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I tempari in radiologia

02 MAR - Gentile direttore,
nell’incontro fra il Presidente della FNOMCeO e la Presidente della neonata FNOPI si è affrontato un argomento strategico della attività sanitaria e della organizzazione dell’assistenza, che sta molto a cuore, e da tempo, a noi radiologi. È opinione comune, nonostante l’evoluzione culturale, che l’aziendalizzazione dell’assistenza prevista dalla L. 502/92 abbia esaurito ormai la sua spinta propulsiva e non ne sia rimasto che lo scheletro in chiave produttivistica, impoverendo nella vitalità e nell’ attenzione ai risultati, l’intera filiera assistenziale.
 
L’idea che la diagnostica per immagini sia “misurabile” in termini di durata delle prestazioni, in un’ottica distorta che lascia spazio all’alterità dei fini delle organizzazioni, dimenticando la cura del paziente in favore del bilancio aziendale, ha fatto rivolgere l’attenzione nell’ultimo ventennio alla quantità di lavoro piuttosto che alla qualità, come giustamente sottolineato dai due Presidenti.
 
Noi radiologi, naturalmente, cerchiamo faticosamente di portare l’attenzione al valore in termini di salute, innovazione ed esiti, cercando di perseguire l’ultima frontiera della medicina la value based medicine, nonostante i vertici manageriali aziendali, nel processo di budgeting, spingano per un mero aumento di produttività con gravi ripercussioni sulla qualità dell’assistenza, sui carichi di lavoro (a grande rischio di burn out ed errore) e con limitazioni importanti all’accesso alle prestazioni più complesse e aggiornate.
 
L’intero sistema (a silos), basato prevalentemente sul finanziamento pro-capite e sui DRG, e che poco o niente considera i risparmi ottenuti in termini di spesa sociale e/o farmaceutica  legati a un corretto e tempestivo intervento sanitario (anche se ad alto costo) è ormai anacronistico ed è tempo quindi che la qualità della medicina e dell’assistenza tornino in primo piano.
 
La valutazione del “time consuming” per prestazione non è un concetto sbagliato in assoluto, ma conduce inevitabilmente e pericolosamente a sotto-considerare il tempo legato valore aggiunto sotteso alle prestazioni (il consenso, le riunioni multidisciplinari, la valutazione del rischio, gli audit, l’analisi degli errori, le Morbility & Mortality conferences, e tutte le attività che gli anglosassoni chiamano “non intrepretative tasks”), con un evidente conflitto fra la quantità e la qualità delle prestazioni.
 
In questo Paese coloro che vogliono innovare sono considerati sognatori, spesso utopisti.
Accusati di “fare filosofia” e contrastati da un supposto “pragmatismo” che in genere è soltanto resistenza al cambiamento, con poca attenzione ai contenuti e alle innovazioni.
Cadiamo spesso nella logica dell’abbiamo sempre fatto così, diversamente dal resto del mondo in perenne rinnovamento.
 
E poi arranchiamo per recuperare terreno.
Oggi il mondo, a partire dagli USA, si sta interrogando sulla sostenibilità vera o presunta del proprio sistema sanitario. Se sia un problema finanziario o invece la via per la prosperità sociale. Non vorrei rischiare di ritrovarmi ancora una volta a guardare da lontano l’evoluzione tecnologica, imbrigliato in un sistema ormai obsoleto.
 
Stefano Canitano
Vicesegretario Nazionale SNR
Consigliere dell'Ordine dei Medici di Roma e Provincia

 

02 marzo 2018
© Riproduzione riservata

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