Ammalarsi di superlavoro: accade sempre più spesso ai medici, stremati da turni infiniti, carenza di personale, impossibilità di concedersi le ferie o anche solo il giusto riposo. Oggetto di aggressioni e violenze fisiche e verbali. È di ieri l’ultimo grave episodio all’Ospedale San Paolo di Bari, dove una dottoressa in servizio al Pronto soccorso è stata aggredita e schiaffeggiata da una donna, riportando un trauma cervicale con una prognosi di quindici giorni. Qualche giorno fa, all’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII, un altro medico era stato assalito dal padre di un paziente.
Ora la Cassazione, con una recente Ordinanza (Cass. Civ. Sez. lavoro, Ord. 28/02/2023 n° 6008), sancisce la legittimità del risarcimento del danno biologico per il superlavoro del medico, stabilendo che "il limite dell’orario di lavoro deve coincidere con la tutela della salute, con un alleggerimento dell’onere probatorio in capo al lavoratore".
“Questa decisione della Cassazione è importante – spiega il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli - perché mette in evidenza come i ritmi e gli orari di lavoro dei medici, derivanti dalla carenza di personale, incidano non soltanto sulla qualità dell’assistenza e su quella della vita privata e familiare ma abbiano conseguenze dirette sulla salute. Non si tratta più di una mera rivendicazione contrattuale, ma di una questione di salute e di sicurezza sul lavoro”.
Ma vediamo i fatti. Un dirigente medico di primo livello, dipendente di un’Asl, chiama in giudizio l’azienda datrice di lavoro per chiederne la condanna al risarcimento del danno biologico conseguente all’infarto del miocardio subito “a causa del sottodimensionamento dell’organico che l’aveva costretto per molti anni a intollerabili ritmi e turni di lavoro”. La Corte d’Appello respinge il ricorso contro la sentenza di primo grado, sotto diversi profili attinenti al mancato assolvimento dell’onere della prova, onerandone oltre misura il dipendente. Ora la Cassazione ribalta la pronuncia di merito, rimandando il caso alla Corte d’Appello in diversa composizione. In particolare, afferma che il lavoratore è tenuto ad allegare rigorosamente tale inadempimento, evidenziando i relativi fattori di rischio (ad es. modalità qualitative improprie per ritmi o quantità di produzione insostenibili, ovvero secondo misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole).
Secondo i Giudici di legittimità, spetta, invece, al datore dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto non imputabile a sé. Inoltre, evidenzia che Il fatto che sia stata riconosciuta in sede amministrativa la causa di servizio ai fini dell’equo indennizzo e che sia stata prodotta in giudizio la relativa documentazione, se non vale come prova legale (vincolante per il giudice) del nesso causale, ben potrebbe essere prudentemente apprezzata, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., come prova sufficiente di quel nesso, in mancanza di elementi istruttori di segno contrario.
“Tale decisione si inserisce in quel filone giurisprudenziale maggioritario – osserva Anelli - che afferma che il limite dell’orario di lavoro deve coincidere con la tutela della salute e con un alleggerimento dell’onere probatorio in capo al lavoratore. Serve dunque un intervento del legislatore che elimini il tetto ancora oggi previsto per le assunzioni di personale medico e sanitario, e che valorizzi il lavoro dei professionisti sia per condizioni e contesto, sia con un’adeguata remunerazione. E questo non solo in un’ottica di risanamento del Ssn e di sicurezza delle cure e degli operatori, ma anche per preservare il sistema da un punto di vista della sostenibilità economica. In altre parole, meglio investire risorse per prevenire il danno biologico che essere costretti a spenderle per risarcirlo, perdendo risorse umane prima ancora che finanziarie”.
Anche la violenza ha conseguenze sulla salute. “Non dimentichiamo – conclude sempre Anelli, che è anche presidente dell’Ordine dei Medici di Bari – che anche la violenza ha conseguenze sulla salute, immediate ma anche indirette e a lungo termine: eventi cardiovascolari, disturbi post traumatici da stress sono effetti collaterali delle aggressioni, provati dalle evidenze scientifiche e per i quali la stessa Cassazione ha, più volte, riconosciuto un nesso causale. Anche in questo senso chiediamo un intervento, che permetta di applicare pienamente la Legge 113/2020 sulla sicurezza dei professionisti sanitari. Ai medici aggrediti nel barese, che ho già sentito personalmente, va la mia solidarietà di collega, di presidente d’Ordine e di presidente Fnomceo. Ma non basta: dobbiamo agire, per prevenire questi atti che hanno conseguenze sulla salute degli operatori, sulla sicurezza delle cure e sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, sempre più provato dall’abbandono da parte dei professionisti stremati da condizioni di lavoro intollerabili”.