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Io e gli amici lineaguidari. I malintesi da chiarire

di Ivan Cavicchi

Problematizzare le linee guida non vuol dire essere contro le linee guida ma solo non farla facile perché di mezzo ci sono pur sempre dei malati. Esaminare un pensiero non vuol dire “attaccare” chi lo pensa ma al contrario  offrire a chi lo pensa un servizio eventualmente per migliorarlo

14 MAR - Alberto Donzelli mi ha telefonato per dirmi delle sue perplessità sul mio articolo “è il momento dei lineaguidari” e del disappunto di Gimbe. Nel frattempo ho letto un terrificante post  contra homine di Gabriele Galloni, che in nome delle linee guida, se potesse mi crocifiggerebbe lungo la via Appia.
 
La prima cosa che ho detto ad Alberto è “scrivi...scrivete...discutiamone”. I suoi rilievi preziosi mi avvertivano di alcuni malintesi che meritavano di essere chiariti. E Alberto da persona intellettualmente onesta e non solo ha scritto le sue osservazioni insieme al suo comitato scientifico che ringrazio (QS 9 marzo 2016) con ciò offrendoci il regalo di una discussione.
 
Preliminarmente desidero chiarire due cose:
· problematizzare le linee guida non vuol dire essere contro le linee guida ma solo non farla facile perché di mezzo ci sono pur sempre dei malati
· esaminare un pensiero non vuol dire “attaccare” chi lo pensa ma al contrario  offrire a chi lo pensa un servizio eventualmente per migliorarlo
 
Discutiamo di linee guida: quale medicina?
Le linee guida obbediscono ad una razionalità scientifica precisa definibile in tanti modi (convenzionale, procedurale, metodologica,  ecc) ma i loro scopi ne sottolineano il prevalente carattere strumentale. Oggi con questi strumenti  si cerca di  curare la gente e spendere di meno. Valutando le politiche sanitarie in essere Il rischio che mi preoccupa e che io chiamo “medicina amministrata” è quello, sulla spinta soprattutto  dell’economicismo, di dare corpo ad una medicina fondamentalmente proceduralista dedotta proprio dai postulati strumentali delle linee guida.
 
Al contrario io penso che per definire il ruolo, di quelle particolari procedure definite “linee guida”, si debba definire prima a quale medicina, a quale medico, a quale sanità esse sono funzionali. Nel nostro paese mentre discutiamo a tempo pieno di sanità non discutiamo quasi mai di medicina manca del tutto una discussione sui suoi problemi profondi (“crisi della/nella medicina”) e tutto quello che proponiamo ad esempio in tema di appropriatezza, è come se fosse a paradigma medico invariante. Oggi discutiamo di linee guida  pensando di guidare meglio  questo paradigma per razionalizzarne le cosi dette inappropriatezze.
Quando 18 anni fa con “l’uomo inguaribile, il significato della medicina “ (segnalo la prefazione di Rosy Bindi perché nello stesso anno l'appropriatezza e quindi le linee guida con la sua riforma diventavano un obbligo di legge) cominciai a studiare la “crisi della/nella medicina”, arrivai ad una conclusione: la medicina  per reggere l’impatto con i mutamenti (limiti economici compresi) avrebbe dovuto ripensarsi riproponendosi come  una medicinaneo-ippocratica(cioè che non rinuncia ai suoi antichi fondamenti etico-sociali e scientifici) ma dichiarandosi disponibile a rinnovarli. Cioè a riformarli. Per  fare questo essa, secondo me, dovrebbe ripensare almeno tre cose: il valore, la regola, la maniera (pag. 147).Il valore è quello che guida la regola e questa quella che guida la maniera, cioè valori morali-regole per conoscere”- modi di fare o prassi . Dal ripensamento del valore della regola della maniera sarebbe dovuto nascere un nuovo medico. Il mio amato autore.
 
Se pensiamo che oggi, per ragioni diverse, le linee guida sono proposte come un modo di essere, della medicina che c’è (maniera), il rischio che pavento è di fare con la medicina amministrata o post-ippocratica il contrario cioè dedurre dalla maniera le regole e i valori. Che in soldoni vuol dire dedurre dai mezzi strumentali gli scopi possibili. Non il contrario.
 
Questo per me è sbagliato e in  particolar modo se la maniera fosse suggerita solo da problemi di risparmio  è addirittura pericoloso. Da Heisemberg in poi siamo ormai tutti convinti che la maniera si deduce dalle caratteristiche dell’oggetto che si vuole conoscere. Non il contrario. Se la maniera si pone come un prius assoluto è la fine della complessità. E la medicina per definizione è complessità. Quindi, la domanda che pongo in discussione  è: a quale medicina le linee guida sono funzionali? Quella ippocratica, post ippocratica o neo ippocratica? Invarianza, contro-riforma o riforma?
 
Razionalità e punti di vista a confronto
Considerare il pensiero di Gimbe come un “case study” vale come considerare una razionalità quale oggetto di studio perché il mio mestiere è analizzare delle razionalità. Quando mi occupo di Fnomceo, di Ipasvi, di sindacati, di ministero, di governo, mi occupo ne più e ne meno che delle loro razionalità.
 
La razionalità di Gimbe sulle linee guida non è diversa da quella di Slow Medicine o della Fondazione allineare sanità e salute, e di altri, ma ha la particolarità di accentuare, sicuramente per dei buoni motivi, il primato del metodo, ritenendo che dal metodo debbano discendere tutte le garanzie per avere delle ottime linea guida. Per comprendere il mio punto di vista è bene che si sappia che per formazione sono ne più e ne meno un figlio del mio tempo culturale cioè uno che si è temprato a  quel dibattito epistemologico collocabile tra la seconda metà del 900 e i giorni nostri, quindi un convinto post positivista e pragmatista e i miei maestri sono stati come è ovvio per lo più dei post positivisti e dei pragmatisti. Grazie a loro ho capito che tanto Sackett che la mitica  “evidence base medicine” sono molto più problematici di quello che si crede.
 
 
I miei amici  lineaguidari (uso l’espressione in modo affettuoso) culturalmente sono tutti  indistintamente dei positivisti logici o empiristi logici (circolo di Vienna) e in quanto tali si ispirano, al rigore metodologico  della scienza e ai principi del verificazionismo. Le linee guida sono figlie dei loro postulati. Con ciònon sto dicendo che i lineaguidari non sono figli a mamma loro (per carità), ma solo che nel discutere dobbiamo ricordarci che il nostro punto di vista di partenza è molto diverso e che la  nostra idea di verità scientifica, di scienza  e di razionalità scientifica è pura diversa.
 
A queste diversità per me preziose si deve però aggiungere un dato incontrovertibile (una evidenza per l’appunto): il verificazionismo metodologico a cui si ispirano i lineaguidari ormai da decenni  è stato molto ridimensionato e ormai la scienza ha preso un’altra strada.
Il succo dell’insegnamento che a proposito di metodo, personalmente ho ricavato da tale ridimensionamento (Popper ,Goodman, Quine, Feyerabend, Kuhn, Lakatos, ecc) è il seguente:
· non si tratta di teorizzare, come fanno certi medici in nome di una metafisica autonomia clinica, la libertà dal metodo (quindi dalle linee guida),
· al contrario si tratta di organizzare la libertà clinica quindi l’autonomia del medico nel metodo(quindi nelle linee guida).
 
La questione della scelta
L’idea che da pragmatista sostengo è quella di una libertà nel metodo commisurata con i risultati. Ciò comporta uno cambio di ottica significativo dal momento che la questione principale per me non è più guidare un medico che non sa scegliere con le linee guida ma è insegnare ad un medico (cioè ripensarlo) a scegliere in modo pragmatico per ottenere dei risultati.
Per me si tratta di salvare l’anima ippocratica della medicina  mettendo in piedi un medico che sappia mediare i rapporti tra metodo e libertà o tra  valore regola e maniera o tra autonomia e eteronomia, tra razionalità e empiria, tra linee guida e contesto, ecc. E’ in questo ambito pro-eretico (favorevole al valore della scelta) che definirei il ruolo delle linee guida che, sia chiaro, in nessun caso considero inutili.
 
Vediamo le differenze a livello di medico:
· l’autore è un medico pragmatico che è formato  “per scegliere pragmaticamente bene in ragione dei risultati che intende raggiungere”,
· il medico amministrato invece è un medico  formato per applicare al meglio le linee guida quindi per non scegliere in ragione di risultati per lo più economicistici,
· l’autore come tale ha il dovere di essere pragmatico cioè di raggiungere dei risultati perché è il risultato che decide se quello che fa è giusto o no,
· il medico amministrato come tale ha il dovere di essere convenzionale cioè di rispettare metodo e procedure perché convinto che indipendentemente dal risultato una cosa è giusta se fatta come si deve, cioè rispettando un procedimento.
 
La medicina della scelta” (2000) non la choosing wisely per me pragmatista è la strada che pragmaticamente  ci permette di passare dall’ippocratismo logico-empirico  al neo ippocratismo pragmatico ed evitare il post ippocratismo proceduralista o medicina amministrata che dir si voglia.
 
La choosing wisely, sia chiaro a paradigma medico epistemologicamente  invariante, resta un  importante indirizzo di razionalizzazione, come la qualità di Donabedian, il risk management di Reason, la patient safety di Vincent,  l’appropriatezza della 229, ma la sua declinazioneslow  lo dico al mio caro amico Andrea Gardini a proposito di linee guida mi sembra un modo nuovo per dire cose vecchie. Sia chiaro, essa resta cosa buona e giusta, ma  per me non risolve le aporie pesanti del verificazionismo.
 
Epidemiologia e clinica. Chi è il titolare della scelta?
Ora per non prenderci in giro andiamo al cuore del problema che tanto per cambiare è politico: chi è il titolare effettivo della scelta clinica?
Se è l’autore cioè il medico neo-ippocratico il lineaguidaro ha una funzione secondaria. Se è il medico ippocratico tradizionale  il lineaguidaro ha una funzione primaria.
 
Lo dico soprattutto alla Fnomceo: il grado di libertà quindi di amministrabilità della professione, quindi il suo grado di autonomia, dipende da quale medico si mette in campo cioè da cosa egli è capace di fare:
· se il medico non cambia,  davanti alla sfida della complessità  allora è inevitabile che soprattutto per ragioni economiche sia amministrato perché in futuro i soldi saranno sempre meno,
· se il medico è ripensato cioè diventa autore  allora è possibile che resti lui il titolare della scelta clinica ma per fare questo bisogna formarlo come si deve.
 
Allora.. signori cari, quali i rapporti tra epidemiologia e clinica? E’ l’epidemiologia che cura servendosi della clinica o è la clinica che cura servendosi dell’epidemiologia? Ma soprattutto se voi foste ammalati da chi vi fareste curare dall’epidemiologo o dal clinico? Io dall’autore.
 
Evidenzialismo
L’evidenza come valore da sempre in medicina ha svolto  la funzione di verità sia essa fisica, empirica, semeiotica, epidemiologica, anatomica o patologica  ecc. Da un po’ di tempo  prima con l’epidemiologia e quindi da Sackett in poi essa è diventata soprattutto  una verità bio-clinico-statistica e per questo ritenuta più vera di altri tipi di verità.
 
Sulle sue caratteristiche epistemiche e sui pregi e difetti di quelli che al tempo chiamavo scherzosamente “evidenziatori” ho scritto un capitolo di ben 139 pagine e a quello rimando (La medicina della scelta: Bollati Boringhieri Torino 2000)
 
Per i miei amici lineaguidari  le evidenze statistico-cliniche-epidemiologiche sono le verità più vere ed io sono d’accordo con loro che trattasi di verità ma a differenza loro considero pragmaticamente queste verità molto problematiche e per questo non dogmatiche.
 
Le verità non dogmatiche sono più o meno vere e dipendono sempre da qualcosa cioè per definizione sono relative e contingenti. In filosofia le loro logiche spesso sono definite paracomplete o paraconsistenti, o addirittura  guppy  (né  vere e né false) o fuzzy. Queste verità nella prassi clinica sono un problema. L’evidenza, come si è dimostrato ad esempio di fronte al malato complesso, ma non solo, è una verità innegabilmente problematica e per questo molto  esposta al rischio delle fallace. Analizzando la razionalità di Gimbe di fallace  ne abbiamo trovate due (argumentum ad homine/argumentum ad verecundiam) ma Donzelli e compagni ce ne propongono un’altra di grande interesse.
 
Essi mi “segnalano” di avere avuto la  “sensazione” che  “una parte di coloro” che condividono le mie tesi sull’autore  “in realtà vorrebbero tutelare il “diritto di far quello che gli pare”. A parte il problema di considerare la “sensazione” come una “evidenza”, non ho nessuna difficoltà a dare loro ragione. Credo di essere stato tra i primi a descrivere in letteratura i comportamenti opportunisti dei medici e a introdurre il concetto di self interest e l’idea del free rider, (Autonomia e responsabilità, un libro verde per i medici... Dedalo 2007). Per cui do per scontato che una parte di coloro che applaudono all’autore siano degli ippocratici opportunisti. Ma gli altri? Cioè quelli che sarebbero d’accordo di diventare  autori? O tutti i medici sono degli opportunisti?
 
La fallacia che si nasconde dietro la “sensazione” dei miei “sensazionalisti” interlocutori si chiama “argumentum ad populum”. L’errore è di credere che una tesi sia vera o meno perché sarebbe  sostenuta o avversata da un certo numero di persone:
· siccome la mia tesi è condivisa da degli opportunisti la mia tesi  è falsa,
· siccome la mia tesi è condivisa dalla Fnomceo la mia tesi è vera.
 
No, amici miei, le verità  soprattutto in medicina sono vere o false solo se resistono alla prova della realtà cioè alla verifica pragmatica.
 
I sindacati medici l’altro giorno dopo l’incontro con il governo hanno sostenuto  “coram populo” di aver vinto, ma saranno pragmaticamente i risultati effettivi  a decidere se l’intesa raggiunta con il governo sarà vera o falsa (fallacia della mollichella). L’intesa che era stata fatta a suo tempo tra governo e Fimmg per revocare lo sciopero dei medici di famiglia  (Qs 27 maggio 2015) sembrava vera ma poi  sul piano pragmatico si è dimostrata falsa perché inconseguente (fallacia della presa per i fondelli).
 
Quindi le verità pragmatiche delle linee guida a parte quelle convenzionali  non si dispiaccia Gimbe non  dipenderanno:
· né da chi ne garantisce la qualità,
· né dal metodo che si userà per definirle,
· né dall’opinione favorevole e contraria del popolo.
 
Sto parlando di verità pragmatiche non di verità convenzionali che sono vere solo se funzionano... questo non vuol dire che le linee guida vanno fatte a casaccio. Vanno fatte come dice Gimbe, ma esse una volta fatte al meglio hanno l’obbligo di  funzionare pragmaticamente in una complessità. Se non funzionano  le verità convenzionali, pur metodologicamente rigorose, vanno a farsi benedire.
 
Se davvero per noi il malato è sacro, rispetto alle linee guida si tratta  di accettare l’idea semplice che esistono verità convenzionali e verità pragmatiche che a volte non sono coincidenti
 
Allora, signori cari, che ne dite se esplorassimo i problemi che esistono tra queste due verità “di ragione” e “di fatto”?
 
Ignoranza ippocratica
Infine sul  concetto nobile di standard, inteso come stendardo, non posso che convenire con Donzelli e con il suo comitato scientifico. Gli standard sono conoscenze indispensabili che un autore deve conoscere  a mena dito altrimenti la sua scelta clinica non sarà mai pertinente. Gli standard concorrono con altre conoscenze  a valutare, giudicare e a scegliere.
 
Il punto dolente è che molti/alcuni  medici saranno pure  ippocratici ma essi sono  anche  pieni di pre-giudizi ippocratici  cioè le loro conoscenze derivano quasi sempre da informazione poco garantite e che  puzzano di cointeressenze e da tanta ma tanta superficialità. Non si ha autore se il medico non controlla la credibilità dei suoi standard.
 
Per cui a parte le aporie del verificazionismo e  del metodo,  Gimbe,  al quale rinnovo  stima e affetto continuando a preferire tra le tante definizioni sciocche di appropriatezza  la sua definizione kantiana (Qs  5 maggio 2015) ha ragione nel porre la questione dell’affidabilità delle linee guida. Ma detto ciò sempre da pragmatista dico che  il problema non si risolve con le linee guida ma sostituendo i pregiudizi con dei giudizi qualificati  quindi formando i medici ignoranti. Per questo ritengo i  lneaguidari insostituibili.
 
Il paradosso delle linee guida
Vorrei chiudere citando due grandi clinici, con i quali ho avuto la fortuna di discutere di medicina in tante belle occasioni, Scandellari e Federspil.
 
Essi hanno definito le linee guida un paradosso:
· se le linee guida sono elastiche  allora possono essere rispettate ma se sono elastiche non sono molto diverse dai capitoli di un trattato,
· se invece le linee guida sono rigide allora per il bene del malato esse devono essere violate. (Le linee guida nella pratica clinica, significati e limiti, in “Professione Sanità pubblica e Medicina pratica n°1 1996).
 
Un grazie a Donzelli e al comitato scientifico della “Fondazione allineare sanità e salute” soprattutto per avermi evitato la via Appia, un saluto a Gimbe augurandogli di diventare presto l’autorità garante per le linee guida di cui abbiamo bisogno, ma signori cari.. come risolviamo questo paradosso?
 
Ivan Cavicchi
Ps. Nell’articolo dell’8 marzo 2016 sul “caso Bologna” sostenevo che la Fials fosse a Bologna il sindacato maggioritario. Con una cortese mail Marco Baldo responsabile Comparto Sanità Funzione Pubblica CGIL Bologna, mi corregge e numeri alla mano mi informa che il sindacato maggioritario è la CGIL. Nel congratularmi con la Cgil mi scuso per l’inesattezza dovuta ad una fonte che pensavo affidabile.

14 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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