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Cartella clinica. Per la Cassazione è essenziale per la determinazione di eventuali negligenze


Rinviata alla Corte d'Appello una causa (iniziata nel 2007) che vedeva coinvolta una paziente con problemi di masticazione che non aveva potuto disporre della documentazione clinica risalente ai primi interventi subiti sui quali c'era il sospetto di cure non adeguate. Per la Cassazione la struttura sanitaria ha l'onere di redigere una cartella in ordine e completa in modo da poter accertare eventuali negligenze o imperizie da parte dei sanitari oppure scagionarli per aver comunque seguito la best practice, ma senza risultati. LA SENTENZA.

27 MAR - I fatti hanno inizio 24 anni fa, nel 1994 e la prima causa davanti al Tribunale di Pinerolo risale al 2007: una ragazza si era recata in un ospedale torinese per risolvere un problema odontoiatrico. Inizialmente si trattava di una mala occlusione dentale, evoluta poi fino a dover ricorrere a un intervento chirurgico per spostare l’osso mascellare. Un intervento descritto come “rapido e risolutivo” che invece aveva procurato un ulteriore peggioramento che ha richiesto un delicato intervento di chirurgia maxillofacciale per far avanzare l’osso mascellare superiore.

La paziente era dimessa a inizio 2001 “con la bocca in contenzione, la faccia tumefatta, l'impossibilità di masticare e un blocco mascellare per 45 giorni”.

Anche dopo la rimozione delle contenzioni la situazione era rimasta critica, tanto che la ragazza aveva perso l’anno scolastico e che al controllo radiografico a sei mesi si era evidenziato il distacco delle placche di contenzione dell’osso e una grave infiammazione gengivale.

Successivamente quindi le venivano estratti alcuni denti e a luglio 2003 veniva sottoposta a un intervento di rimozione delle placche di sintesi, senza miglioramenti dello stato di salute.

A questo punto la paziente si è rivolta a un altro medico, ma ha scoperto allora che presso l’ospedale dove si era svolta la vicenda non era reperibile la documentazione clinica. La paziente si è comunque dovuta sottoporre a cure endodontiche “per bonificare carie e patologie gengivali derivate quale conseguenza  dell’imperito trattamento precedente  ricevuto” sostenendo che fosse residuato un “peggioramento della salute del cavo orale rispetto a quello iniziale”.

La Corte territoriale in prima analisi ha affermato che l'onere della prova della sussistenza di un nesso eziologico tra le varie terapie in un arco decennale giudicate incongrue e non corrette e il peggioramento della sua salute, spettassero alla paziente.

Parere contrario invece della Cassazione (III sezione civile, sentenza 7250/2018) che ha rilevato verso la struttura sanitaria l'onere di redigere una cartella in ordine e completa in modo da poter accertare eventuali negligenze o imperizie da parte dei sanitari oppure scagionarli per aver comunque seguito la best practice, ma senza risultati.

“Questa Corte – si legge nella sentenza -, chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della  omessa tenuta o lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella ii valore di nesso eziologico presunto, vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico - ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell'esecuzione delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attivita professionale ex art. 1176 c.c”.
 
La Cassazione precisa come la difettosa tenuta  della  cartella non solo non vale ad escludere la “sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente ii ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale ii fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva  possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla”.

“In tale prospettiva – spiega la sentenza - si è, quindi, precisato che l'incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, essendo, però, a tal fine necessario sia che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e  danno  del  paziente non possa essere accertata proprio  a  causa  della  incompletezza della cartella, sia che ii medico abbia  comunque  posto  in  essere  una  condotta astrattamente idonea a causare ii danno”.

Bocciata quindi la sentenza della Corte di Appello dalla Cassazione. Secondo la Cassazione la duplice verifica deve essere effettuata per accertare se l'incompletezza vale per decidere se l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non può essere accertata proprio a causa dell'incompletezza della cartella.

Dalla cartella poi, può emergere che il medico abbia comunque posto in essere una condotta idonea a causare il danno, e a questo punto tocca alla struttura sanitaria e al medico dimostrare di non essere responsabili di alcun inadempimento o che questo non è stato causa del danno.

“A fronte dei motivi di gravame volti ad evidenziare come già ii  giudice di prime cure non avesse adeguatamente valutato le conseguenze dell'omessa esibizione documentale da parte delle convenute sull'onere della prova circa l'esistenza di un nesso causale tra le asserite cure errate ed il peggioramento delle condizioni di salute della paziente – afferma nelle sue conclusioni la Cassazione - , la Corte territoriale ha  ritenuto erroneamente corrette  e  condivisibili le  argomentazioni  della struttura e del medico ribadendo da un lato che la prova della sussistenza di un nesso                eziologico tra le  varie terapie prestate ed il peggioramento della salute incombesse sulla  paziente  appellante, dall’altro  che tale onere non fosse stato assolto da quest'ultima in quanta non corroborato neppure dalle risultanze della esperita consulenza tecnica d'ufficio”.

Ma la Cassazione ritiene “che tali argomentazioni non sono conformi alle regole in materia di riparto dell'onere della prova …. e segnatamente al seguente principio ‘l'ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare  per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del  decidere ovvero, da un lato, che l'esistenza del nesso di causa tra condotta  del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall'altro che il medico abbia comunque posto  in  essere  una  condotta  astrattamente  idonea  a  causare  ii  danno, incombendo   sulla  struttura   sanitaria   e  sul  medico  dimostrare   che  nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non e stato causa del danno, incombendo su di essi ii rischio della mancata prova’.

In conclusione, vanno accolti i  motivi  di  ricorso  e  la  sentenza  cassata in relazione, con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che definirà la controversia attenendosi ai principi di diritto sopra  enunciati.  Il giudice del rinvio provvederà, ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c., anche sulle spese del presente giudizio dilegittimità”.

27 marzo 2018
© Riproduzione riservata

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