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“Servono 47 mila infermieri per garantire sicurezza e servizi efficienti ai cittadini. E tra turni massacranti e stipendi in discesa lavorare è sempre più difficile”. L’analisi/denuncia Ipasvi


Focus  della Federazione sui dati del Conto annuale. Mangiacavalli: “Dati dovrebbero far ragionare sia il legislatore che le Regioni ed essere utili come base di trattativa per i sindacati. La carenza è evidente, così come lo è la situazione difficile a livello generale, ma sicuramente  a rischio nelle Regioni in piano di rientro che rappresentano ormai a livello di popolazione oltre il 47% dei cittadini italiani”. E intanto l’età media dei lavoratori cresce. LO STUDIO 

18 LUG - “Gli infermieri sono troppo pochi per garantire sicurezza ed efficienza dei servizi: ne mancano circa 47mila per raggiungere livelli accettabili. Per di più, tagli alla spesa e blocchi del turn over ne hanno fatti perdere in cinque anni – tra il 2009 e il 2014 – quasi 7.500, con un’emorragia più forte nelle Regioni in piano di rientro: Campania, Lazio e Calabria da sole in questo periodo ne hanno 5.439 in meno, il 72,5% del totale”.  È questa la fotografia scattata dalla Federazione Ipasvi che ha condotto un’approfondita analisi Regione per Regione della condizione 2014 della forza lavoro infermieristica nelle Regioni italiane in base ai dati presenti nell’ultimo Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato in vista dell’apertura delle trattative sul nuovo contratto dopo il primo via libera del Comitato di settore Regioni-Sanità all’atto d’indirizzo.
 
Ma il problema non è solo di fabbisogno. “Chi lavora – rileva l’indagine - lo fa con mille difficoltà: retribuzioni ridotte in valore assoluto nei cinque anni di 70 euro, ma in termini di potere di acquisto almeno del 25%;  un rapporto infermieri/medici che a livello ottimale sarebbe di 3 a 1, ma in alcune Regioni (ancora quelle in piano di rientro come Campania, Calabria e Sicilia) si ferma a malapena a 2; turni massacranti testimoniati, sempre nelle Regioni in piano di rientro, da un significativo aumento  della spesa per straordinari (dove il personale manca, chi c’è deve lavorare di più) che raggiunge punte anche di oltre il 4,5% della retribuzione contro un peso che sfiora al massimo il 2% nelle Regioni “virtuose”, cosiddette benchmark e che in media a livello nazionale vale nelle Regioni con piani di rientro e, in particolare, in quelle commissariate il 2,7% della retribuzione, mentre nelle Regioni con piano di rientro senza commissario circa l’1,8% e nelle altre Regioni a statuto ordinario non va oltre l’1,4 per cento”.
 
Difficoltà che rischiano di coinvolgere anche i cittadini. Secondo l’analisi Ipasvi “studi internazionali indicano che se i pazienti per infermiere scendono numericamente da 10 a 6, la mortalità si riduce del 20%: in Italia la proporzione media nazionale è di 12 pazienti per infermiere e se alcune Regioni – poche – ce la fanno a scendere anche se di poco sotto i 10, ce ne sono altre, ancora tra quelle in piano di rientro che di più scontano il blocco del turn over e la carenza di personale, dove si arriva anche a 18 pazienti per infermiere”.
 
“Alla vigilia della nuova stagione contrattuale – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione  Ipasvi – questi dati dovrebbero far ragionare sia il legislatore che le Regioni ed essere utili come base di trattativa per i sindacati. La carenza è evidente, così come lo è la situazione difficile a livello generale, ma sicuramente  a rischio nelle Regioni in piano di rientro che rappresentano ormai a livello di popolazione oltre il 47% dei cittadini italiani. Il nostro compito è di tutela della professione perché mantenga la sua dignità e soprattutto dei pazienti che si affidano a noi: sapere con cosa abbiamo a che fare è un buon inizio”.
 
Dall’analisi Ipasvi emergono poi anche altri dati, come quello dell’età media dei professionisti “che aumenta per il mancato ricambio generazionale, con una percentuale di infermieri over 50 – meno adatti a turni pesanti e a manovre rischiose per se stessi e i pazienti – che pesano il 69% circa sugli infermieri fino a 65 anni di età, potenzialmente, quindi, “operativi”.  E la necessità di un’assistenza capillare, caratteristica della professione infermieristica, sul territorio dove i cittadini over 60 (ma la situazione è diversa tra le Regioni) sfiora ormai il 30% e dove i pazienti non autosufficienti, cronici e comunque fragili che hanno bisogno di assistenza h24 sono oltre 16 milioni. Per questi, calcola l’Ipasvi, servono almeno 30mila infermieri “dedicati” che non possono essere davvero né i più anziani, né i meno esperti”.
 
“Un “placebo” possibile, infine, per alleggerire seppure momentaneamente e non in via definitiva a situazione estrema nelle Regioni in piano di rientro (“unica soluzione vera è – ribadisce Mangiacavalli -   integrare gli organici con nuove leve”) sarebbe la mobilità volontaria che la legge concede, ma che aziende e Regioni “bloccano” non rilasciando i necessari nulla osta. A richiederla infatti sono soprattutto le Regioni del Sud commissariate e ad aderire sarebbero gli infermieri di quelle stesse Regioni che per esigenze lavorative sono ormai anche a migliaia di chilometri da casa, ma in questo modo non riescono ad aprire la via del ritorno.  E una soluzione in più se non altro per rendere reale l’attuale consistenza di personale, oltre alla stabilizzazione dei precari, potrebbe essere quella di assumere part time al 50% circa 9-10mila unità di personale: attualmente infatti, come spiega l’analisi Ipasvi, circa il 10% dei 270mil infermieri in servizio nel Ssn  lavora a tempo parziale, con una riduzione conseguente, quindi dell’effettivo numero di ore-lavoro a tempo pieno e un aggravio ulteriore del lavoro per alcuni, specie nei turni e nelle situazioni che richiedono maggiore continuità”.
 


18 luglio 2016
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