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Farmacie. Corte Costituzionale: “Niente incompatibilità per i soci che non sono coinvolti in gestione”

di Paolo Leopardi

Lo ha stabilito una recente sentenza della Consulta che ha precisato che “la causa d’incompatibilità non è riferibile ai soci di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia”. LA SENTENZA

07 FEB - Dal momento dell’entrata in vigore della Legge 124/2017 e quindi, dal momento delle modifiche apportate dalla stessa alla Legge 362/1991 in materia di requisiti personali per la partecipazione alle società titolari delle farmacie, il regime delle incompatibilità dei soci delle società speziali è sempre stato all’attenzione dei farmacisti, dei consulenti del settore e da ultimo della Magistratura Amministrativa.

Come qualcuno ricorderà il TAR Lazio con la sentenza n. 5557/2019 ha affermato – che il lavoratore dipendente o autonomo è incompatibile con lo stato di socio solo se farmacista (lett. C, 1^ co, art. 8, L. 362/91 e smi).

Al momento, questa è l’unica sentenza in materia e si è in attesa che la III Sezione del Consiglio di Stato nel mese di Maggio 2020 (per il 14 maggio 2020 è fissata l’udienza pubblica) decida se confermare la decisione del TAR capitolino o revocarla o addirittura estendere l’inapplicabilità del regime delle incompatibilità anche ai farmacisti.

L’ultima novità, tuttavia, è data dalla pubblicazione della sentenza n. 11 del 5 febbraio 2020 della Corte Costituzionale. La Corte era stata interessata a seguito dei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge 8 novembre 1991, n. 362 in relazione all’art. 7, comma 1, della stessa legge, come modificato dall’art. 1, comma 157, lettera a), della legge 4 agosto 2017, n. 124, promossi dal Collegio arbitrale rituale, nominato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania, con ordinanze del 6 dicembre 2018, che era stato chiamato a valutare il contenzioso tra una società e un socio, docente universitario.

Ebbene, al termine del Giudizio la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), in relazione all’art. 7, comma 1, della stessa legge, come modificato dall’art. 1, comma 157, lettera a), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 11, 35, 41, 47 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Collegio arbitrale rituale, nominato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania, con le due ordinanze indicate in epigrafe.

I Giudici della Corte hanno precisato che “alla stregua degli stessi criteri ermeneutici di cui all’art. 12 delle Preleggi è dato pervenire pianamente alla conclusione che – diversamente da quanto presupposto dal Collegio rimettente – la causa d’incompatibilità di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge 362/1991 non è riferibile ai soci di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia..

In sintesi la Corte precisa che “l’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, se era coerente con il precedente modello organizzativo - che, allo scopo di assicurare che la farmacia fosse comunque gestita e diretta da un farmacista, ne consentiva l’esercizio esclusivamente a società di persone composte da soci farmacisti abilitati, a garanzia dell’assoluta prevalenza dell’elemento professionale su quello imprenditoriale e commerciale -, coerente (quella incompatibilità) non lo è più nel contesto del nuovo quadro normativo di riferimento che emerge dalla citata legge n. 124 del 2017, che segna il definitivo passaggio da una impostazione professionale-tecnica della titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione economico-commerciale.
 
 Innovazione, quest’ultima, che si riflette appunto nel riconoscimento della possibilità che la titolarità nell’esercizio delle farmacie private sia acquisita, oltre che da persone fisiche, società di persone e società cooperative a responsabilità limitata, anche da società di capitali; e alla quale si raccorda la previsione che la partecipazione alla compagine sociale non sia più ora limitata ai soli farmacisti iscritti all’albo e in possesso dei requisiti di idoneità. Ragion per cui non è neppure più ora indispensabile una siffatta idoneità per la partecipazione al capitale della società, ma è piuttosto richiesta la qualità di farmacista per la sola direzione della farmacia: direzione che può, peraltro, essere rimessa anche ad un soggetto che non sia socio”.
 
Di talché, continua la Corte, “essendo consentita, nell’attuale nuovo assetto normativo, la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, nè in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, è conseguente che a tali soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali), non sia pertanto più riferibile l’incompatibilità “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato”, di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991”.

Ora, detta decisione potrà/verrà recepita dalle Pubbliche Amministrazioni, in occasione delle “variegate” richieste di autorizzazione all’esercizio proposte dai nuovi soggetti che si affacceranno al mondo della titolarità ed i conseguenti provvedimenti amministrativi, potranno essere valutati dalla Giustizia Amministrativa, anche alla luce della decisione della Consulta.

Avv. Paolo Leopardi      

07 febbraio 2020
© Riproduzione riservata

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