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Se il ruolo medico è vissuto come “diritto naturale”

di Ivan Cavicchi

A sentire i  medici essi  rivendicano il riconoscimento del loro ruolo come  l'attribuzione di una  titolarità  quale bene a loro connaturato quindi come una specie di diritto naturale. E questo soprattutto perché il medico “ne sa” più degli altri. Ma oggi questo primato è ormai messo in discussione da altri saperi

03 NOV - La questione per antonomasia che sta principalmente a cuore ai medici è quella del “ruolo” (insieme dei comportamenti professionali  attesi in una determinata posizione nell’organizzazione del lavoro, quindi degli obblighi, delle aspettative, delle prerogative che definiscono la professione in rapporto  al mondo quindi alle altre professioni, ai malati, ai gestori, ai magistrati, ecc). In genere al concetto di ruolo i medici associano la parola “centralità” da intendere nel significato di “leadership” (posizione di preminenza della professione con funzione di guida).
 
A sentire i  medici essi  rivendicano il riconoscimento del loro ruolo come  l'attribuzione di una  titolarità  quale  bene a loro connaturato quindi come una specie di diritto naturale. Una specie di restituzione del maltolto. La ragione più intuitiva  che giustifica tale rivendicazione  è che la natura dei processi cognitivi per la cura delle malattie esigono che il medico sia il principale decisore perché semplicemente ne sa più degli altri. E’ la conoscenza scientifica  a decidere le differenze con gli altri soggetti di riferimento (non solo operatori).
 
Per cui  l’idea di ruolo dei medici sembra  rimandare:
· a quella del sapiens (saggio) di Seneca, cioè del medico che al di  sopra della malattia offre in modo imperturbabile  prima di tutto la sua saggezza prima ancora della sua conoscenza come una utilità pubblica (vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur" vive colui che é di utilità a molti , vive colui che può usare se stesso),
· a quella dell’archetipo Junghiano del  vecchio saggio cioè del mago potente che rappresenta il sapere su ciò che è sconosciuto ai più,
· a quella più moderna di "expertise available" cioè di una professione la cui competenza scientifica è allo stesso tempo esclusiva, accessibile, consultabile.
 
Questi significati hanno cooperato per definire il ruolo del medico, fino a una quarantina di anni fa, definendo una  leadership universalmente riconosciuta e invariante rispetto a ogni forma storicamente assunta di sanità o di sistema sanitario(il medico è tale sia nei sistemi caritatevoli, mutualistici, universalistici, privatistici). Interpretando   Hobbes (giusnaturalista d’eccezione) il ruolo medico come diritto naturale  sarebbe “la libertà che ciascuno (medico n.d.r) ha di usare il proprio potere a suo arbitrio(...) e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che secondo il suo giudizio e la sua ragione egli concepisca come il mezzo più idoneo a questo fine” (Thomas Hobbes, Leviatano, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, p. 105). Questa idea di medico è finita da un bel po’ per tutte le ragioni già descritte (“Questione medica. I nuovi conflitti fra società, economia e sanità” in: La responsabilità in ambito sanitario. Tomo secondo, Cedam 2014).
 
Cioè per essere brutali il ruolo medico non è più un “diritto naturale” esso ormai è diventato una pretensione, quindi una rivendicazione, a quanto pare tutta da conquistare. Cosa vuol dire?Attenzione a non equivocare: le ragioni, soprattutto scientifiche che giustificano il ruolo di comando del medico, a parte Seneca e l’archetipo, oggi restano tutte quelle dell’expertise available, ma esse oggi per quanto giustificate sono apertamente in competizione con altre forme di expertise available che fanno capo  soprattutto a tre soggetti:
· il malato che da paziente è diventato esigente, cioè una società intera nella quale sui diritti naturali  prevalgono i diritti di cittadinanza, i diritti costituzionali. Oggi il cittadino  a suo modo ha una propria expertise con la quale il medico deve fare i conti,
· altre professioni che ridiscutendo il loro rapporto ausiliario nei confronti dei medici rivendicano un grado di autonomia in più essendo diventati a loro volta professioni intellettuali,
· il management, cioè la gestione dei vincoli economici, che per ragioni di risparmio  non può più tollerare ruoli autonomi  cioè svincolati da controlli condizionanti.
 
I  medici in questi anni, sindacati ordini e società scientifiche, non si sono curati  di questi nuovi competitor  che nel tempo  però hanno rosicchiato le loro storiche  titolarità, e tirando a campare, non si sono preoccupati di rinegoziare con costoro il loro ruolo proprio per conservarne la titolarità, continuando a credere che fossero come il marchese del Grillo (QS 26 ottobre 2015). 
 
E’ da questa miopia che nel tempo prendono forma  i principali problemi  che oggi insieme a  molti altri costituiscono la “questione medica”:
· il contenzioso legale quindi la medicina difensiva, come effetto delle pessime relazioni tra un medico invariante e la società che cambia.. si spezza così la relazione di fiducia tra cittadino e medico,
· il conflitto di competenze e i problemi del demansionamento come effetto delle pessime relazioni tra un medico invariante e le altre professioni che cambiano...si rompono i rapporti tra gli operatori,
· la medicina amministrata come effetto delle pessime relazioni tra un medico invariante e il dispostismo della gestione...si rompono i rapporti di autonomia professionale nei confronti delle istituzioni.
 
Questi  fenomeni danno luogo a nuovi costi (“costi delle regressività”), cioè  forme particolari di diseconomie, che a ben vedere hanno come denominatore comune proprio la crisi irrisolta  del ruolo medico. Questi costi, nessuno pensa di ricondurli ai problemi del ruolo rinunciando così, nella rivendicazione e nel tempo del definanziamento e della decapitalizzazione,  a argomenti “politici” consistenti e naturalmente  nessuno sa dove mettere le mani per risolvere il problema.
 
Ancora i medici non hanno capito i rapporti che esistono tra medicina amministrata e crisi del ruolo cioè tra definanziamento, decapitalizzazione e regressività del ruolo professionale. I nuovi costi di questa particolare regressività non si eliminano  se non ridefinendo il ruolo del medico e le sue relazioni con il mondo.
 
Concordo quindi con la rivendicazione dei medici che pongono la questione del ruolo come primaria. Ma quale ruolo? E come si ridefinisce?Cioè come si risolve la sua crisi? Se si pensa di ritornare al “diritto naturale” dico ai medici che la loro è una causa persa. Se si pensa di ridefinire il medico in rapporto alle  nuove tante complessità e su questa base rinegoziarlo cioè ricostruirlo dico ai medici, anche se non facile, siete sulla strada giusta.
Da ultimo vorrei di nuovo  invitare i medici a non separare le questioni economiche da quelle che riguardano il loro ruolo richiamando una questione apparentemente periferica. Le politiche di definanziamento del governo stanno ispirando le politiche di riordino delle regioni soprattutto relative ai loro sistemi gestionali. Queste politiche in ogni regione hanno in comune una forte centralizzazione del controllo sui servizi, quindi sul lavoro e sugli operatori,  la cui natura, come ho già scritto a proposito del Veneto e della Toscana, è panottica (Qs 16 ottobre 2015).
 
Si centralizza la gestione per sorvegliare e controllare coloro che con i loro atti producono spesa. Quindi soprattutto i medici. Anche questa è medicina amministrata e nello spirito non è diversa dal decreto sull’appropriatezza. Mi sono già espresso contro questa linea politica mi dispiace che  Antonio Panti non abbia compreso, da medico, il senso della mia critica (Qs 22 ottobre 2015), forse perché (a parte le gravi contraddizioni in cui versa l’ordinistica toscana che lo vede coinvolto), mi risulta che la sua opinione non sia in alcun modo indipendente rispetto alle politiche sanitarie della Regione  per cui  rinnovo il  mio appoggio al movimento referendario della Toscana così efficacemente rappresentato su questo giornale  da Gavino Macciocco (QS 14 ottobre 2015)  e da  Piero Caramello (QS 23 ottobre 2015).
 
Ciò detto  mi limito a far notare  a Panti  e ai suoi colleghi la contraddizione stridente tra  il ruolo che chiedono i medici  e una gestione che per essere panottica deve reprimere  i ruoli, cioè amministrarli il più possibile. Chiedo quale ruolo del medico è possibile in una gestione panottica della sanità?
 
Per concludere  vorrei  citare  un esempio di ripensamento del ruolo cogliendo l’occasione per riallacciare con i medici di medicina generale (che sono molto risentiti per quello che scrivo)un confronto al quale nonostante le apparenze  per l’affetto sincero  che ho nei loro confronti, non mi sento di rinunciare.
 
La mia proposta di ripensare la convenzione a partire dall’idea di “autore” vale come ridefinizione di un ruolo moderno di medico che, nel quadro difficile in cui si trova la sanità pubblica, accresce, non mortifica  la natura del loro rapporto libero professionale. Si tratta di una ipotesi da approfondire certamente, ma che rifiuta la prospettiva di una gestione  amministrante del medico di medicina generale e nello stesso tempo rinegozia con la società, gli altri operatori quindi gli altri servizi, e il management, un ruolo per l’appunto a partire dal quale  rinnovare la medicina generale.
 
La Fimmg  è incline a considerare “ricusabile ”  tutto ciò che ridiscute lo status quo (convenzione) perché evidentemente lo considera il massimo possibile. Vorrei invitarla a considerare le possibilità, in questo contesto difficile, di  far evolvere lo status quo in meglio cioè per accrescere i vantaggi della professione. Io non credo che oggi, non ieri,  questo modello di convenzione sia il massimo e credo che oggi, non ieri,  si possa fare meglio e di più.
 
Cioè io credo che il concetto di convenienza deve essere una misura del tempo in cui si vive   e non solo la misura delle proprie utilità. Al  71° congresso Fimmg, Giacomo Milillo nella sua relazione introduttiva  (QS 8 ottobre 2015) ha polemizzato con coloro che accusano i medici di medicina generale di non voler cambiare (metafora del criceto) e per dimostrare che la Fimmg in realtà vuole cambiare, ha di fatto sovrapposto le sue proposte con il decreto  Balduzzi (art.1) considerando questo decreto un “traguardo”. Mio caro Giacomo, anche se tu dici  che  il “tuo” decreto (quale Balduzzi!), “introduce “i capisaldi del cambiamento dell’assistenza primaria” e quindi  “le premesse per una riscrittura della convenzione” sappi che quella è la strada per non cambiare niente.. .e prima o poi te ne accorgerai ...quella giusta passa per il cambiamento del ruolo. La Balduzzi parla di ruolo unico ma a ruolo invariante.
 
Ivan Cavicchi

03 novembre 2015
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