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Sindromi mielodisplastiche e gestione del paziente settico, l’importanza di una gestione integrata tra clinica e laboratorio


A Roma l'evento ECM “Percorsi clinici in ematologia: la diagnostica integrata delle mielodisplasie e la gestione del paziente settico”, organizzato presso l’Università di Roma Tor Vergata

05 LUG -

Il 3 luglio si è svolto a Roma l’evento “Percorsi clinici in ematologia: la diagnostica integrata delle mielodisplasie e la gestione del paziente settico”, che ha riunito esperti della diagnostica di Laboratorio e clinici, per un confronto su alcuni temi centrali nel campo dell’ematologia con condivisione di studi, esperienze e dati di pratica clinica.

“L’evento è stata l’occasione per fare il punto su alcune tematiche centrali nel campo dell’ematologia – ha dichiarato Sergio Bernardini, Professore presso l’Università di Roma Tor Vergata e Direttore dell’UOC di Medicina di Laboratorio presso il Policlinico Tor Vergata. L’obiettivo era quello di far emergere come, anche nel campo dell’ematologia, sia sempre più necessaria una costante multi-disciplinarietà e collaborazione tra laboratoristi e clinici, per ottenere una valutazione integrata del paziente volta a fornire la migliore qualità delle procedure di diagnosi e cura. E questo è stato possibile grazie al coinvolgimento di alcuni tra i principali referenti della diagnostica di Laboratorio e clinica provenienti non solo dal Lazio, ma da tutta Italia”.

Uno dei temi affrontati nel corso dell’evento è stato “il percorso diagnostico in Laboratorio delle sindromi mielodisplastiche”, di cui in Italia sono affette circa tremila persone sopra i 70 anni. Le sindromi mielodisplastiche (mds) sono un gruppo eterogeno di patologie del sangue e sono dovute al danneggiamento delle cellule staminali del midollo osseo. Si caratterizzano per la riduzione nel sangue di alcune popolazioni cellulari, come i globuli rossi, i globuli bianchi e/o le piastrine.

“Nella maggior parte dei pazienti le mds si presentano con anemia (carenza di globuli rossi) oppure con una neutropenia, (carenza di granulociti neutrofili) e/o con una trombocitopenia (carenza di piastrine). In alcuni casi queste sindromi mielodisplastiche possono trasformarsi in leucemia mieloide acuta” - spiega Giorgio Da Rin, Responsabile del Laboratorio Analisi Cliniche dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. Prima di confermare che una o più di queste carenze cellulari sono dovute ad una mds, è fondamentale escludere altre cause, quali ad esempio il deficit di di vitamina B12 e folati, la carenza di ferro, la presenza di infiammazioni croniche o di malattie renali ed epatiche.

“Inoltre – continua Da Rin - per definire con esattezza il tipo di sindrome mielodisplastica di cui è affetto il paziente è necessario effettuare altri esami specialistici per andare a caratterizzare le cellule presenti nel sangue periferico e nel midollo sia dal punto di vista delle caratteristiche morfologiche (la struttura delle cellule) sia dal punto di vista delle caratteristiche genetiche, per individuare la presenza di eventuali alterazioni del DNA cellulare”.

“Tutto il percorso diagnostico deve essere eseguito in stretta collaborazione e coordinamento tra i professionisti di laboratorio e gli ematologi clinici, garantendo rispetto e attenzione ai bisogni, alle preferenze e ai valori del paziente, il tutto al fine di garantire un’assistenza sanitaria di elevata qualità”.

La necessità di una proficua collaborazione tra clinici e laboratoristi è stato l’elemento centrale del confronto, durante l’evento, sulla gestione del paziente settico. “Oggi la sepsi rappresenta un problema per tutti i clinici, in quanto può complicare il decorso clinico del paziente in situazioni dove una diagnosi precoce potrebbe evitare la progressione di malattia”, ricorda Giustino Parruti, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive della Asl di Pescara. “I casi di sepsi possono essere intercettati in pronto soccorso, ma anche nei reparti di degenza, nelle aree chirurgiche, negli stessi reparti di malattie infettive e di rianimazione, dove i pazienti sono ricoverati per ragioni diverse dalla sepsi. Ed oggi stiamo vivendo un momento di interessante ricerca applicata, nel tentativo di valorizzare un uso congiunto dei biomarcatori che possano supportare una diagnosi tempestiva di sepsi”, ha proseguito Parruti, “molto importante visto la tempo-dipendenza di questa condizione”.

“Spesso ci troviamo di fronte a pazienti ricoverati per politrauma o emorragia cerebrale, che presentano febbre” – spiega Antonella Frattari, responsabile UOS Rianimazione della ASL di Pescara. “In questi casi la diagnosi di sepsi non è semplice, perché la febbre può essere correlata anche allo stress da malattia acuta. Per identificare la sepsi le linee guida suggeriscono di utilizzare la variazione del SOFA, ma – continua la Frattari, spesso questa non è dirimente; d’altro canto, l’utilizzo dei biomarcatori più comuni come la procalcitonina non può essere considerato per l’avvio della terapia antibiotica perché può essere alta dopo un politrauma anche in assenza di sepsi”. Biomarcatori come l’MDW (Monocyte Distribution Width), che misurano la variazione del volume monocitario, sembrano invece non risentire di influenze da politrauma, e sta diventando fondamentale nella pratica clinica per la sua altissima capacità, potere predittivo negativo, di escludere un'attività batteriemica, fungemica o viremia. Il biomarcatore MDW non è influenzato da età, sesso, recente chirurgia, traumi o insufficienza renale – conclude la Frattari, e ci consente un monitoraggio quotidiano dei pazienti; si sta rivelando utile e promettente per intercettare precocemente una sepsi nel paziente critico.”



05 luglio 2024
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