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Medici in fuga dall’Italia. E il Servizio sanitario nazionale rischia di restare senza 7.280 ospedalieri. Il dossier e le proposte dell’Anaao

di C. Palermo, F. Ragazzo, D. Montemurro, M. D'Arienzo

Ogni anno circa 1.000 laureati o specialisti emigrano all’estero in cerca di un futuro professionale che l’Italia non riesce ad offrire. Ma di questo passo, e con oltre 80.000 pensionamenti attesi nei prossimi 10 anni, il Ssn rischia di trovarsi senza il numero di medici necessario a tenere in piedi il sistema: 7.280 i soli specialisti ospedalieri che non si riuscirebbe a rimpiazzare. La ricetta Anaao? Una seria programmazione dei posti nelle Università e nelle Scuole di Specializzazione e la trasformazione del contratto di formazione-lavoro per anticipare l’incontro tra i due mondi. Il dossier

29 NOV - Gli imbuti formativi (ovvero il gap tra numero di accessi alle Scuole di Medicina e Chirurgia e l’insufficiente numero di contratti specialistici, dilatato enormemente negli ultimi anni da ricorsi al Tar) e lavorativi (la difficoltà di esaurire un’alta domanda occupazionale post laurea e post specialistica) stanno inducendo di anno in anno una importante emigrazione di medici italiani verso altri paesi europei, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera in particolare, oltre che verso gli Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al Ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2363 nel 2014 (+ 596%). Nel 2015 per  i soli laureati in Medicina e Chirurgia,  il Ministero della Salute ha rilasciato 1112   attestati di conformità e 1724 attestati di good standing.  Nel Regno Unito, secondo i dati del General Medical Council,  i medici italiani che prestano servizio sono più di 3000, rappresentando l’1,1% degli iscritti nel 2014. Tra il 2014 e il 2015 sono aumentati di circa 200 unità. Oramai siamo a circa 1000 laureati o specialisti che emigrano ogni anno.

Per l’Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 euro. In termini economici, è come se regalassimo mille Ferrari all’anno agli altri paesi europei ed extra europei. Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, saperi professionali, sottratti per incuria  alla sostenibilità qualitativa del nostro Ssn e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese.

Anche il blocco del turnover sta incidendo pesantemente sulle dinamiche di sostenibilità del nostro Ssn. Il ricambio generazionale è bloccato e con esso quel trasferimento di conoscenze e capacità tecniche sostenuto dalla fisiologica osmosi tra generazioni professionali diverse. Nel 2017, se non cambiano le politiche sull’assunzione in servizio,  l’età media dei medici ospedalieri sarà superiore a 55 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele (Dati Oecd 2015).

La responsabilità di questo spreco di risorse umane ed economiche ha precise connotazioni.  

La crisi economica del 2008 si è portato dietro un importante de-finanziamento del Ssn che solo recentemente sembra rallentare. Il controllo della spesa per il personale è diventata la leva principale di intervento per raggiungere l’equilibrio economico nelle regioni in piano di rientro.

L’assunzione del personale è bloccata dalla Legge 191/2009, che vieta, per questo settore, una spesa superiore a quella del 2004 ridotta dell’1.4%. Il turnover di fatto è limitato al 25-50% delle uscite. Dal 2009 al 2014 il numero dei medici dipendenti a tempo indeterminato si è ridotto di 7.000 unità. Nelle Aziende sono così dilagate le assunzioni  di specialisti convenzionati o con contratti atipici o libero professionali.

Lo scenario che si prospetta nei prossimi 10 anni nel Ssn è drammatico. Da un lato l’uscita dal sistema per pensionamento di circa 47.300 medici specialisti del SSN, a cui aggiungere circa 8.200 tra medici universitari e specialisti ambulatoriali, e dall’altro circa 14.300 precari tra tempi determinati e contrattisti alla ricerca di una stabilizzazione definitiva del loro rapporto di lavoro. L’esodo diventa biblico se aggiungiamo anche i circa 30.000 medici di medicina generale che raggiungeranno i criteri  di quiescenza nei prossimi 10 anni (Dati Enpam 2016).

L’impoverimento delle dotazioni organiche, in un settore dove il lavoro umano e il saper fare sono fondamentali per erogare buone cure, è un rischio non trascurabile. Lo sblocco del turnover e la stabilizzazione di tutto il precariato diventano  due necessità ineludibili per garantire le caratteristiche di equità e universalità su cui si fonda il nostro Ssn nonché la qualità dei servizi.  

In tutta evidenza il futuro del Ssn è determinato dal numero e dalla qualità dei nuovi specialisti, aspetti attualmente di esclusiva pertinenza dell’Università. Fino a quando la Legge non consentirà l’ingresso del medico non specialista in Ospedale, per formarlo in quella sede, come in tutto il mondo occidentale, il Ssn non ha alcuna autonomia nella definizione del proprio fabbisogno futuro.

È possibile arrivare a migliori risultati attraverso una collaborazione stretta fra l’Università e gli Ospedali, che devono essere coinvolti, in tutta la rete ospedaliera, per consentire agli specializzandi di svolgere quelle attività pratiche previste dalla normativa e che, per ovvii motivi di dotazione di posti letto e casistiche operatorie, non può essere garantita dalla sola Università. Se ogni specializzando deve acquisire conoscenze e abilità manuali di progressiva complessità, solo mettendo in rete una serie di strutture ospedaliere all’interno di un bacino d’utenza definito, è possibile garantirgli un percorso formativo adeguato, organizzando la sua presenza durante gli anni di specializzazione sia in strutture ospedaliere di tipo periferico, con casistica meno complessa, sia in ospedali di più elevato livello operativo.

Noi riteniamo che da queste considerazioni si possa partire per recuperare un ruolo formativo del sistema sanitario pubblico. Tale esigenza non nasce da particolari rivendicazioni categoriali, per quanto legittime, ma dalla consapevolezza del contributo fondamentale che il Ssn può dare alla formazione medica orientando i nuovi professionisti verso il “saper fare” e verso quei valori di qualità, efficacia, appropriatezza, corretto uso delle risorse e attenzione al sociale che possono rendere equo e sostenibile il servizio sanitario pubblico in un’epoca di risorse economiche limitate.

In concreto, pensiamo che aumentare il numero degli studenti iscritti al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al di fuori da seri studi di programmazione che tengano insieme aspetti demografici, dinamiche pensionistiche, esigenze del sistema in termini di formazione, qualità e quantità del personale,   non risolva il problema della prossima carenza di medici specialisti perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni. Inoltre si rischia di ripetere, nel lungo periodo, il fenomeno della pletora medica.

Noi proponiamo in base ai dati illustrati che il numero dei posti per la Scuola di Medicina e Chirurgia debba essere limitato a circa 6.500 ogni anno, mentre le borse di studio per la formazione post laurea dovrebbero  aumentare fino a circa 7.200, magari anche con finanziamenti europei considerata l’emigrazione dei nostri laureati e specialisti verso altri paesi della Comunità.

Una strozzatura è data dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito di accesso al lavoro nel Ssn. Occorre, pertanto, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, animati da conflittualità latenti o manifeste e contenziosi infiniti, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche. La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale. Recuperare il ruolo professionalizzante degli Ospedali rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari.
 
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

Fabio Ragazzo
Direttivo Nazionale Anaao Giovani

Domenico Montemurro
Responsabile Nazionale Anaao Giovani

Matteo D’Arienzo
Responsabile Regionale  Anaao Giovani  Emilia Romagna


29 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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