Tumore al fegato. Il microbiota intestinale predice chi si ammalerà tra le persone a rischio
La scoperta, realizzata grazie a una ricerca della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli-Irccs e Università Cattolica in collaborazione con Fondazione Irccs-Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, consentirà una prevenzione mirata per i pazienti con fegato grasso. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista “Hepatology”
08 MAG - Come predire chi si ammalerà di cancro del fegato tra soggetti a rischio perché con cirrosi epatica e fegato grasso? Basterà studiare il profilo del microbiota intestinale.
La scoperta, pubblicata sulla rivista “
Hepatology”, si deve alla ricerca di
Francesca Ponziani del gruppo condotto da
Antonio Gasbarrini, direttore dell’Area Gastroenterologia e Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Gemelli e Ordinario di Gastroenterologia dell’Università Cattolica in collaborazione con
Vincenzo Mazzaferro dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
I risultati dello studio, su pazienti e soggetti sani di controllo, aprono le porte alla possibilità di cure mirate e all’identificazione precoce dei pazienti con cirrosi epatica da fegato grasso a maggior rischio di sviluppare epatocarcinoma.
I fattori di rischio per il peggioramento della salute del fegato, in assenza di danno da alcol o da virus o da autoimmunità, sono l’iperalimentazione, l’eccesso di fruttosio industriale, la vita sedentaria, il diabete, il sovrappeso, l’obesità e alcuni fattori genetici. Ciò comporta lo sviluppo di steatosi epatica e la steatoepatite (fegato grasso), con accumulo patologico di lipidi a livello epatico e con successiva infiammazione e danno del tessuto sano.
Una delle conseguenze più subdole e pericolose del fegato grasso è la formazione di fibrosi epatica, ovvero di un tessuto cicatriziale nell’organo, che compromette la sua funzionalità, fino allo sviluppo della cirrosi, in assenza di adeguate misure terapeutiche. Inoltre, il fegato grasso può essere causa di tumore del fegato.
L’alta prevalenza del fegato grasso nella popolazione generale (20-30% delle persone ha fegato grasso) e la stretta associazione con il diabete e con l’obesità (il 70% degli obesi, oltre l’80% dei diabetici hanno il fegato grasso) fanno sì che la steatosi epatica rappresenti attualmente la prima causa di malattia cronica del fegato. Inoltre, la possibile evoluzione verso la cirrosi e il tumore del fegato impongono una stretta osservazione del paziente con fegato grasso. È di fondamentale importanza individuare caratteristiche del paziente che aiutino a capire se ha una malattia potenzialmente progressiva, quindi dei marcatori di rischio che consentano di fare previsioni senza ricorrere a esami invasivi come la biopsia.
“L’asse fegato-intestino – ha spiegato il professor Gasbarrini – gioca un ruolo chiave nella patogenesi della steatosi epatica non alcolica (NAFLD) che è la terza causa al mondo di carcinoma epatocellulare (HCC). Tuttavia, il legame tra microbiota intestinale ed epatocarcinogenesi resta in gran parte da comprendere. L’obiettivo dello studio è stato esplorare le caratteristiche del microbiota associate alla presenza di HCC nei pazienti con fegato grasso andati incontro a cirrosi epatica”.
I ricercatori hanno quindi confrontato la flora intestinale di 61 pazienti, 21 con cirrosi da fegato grasso e tumore epatico, 20 con cirrosi ma senza tumore e 20 individui sani e studiato il profilo del microbiota di ciascuno, la loro permeabilità intestinale e lo stato infiammatorio.
I risultati. È emerso che i pazienti con tumore epatico presentavano livelli eccessivi di calprotectina fecale, proteina rilasciata da cellule del sistema immunitario nelle condizioni di infiammazione. Anche i livelli plasmatici di mediatori dell’infiammazione erano maggiori nei pazienti con tumore, che avevano inoltre un elevato quantitativo di cellule “immunisoppressorie” e “attivate” nel sangue. Inoltre il microbiota dei pazienti con cirrosi era caratterizzato da una maggiore abbondanza di Enterobacteriaceae e Streptococco e una carenza di Akkermansia, quest’ultima parte del pool di batteri benefici per l’organismo.
In aggiunta, tra i pazienti cirrotici quelli che presentavano un tumore del fegato risultavano deficitari anche in Bifidobacterium, altro ceppo favorevole per la nostra salute, mentre i Bacteroides e le Ruminococcaceae erano incrementati. Il deficit di batteri “benefici” Akkermansia e Bifidobacterium è risultato inversamente correlato alla concentrazione di calprotectina, e i mediatori infiammatori e le cellule immuni circolanti risultavano associati alla particolare composizione del microbiota intestinale. Tirando le somme, le alterazioni del microbiota intestinale in questi pazienti potrebbero determinare lo sviluppo di un microambiente che favorisce l’insorgenza di tumore epatico mediante meccanismi diretti, infiammatori, e indiretti, di immunosoppressione.
“I nostri risultati – ha concluso Gasbarrini – sono l'ennesimo tassello delle scoperte che ci sta permettendo la ‘microbiota revolution’, suggerendo che nei pazienti con cirrosi e fegato grasso il profilo del microbiota intestinale e l’infiammazione sistemica sono tra loro correlati e possono concorrere al processo di formazione del tumore epatico. In futuro, quindi, lo studio del microbiota intestinale potrà permettere di identificare i pazienti maggiormente a rischio di sviluppare un tumore epatico e indirizzare i clinici verso interventi più mirati e personalizzati, come per esempio sostituire il microbiota intestinale ‘malato’ con uno ‘sano’ in grado di contrastare lo sviluppo della malattia”.
08 maggio 2018
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