Salute sul lavoro. Nel 2019 quasi il 12% dei lavoratori visitati aveva un’inidoneità parziale e di questi oltre 35mila non idonei del tutto
di Domenico Della Porta
Questi dati sono ripresi in un recente documento della Consulta Italiana Interassociativa della Prevenzione che ripercorre modalità, positività e criticità dell'attività di sorveglianza esercitata in Italia ai fini della valutazione di idoneità al lavoro per moltissime categorie professionali. Tra le criticità rilevate il mancato inserimento della radrioprotezione per gli operatori sanitari nel testo unico sulla sicurezza del lavoro
16 FEB - Nel 2019 su oltre 22 milioni lavoratori esposti a rischio e soggetti a sorveglianza sanitaria, rientranti nelle 21 voci previste dall’allegato 3B dell’art.40 del D.Lgs. 81/2008, il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, l'11,5 per cento sono stati giudicati con idoneità parziale, di cui 35.460, addirittura non idonei (vedi tabella più avanti).
Questi ed altri dati sono emersi dal recentissimo studio della CIIP, Consulta Italiana Interassociativa della Prevenzione, pubblicato lo scorso 5 febbraio, in cui viene sottolineato come la Sorveglianza Sanitaria costituisca una fondamentale misura di prevenzione per i lavoratori che sono esposti a rischi per la salute, cioè ad agenti di natura fisica, chimica, biologica od ergonomica suscettibili di provocare una malattia da lavoro dopo periodi più o meno lunghi di esposizione. Accanto ad essa è stata eseguita una esaustiva riflessione anche sulla formulazione, condivisione ed applicazione del giudizio di idoneità lavorativa, con interessanti e positivi risvolti sul recupero dei lavoratori con giudizi di idoneità temporanea.
Essa rappresenta, ha detto
Susanna Cantoni, presidente della CIIP, l’anello di congiunzione tra gli interventi sull’ambiente e l’organizzazione del lavoro e le persone che, svolgendo quel lavoro, sono esposte a specifici agenti di rischio. In estrema sintesi la sorveglianza sanitaria valuta gli effetti sulla salute di tale esposizione, con l’obiettivo di adattare le misure di prevenzione alle peculiarità del singolo lavoratore e di verificare l’efficacia delle misure adottate, assicurandosi che non insorgano danni alla salute tra i soggetti esposti.
Nella pubblicazione ci si sofferma sui rischi previsti da specifiche norme di legge, sulla radioprotezione medica (
vedi articolo a parte), sui rischi non previsti da specifiche norme, ma comunque da valutare, i cui danni sono in costante aumento negli ultimi 10 anni, rischi per la sicurezza di terzi e rischi per la comunità, la sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali e nel lavoro somministrato.
Vale la pena soffermarsi sulla formulazione del giudizio di idoneità parziale da parte del medico competente (con prescrizioni/limitazioni), in quanto solleva inevitabilmente problematiche di varia natura e comporta comunque per il datore di lavoro l’obbligo di tutelare la salute del prestatore di lavoro attraverso l’adozione di misure tecniche, organizzative o procedurali di prevenzione: questo avviene il più delle volte consegnando al lavoratore i DPI (dispositivi di protezione individuali) e sollecitandolo ad utilizzarli, altre volte operando una modifica organizzativa della fase di lavorazione, oppure mettendo in atto modifiche della postazione di lavoro o, nel caso di giudizio di inidoneità alla mansione specifica, provvedendo ad adibirlo “ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute”. (art. 42 del D.Lgs 81/2008). Quando queste condizioni non sono realizzabili, può prospettarsi il licenziamento.
"In ogni caso, il giudizio di idoneità parziale, venuto fuori dal nostro studio - precisa la Cantoni, prospettando anche soluzioni - evidenzia un problema di salute del lavoratore che limita e restringe la propria capacità lavorativa e un problema organizzativo ed economico per il datore di lavoro".
Inoltre, il giudizio di idoneità formulato dal medico competente può essere oggetto di ricorso presso “l’organo territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso”: pur con ampia variabilità da territorio a territorio, è tuttora molto elevato il numero dei giudizi di idoneità lavorativa formulati dal medico competente che viene “modificato” dai medici dell’organo di vigilanza, alimentando la ben nota diffusa controversia e diversità di valutazione.
Nella Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (13/12/2006), ratificata in Italia con Legge 3 marzo 2009 n° 18, la disabilità viene definita come “il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società sulla base di eguaglianza con gli altri”: viene riconosciuto quindi che la disabilità è connaturata all’essere umano, è naturale”, diventa una “normalità” e riguarda indistintamente ogni essere umano. Il significato della “disabilità” si sposta dall’ ambito strettamente individuale della persona con menomazioni, al rapporto di questa persona con un ambiente fisico e relazionale sfavorevole.
Applicando questa definizione ai luoghi e ai posti di lavoro, il lavoratore “limitato” è a tutti gli effetti da considerare “persona con menomazioni” e l’ambiente di lavoro diventa per questo un “ambiente fisico e relazionale sfavorevole” in quanto, nel caso specifico, funge da “barriera fisica comportamentale e ambientale” che “impedisce una piena ed effettiva partecipazione”. Ecco venir fuori, precisa la presidente CIIP, nella stessa Convenzione (art.2), il concetto dell’accomodamento ragionevole, definito come un insieme “delle modifiche e degli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.
Il concetto di “accomodamento” comprende tutti gli aspetti dell’accessibilità complessiva dell’ambiente di vita e di lavoro, della riprogettazione individualizzata del posto di lavoro, dell’adozione di ausili tecnici utili a facilitare i compiti lavorativi, della riorganizzazione dei processi e dei flussi di lavoro e dell’eventuale supporto di assistenza personale; l’aggettivo “ragionevole” invece evoca il principio di “non costringere il Datore di Lavoro ad investimenti sproporzionati”.
D’altronde, all’osservazione del medico competente giungono sempre più frequentemente casi di disabilità temporanea o transitoria: disabilità post-traumatiche, post-chirurgiche, patologie cronico-degenerative di carattere cardiologico, neurologico o metabolico, patologie dell’apparato locomotore ad andamento ricorrente e quelle da sovraccarico biomeccanico a carico del rachide e degli arti superiori; o ancora disabilità permanenti, a causa di traumi lavorativi ed extra-lavorativi, o di menomazioni chirurgiche, ecc.
Si tratta, a tutti gli effetti, di lavoratrici e di lavoratori che presentano delle “disabilità minori”, acquisite in ambito lavorativo o extra-lavorativo, correlate alla propria condizione sociale, alla situazione di lavoro, all’anzianità lavorativa o all’età anagrafica. Vi è da considerare peraltro che, a causa dell’invecchiamento della popolazione generale e lavorativa, la diffusione delle patologie cronico-degenerative e metaboliche, è suscettibile inevitabilmente di un graduale e progressivo incremento.
Nella pratica quotidiana del Medico d’Azienda, il giudizio di idoneità parziale rappresenta “il risultato dell’interazione” e della compatibilità tra lavoratore e mansione specifica; le limitazioni e le prescrizioni agevolano e favoriscono lo svolgimento delle attività lavorative e sono da considerarsi tutte, senza eccezioni, degli “accomodamenti ragionevoli”: in questo contesto è lecito affermare che attualmente il giudizio di idoneità parziale formulato dal medico competente è la forma più praticata e diffusa, ma anche più semplice, di accomodamento ragionevole: più “semplice”, in quanto riferendosi esclusivamente alla menomazione biologica della persona, in genere non comporta l’obbligo per il datore di lavoro, di adeguare “l’ambiente fisico e relazionale sfavorevole” con misure tecniche di prevenzione primaria.
Purtroppo, non sempre è possibile modificare significativamente la postazione di lavoro rendendola pienamente compatibile con le necessità del lavoratore. Pertanto, se da un lato assistiamo oggi ad un progressivo aumento di giudizi di idoneità parziale, sempre motivati da alterazioni dello stato di salute, dall’altro non sempre osserviamo una mitigazione dei rischi lavorativi e/o il miglioramento tecnico, organizzativo e procedurale dei luoghi di lavoro e dei cicli produttivi. Così, sempre più frequentemente lo stato di salute dei lavoratori condiziona, limita e restringe le capacità e le abilità del lavoratore “disabile” per il quale il luogo di lavoro rimane spesso un “ambiente fisico e relazionale sfavorevole” e rappresenta la variabile indipendente del sistema di prevenzione.
La chiave di volta per affrontare costruttivamente il problema è rappresentato da una sempre maggiore collaborazione attiva (e fattiva) fra gli attori coinvolti nel sistema di prevenzione aziendale (datore di lavoro, RSPP, medico competente e RLS).
Domenico Della Porta
Docente di Medicina del Lavoro Università Internazionale Telematica Uninettuno - Roma
16 febbraio 2020
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