È stato assegnato a Giuseppe Mancia il Premio alla ricerca 2024 della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi). Un riconoscimento che arriva dopo quello della prestigiosa rivista scientifica Plos Biology che nel 2019 aveva proclamato il massino esperto di malattie cardio vascolari italiano come migliore scienziato italiano e 246° nella classifica dei 100mila top-ricercatori mondiali, collocandolo tra i primi 10 riguardo le malattie cardiache e primo assoluto nel campo della ipertensione arteriosa, grazie anche alle sue 200mila citazioni scientifiche.
Il Premio Fadoi è stato assegnato “per il prezioso ed eccezionale contributo alla promozione della ricerca scientifica che si è concentrata sulla prevenzione e sulla metodologia clinica delle malattie cardiovascolari, in particolare sull'ipertensione arteriosa, sempre abbinando la ricerca alla Medicina Interna”, recita la motivazione della Federazione.
“Nel suo intervento di ringraziamento il Professore emerito di Medicina dell’Università “Bicocca” di Milano ha voluto ribadire che quello tra “medicina interna e ricerca è un binomio indissolubile”. Questo perché “se la ricerca specialistica e anche super specialistica è in diversi casi necessaria, ad esempio nella valutazione o validazione di situazioni o strumentazioni specifiche, in un gran numero di casi l’esperienza ed la visione più ampia che può provenire dalla medicina interna si associa ad alcuni innegabili vantaggi”. Almeno tre per il Professore. “Il primo è dato dalla visione olistica del paziente, che non è una parola astratta ma una definizione precisa della realtà quotidiana della medicina di oggi, visto che in molti casi i pazienti presentano più condizioni patologiche”.
In secondo luogo “una naturale, maggiore attenzione alle comparabilità può costituire una prerogativa più frequente nei ricercatori con una formazione internistica”. Altro vantaggio, “con tutte le eccezioni specifiche de caso”, precisa, “è la maggiore apertura agli aspetti della ricerca, forse anche per via del fatto che il medico internista è esposto a una maggiore varietà di situazioni cliniche ed alla necessità di farvi fronte anche in assenza di protocolli diagnostico-terapeutici codificati”. Fatto questo che per il Professor Mancia “può fungere da antidoto alla ‘sindrome a da coltivazione del proprio orticello’ che purtroppo colpisce molti ricercatori”.