Donne in medicina. Sono il 40% ma solo il 14% è primario. Parità lontana per i "camici rosa"
Promossa dall'Anaao Assomed si è svolta oggi a Roma la 1ª Conferenza nazionale delle donne medico. Il futuro delle corsie sarà sempre più in rosa (sotto i 30 anni il 63% dei medici è donna). Restano però ancora molti gli ostacoli per far carriera e anche l'esercizio normale del lavoro è pregiudicato da politiche molto "maschili".
15 DIC - Il sorpasso delle donne nella sanità sembra essere solo una questione di poco tempo. L’attuale demografia del Servizio Sanitario Nazionale parla chiaro: il futuro delle corsie sarà sempre più rosa ed è giunto il momento che la sanità abbandoni un modello unicamente maschile e si avvii velocemente verso la declinazione di ritmi e organizzazione del lavoro che tenga conto della presenza delle donne.
Su queste premesse l'Anaao Assomed ha promosso la Prima Conferenza Nazionale Donne del sindacato dal titolo "Donne in medicina. Una sfida per la sanità del futuro", che si è svolta oggi a Roma.
Le donne medico oggi rappresentano il 40% del totale, ma sotto i trenta anni (25-29) il 63% è donna. Donne in maggioranza anche fra i 30 e i 34 anni con il 62,73%, dai 35 ai 39 anni con il 62% e sostanziale pareggio nella fascia tra i 40 e i 44 (53%). Per arrivare ad una netta maggioranza degli uomini bisogna aspettare la soglia dei 50 anni e nella fascia d'età che va dai 60 ai 69 anni solo il 18,9% dei medici è donna (dati Onaosi 2012).
Tutti professionisti, però, prossimi alla pensione dunque, e sebbene attualmente il 63,5% degli iscritti complessivi alla Fnomceo sia ancora rappresentato dagli uomini (le donne sono 137.624 sul totale di 376.265 – dati Fnomceo 2012), il sorpasso delle donne sembra essere dietro l’angolo.
La presenza femminile inizia lentamente a coinvolgere anche quelle branche specialistiche storicamente appannaggio dell’universo maschile, come la neurochirurgia e la cardiochirurgia, ma è ancora lunga la strada delle pari opportunità nei posti di potere, strada che assicuri una selezione indenne da condizionamenti e/o pregiudizi di genere.
Infatti le donne che ricoprono incarichi di direttore di struttura complessa sono il 14% (1.272 vs 10.154 uomini) e donne al comando di una struttura semplice sono 5.267, contro 18.472 uomini (il 28%). Difficoltà di carriera che si ripercuote anche sull’ammontare delle retribuzioni e da qui le differenze stipendiali di genere.
Solo il 9% dei Direttori Generali è donna (25 donne contro 273 uomini) e anche raggruppando insieme direttore generale, sanitario, amministrativo e dei servizi sociali non si arriva al 18% delle presenze rosa.
Alla base della discrepanza tra presenza femminile e posizioni apicali vi è sicuramente la difficoltà del connubio carriera/famiglia: inconciliabilità tra i tempi della cura parentale (figli, genitori, familiari con handicap) e i tempi di lavoro, tempi di carriera necessari per raggiungere una posizione verticistica interrotti (o almeno bruscamente rallentati) dalle esigenze fisiologiche di gravidanza, allattamento e cura dei figli. Un dato sconfortante mostra come il 30% delle donne che ricoprono un ruolo importante e di rilievo sia single o separata. Per quanto riguarda gli uomini, sono solo il 10% di loro a vivere una situazione simile. E ancora: una donna medico su tre non ha figli mentre per gli uomini la percentuale si abbassa a circa uno su cinque (13%).
ANALISI DELLE CRITICITA’
Mancata sostituzione per lunghi congedi di maternità e/o parentali
Il lavoro del medico è un lavoro di squadra. L’assenza dal lavoro di una dipendente per motivi correlati alla maternità, qualora questa non venga sostituita viene percepita come una zavorra e contribuisce ad alimentare quel sentimento di ostilità e di sottintesa disapprovazione verso la collega. Sostituire la lavoratrice in maternità non è dunque un diritto della donna stessa, ma è un diritto dell’equipe in cui questa lavora. Un’indagine effettuata dall’Anaao Assomed nelle Aziende sanitarie rileva che attualmente viene sostituito meno del 10% delle donne in astensione dal lavoro con punte addirittura inferiori al 3%.
Vale la pena sottolineare che è poco conosciuto e poco richiesto dai padri italiani (medici compresi) il diritto di usufruire del congedo parentale, anche in contemporanea con il congedo della madre nei primi mesi di vita del figlio, ed in alternativa alla madre nei primi anni di vita dei figli. In ciò si evidenzia un’enorme distanza, non solo normativa ma piuttosto culturale, con altre realtà europee (ad esempio: Svezia, Norvegia, Francia).
Mancata flessibilità dell’orario di lavoro
Nonostante la legge preveda che la flessibilità dell’orario di lavoro (flessibilità entrata/uscita, banca delle ore, accorpamento delle ore nel periodo dell’allattamento) sia promossa e concessa in accordo con il datore di lavoro alla dipendente che ne faccia richiesta, resta nei fatti inapplicata in quei reparti come le camere operatorie, i servizi di guardia, di Pronto Soccorso o di Rianimazione dove si lavora h24.
Questo perché la donna medico, se ne facesse richiesta, rischierebbe di essere relegata a mansioni secondarie come attività di consulenza o ambulatoriale per non ostacolare le consuete attività ospedaliere.
Questa inconciliabilità di tempo e di spazio, soprattutto in determinati momenti della vita familiare, porta la donna a scegliere di subordinare/sacrificare la carriera a favore della vita privata o comunque a sacrificarsi ed impegnarsi molto più degli uomini per raggiungere uno stesso obiettivo (dimostrando così notevoli doti di organizzazione e di spirito di sacrificio). Una recente indagine dell’Ordine dei Medici di Roma ha evidenziato che per le donne medico, che tentano la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa il 55% trascura le relazioni amicali e la cura di se stessa, il 18,6% i divertimenti, il 10% trascura il rapporto di coppia e il 5,5% quello con i figli.
Difficoltà di accesso al part-time
La rigidità delle norme che regolano il part-time consente l’accesso a questo istituto solo in casi particolari e pertanto viene utilizzato in non più del 2% dei casi. Questo dato si discosta lungamente dalla percentuale media europea che è oltre il 30%.
Stress da mancata conciliazione famiglia-lavoro
Rilevare i principali fattori di stress sul posto di lavoro e individuare buone prassi comportamentali e gestionali per la risoluzione degli stessi non è solo un obbligo di legge – come regolamentato dal Dlgs 81/2008 – ma è anche un’arma per aumentare la produttività del personale, diminuire il grado di assenteismo, ridurre la quota di incidenti intra- ed extra- lavorativi, ma soprattutto diminuire il rischio di errore clinico.
Bastano queste osservazioni per comprendere l’importanza di creare condizioni lavorative nelle quali il dipendente (uomo o donna che sia) possa operare serenamente senza avere la preoccupazione di come gestire il figlio piccolo, il familiare anziano o con necessità di assistenza, ecc.
L’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna ha pubblicato uno studio dove ha sottolineato che a risentire dello stress sono soprattutto le donne (anche a causa di cambiamenti ormonali fisiologici nell’età fertile) e i dipendenti che lavorano a contatto con il pubblico. Il medico, con il suo carico lavorativo che prevede turnazioni diurne e notturne, il rapporto con la malattia, la sofferenza e la morte, in più con l’obbligo di un risultato positivo, non può che vedere aumentate le sue fonti di stress.
Assenza di nidi aziendali
Una rilevazione condotta dall’ANAAO ASSOMED ha portato alla luce che gli asili nido sono assenti nel 90% delle strutture ospedaliere (nella regione Campania non vi è un solo asilo nido) o effettuano orari incompatibili con le normali attività di un medico guardia.
Specializzandi e contratti atipici
Il lungo percorso formativo necessario alla laurea in Medicina e Chirurgia, unito ai tempi delle scuole di specializzazione – dai 4 ai 6 anni – vede la donna medico affacciarsi al mondo del lavoro nell’età in cui tempi biologici e tempi sociali chiedono la soddisfazione di un eventuale desiderio di maternità. Rischio biologico, chimico, fisico e psicologico sono presenti nella routine quotidiana ma nessuna garanzia particolare è offerta alla lavoratrice medico che, sempre più spesso, trova impiego con (l’abuso di) contratti atipici nel pubblico impiego.
15 dicembre 2012
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