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Consulenze tecniche d’ufficio nel mirino della Cassazione: il CTU non può acquisire documenti non presentati per tempo dalle parti


La Corte di Cassazione (sentenza 31886/2019 della terza sezione civile) ha rinviato, cassandola, una sentenza alla Corte d’Appello che aveva respinto il ricorso di una donna la cui madre era deceduta in un'Azienda ospedaliera, sulla base di una perizia eseguita su documenti di cui il CTU era entrato in possesso direttamente e che non facevano parte di quelli ammessi al processo. LA SENTENZA. 

13 GEN - Può capitare che si ampli la possibilità di indagine del CTU (Consulente tecnico d’ufficio) per porre rimedio alle carenze nelle prove fornite dalle parti, ma secondo la Cassazione (sentenza 31886/2019, terza sezione civile) si tratta di un’estensione inammissibile del mandato che può anche portare all’annullamento della consulenza e quindi anche della decisione finale.

Per questo la Cassazione ha accolto il ricorso della figlia di una paziente deceduta che lamentava l’introduzione nel processo di una cartella clinica che l’azienda sanitaria non aveva in precedenza prodotto e che aveva costituito la base istruttoria per respingere la domanda di responsabilità contro l’ospedale.

Il fatto
La figlia di una paziente aveva portato davanti al Tribunale alcuni fatti, chiedendo il risarcimento a un’azienda sanitaria per la morte della madre:
- che la propria madre era stata ricoverata nell'ospedale gestito dalla Azienda dal febbraio 2008 al 2 marzo 2008;
- che era stata sottoposta a due interventi chirurgici;
- che era deceduta il 2 marzo 2008;
- che i due interventi non erano stati preceduti da una adeguata informazione della paziente;
- che in ogni caso i sanitari non avevano correttamente eseguito la propria prestazione, causando così il decesso della paziente.

Il Tribunale ha rigettato la domanda e lo stesso ha fatto la Corte d’Appello ritendendo:

- che la consulenza tecnica d'ufficio eseguita in grado di appello non fosse affetta da nullità, perché il consulente era stato "espressamente autorizzato" ad acquisire documenti presso l’Azienda ospedaliera e comunque perché ciò gli era consentito dall'articolo 194 c.p.c.;
- che nel merito la pretesa di risarcimento fosse infondata perché:
• la paziente aveva ricevuto adeguate informazioni prima dell'intervento del 29 gennaio 2008;
 
• non vi fu violazione del diritto all'informazione in relazione all'intervento del 25 febbraio 2008: sia perché si trattava di intervento necessario, sia perché gli appellanti non avevano fornito la prova che la paziente, se fosse stata informata, avrebbe rifiutato l'intervento;
 
• non era necessario accertare se, con riferimento all'intervento del 25 febbraio 2008, la paziente in conseguenza dell'omessa informazione avesse patito la violazione di diritti costituzionalmente protetti diversi da quello alla salute, perché nessuna domanda in tal senso era stata formulata dagli attori;
 
• gli interventi e il trattamento della paziente erano avvenuti secondo le leges artis;
 
• non vi era nesso di causa tra la condotta dei sanitari e la morte della paziente.
 
La sentenza
Dopo aver spiegato i vai passaggi per cui il CTU può svolgere le sue indagini solo sui fatti e sui documenti che le parti hanno allegato e depositato nei termini di legge, mentre al consulente è preclusa ogni attività che porti ad acquisire elementi non provenienti dalle parti, la Cassazione ha affermato una serie di principi di diritto:

“(a) il CTU non può indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti;

(b) il CTU non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali;

(c) il CTU può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti;

(d) i princìpi che precedono non sono derogabili per ordine del giudice, né per acquiescenza delle parti;

(e) la nullità della consulenza, derivante dall'avere il CTU violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall'acquiescenza delle parti ed è rilevabile d'ufficio”.

“I princìpi appena esposti – si legge nella sentenza - non sono stati rispettati dalla sentenza d'appello”.
 
E la Cassazione aggiunge che:
“- il consulente tecnico d'ufficio nominato in grado di appello, non reperendo nei fascicoli delle parti la "documentazione sanitaria", ne chiese di sua iniziativa copia integrale all'Azienda ospedaliera, e la ottenne;
- i documenti ottenuti dall'Azienda, ed in particolare due cartelle cliniche, non sono state allegate alla relazione di consulenza;
-  l'acquisizione è avvenuta al di fuori di qualsiasi contraddittorio.
 
Ha altresì dedotto la parte ricorrente - con affermazione non contrastata dall'Azienda controricorrente - che le due cartelle cliniche acquisite dal consulente direttamente dall'Azienda ospedaliera erano difformi dalle copie depositate dall'attrice (odierna ricorrente) nel giudizio di primo grado”.
 
Secondo la Cassazione poi la Corte d’Appello chiamata a valutare la legittimità processuale dell'operato del CTU, “non ha ravvisato in essa alcuna irregolarità, in base a due ragioni:
-  sia perché il CTU era stato autorizzato ad acquisire documenti dall'Azienda ospedaliera;
- sia perché, anche in assenza di autorizzazione, ciò gli era consentito dall'art. 194 c.p.c..
 
Ma i giudici non condividono queste ragioni. Da un lato perché il giudice non può autorizzare il consulente ad acquisire documenti “in deroga al principio dispositivo o alle preclusioni assertive ed istruttorie. La Corte d'appello, dunque, dinanzi all'eccezione di irrituale acquisizione di documenti da parte del CTU, non poteva limitarsi a rilevare se vi essa avvenne con l'autorizzazione del giudice, ma doveva accertare se i documenti acquisiti direttamente dal CTU rientrassero nel novero di quelli per i quali l'acquisizione diretta è consentita, secondo i princìpi esposti in precedenza”.

“Dall’altro – prosegue la sentenza -  anche ad ammettere che il consulente volle acquisire di sua iniziativa la cartella clinica al solo scopo di verificare la genuinità della copia di essa prodotta dall'odierna ricorrente nei gradi di merito, tale acquisizione sarebbe dovuta avvenire nei processo e con le regole del processo, e quindi sottoponendo il risultato dell'acquisizione al dibattito processuale; né la Corte d'appello avrebbe potuto sottrarsi al potere-dovere di accertare se effettivamente sussistesse la denunciata diversità tra la cartella prodotta dalla parte attrice e quella acquisita dal CTU di sua iniziativa.

Per la Cassazione quindi “la sentenza va dunque, su questo punto, cassata con rinvio”. E la Corte d'appello, riesaminando il ricorso, dovrà applicare i principi di diritto prima enunciati.

13 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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