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Bettoni (Iss): troppi "affari" in sala parto


Il direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, Monica Bettoni, interviene dopo i recenti casi di malasanità nei reparti di maternità. Più attenzione alle esigenze della donna e separazione netta tra pubblico e privato nella professione medica.

15 SET - Esclusiva Quotidiano Sanità. Il direttore dell'Iss, Monica Bettoni, interviene sulle problematiche dell'evento nascita.
 
Le cronache di questi giorni riportano diversi casi drammatici di incidenti avvenuti durante o dopo il parto.
Ci colpiscono particolarmente perché riguardano giovani donne e bambini appena nati e trasformano in tragedie eventi che, di norma, sono gioiosi e densi di aspettative.
Al di là delle eventuali responsabilità individuali del personale sanitario che saranno accertate dalla magistratura, al di là della giusta indignazione per episodi incresciosi avvenuti in luoghi come la sala parto o la sala operatoria che richiedono, più di altri, massima calma e massima concentrazione; al di là della presunta negligenza messa in evidenza dalla stampa, vorrei far riflettere su due fatti. Il primo è che ogni giorno migliaia di professionisti, medici e dunque anche ginecologi e il personale sanitario tutto, svolgono con competenza e senza clamore il proprio lavoro, contribuendo a far sì che l’Italia abbia un posto elevato nella classifica sulla qualità del Servizio sanitario nazionale e questo corrisponde all’interesse primario dei cittadini.
Il secondo fatto è che la gravidanza e il parto sono diventate ormai un vero mercimonio e ciò deve farci allarmare.
E’ su quest’ultima affermazione, che è ovviamente personale e che deriva dalla mia pregressa attività di medico e di parlamentare impegnato nel settore della sanità, che vorrei svolgere alcune osservazioni.
Ben ha fatto il Ministro della Salute a sottolineare che c’è un problema di rapporto pubblico-privato nelle strutture sanitarie pubbliche che va ulteriormente regolamentato.
Allora bisogna capire bene quello che accade e che ruota intorno alla maternità e al parto.
All’annuncio della gravidanza la donna e la coppia hanno, fra le prime preoccupazioni, che tutto si svolga regolarmente per la salute della donna e del nascituro e si rivolgono al ginecologo.
Nella stragrande maggioranza dei casi con quest’ultimo il rapporto è privatistico, sia che avvenga in intramoenia che all’esterno ed il professionista viene remunerato per le prestazioni rese.
Raro, se non in presenza di marcata difficoltà finanziaria della coppia, che ci si rivolga all’ambulatorio della ASL.
In primo luogo perché nella struttura pubblica, per come è organizzata, è difficile poter conservare un rapporto sempre con la stessa persona cui si dà fiducia.
In secondo luogo perché ormai di consultori ce ne sono veramente pochi.
Al rapporto col ginecologo a volte, soprattutto in alcune zone del Paese, si affianca un identico rapporto con l’ostetrica a cui si pensa come ad una persona che, in quanto spesso donna e professionalmente competente, può accompagnare la neomamma nei giorni successivi al parto insegnando quelle “manovre” necessarie per la cura del neonato e per la sua nutrizione.
Poi arriva il momento del parto ed ecco che possono insorgere i problemi.
Se la coincidenza fortuita dei turni di guardia fa si che al parto possa essere presente lo stesso ginecologo che ha seguito la donna per tutta la gravidanza, questa si sente rassicurata e l’evolversi degli eventi sarà strettamente correlato alle capacità professionali del medico.
Ovviamente ciò non significa che non possano verificarsi eventi minacciosi per la vita della donna e del nascituro indipendenti dalla perizia del professionista.
Se invece, il ginecologo di fiducia accompagna la donna in sala parto magari dietro corresponsione di una lauta parcella, possono insorgere divergenze di pareri sulla condotta terapeutica da tenere con il ginecologo di turno su cui grava la responsabilità degli atti compiuti sulla paziente.
E qui, nella concitazione legata ad eventuali emergenze, nella delicata fase di dover prendere decisioni rapide e corrette, possono insorgere conflitti che solo soggetti non responsabili spingono alle estreme conseguenze, ma che sono comunque potenzialmente pericolose.
Che fare?
Intanto chi ha la responsabilità dell’organizzazione di una unità operativa ma anche chi ha le responsabilità dell’azienda sanitaria deve dare regole e linee guida da seguire per evitare il ripetersi di tali situazioni.
Ma occorre per evitare il “supermarket delle gravidanze” che peraltro incrementa la spesa sanitaria in termini di eccesso di ricorso a prestazioni diagnostiche e terapeutiche nonché a tagli cesarei.
L’elevato e non appropriato numero dei tagli cesarei praticato in Italia ha ovviamente varie cause; tra le
possibili anche che questa procedura, quasi sempre programmabile, è congeniale a quanto ho prima descritto.
Credo allora che il problema debba essere affrontato in altre due direzioni.
Da un lato umanizzare le strutture pubbliche: occorre pensare infatti ad una organizzazione che consenta un rapporto fiduciario anche con il medico della struttura pubblica senza richiedere a quei medici che lo consentono un surplus di lavoro e senza, d’altro canto, per il paziente, dover ricorrere per forza all’intramoenia.
Dall’altro continuo a pensare e oggi più che mai che sia necessaria una più chiara e netta separazione tra pubblico e privato nella professione medica.
Il riconoscimento del valore sociale della maternità che ha caratterizzato il nostro tempo deve indurci a
studiare ed elaborare dei processi nuovi che nel mondo complesso della buona sanità italiana permettano un percorso “ privilegiato” alle donne in gravidanza anche nel servizio pubblico.

Dott.ssa Monica Bettoni
Direttore Generale Istituto Superiore di Sanità


15 settembre 2010
© Riproduzione riservata

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