angelo Tanese
Direttore Generale ASL Roma 1
  


24 aprile 2020
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