Continuano ad arrivare sentenze favorevoli agli operatori sanitari che, dopo aver contratto il Covid, hanno chiesto il relativo indennizzo alle proprie compagnie assicuratrici e, di fronte al loro diniego, si sono rivolti alla giustizia. L’ultima in ordine di tempo è quella del Tribunale di Parma che, il 7 febbraio scorso, ha sostanzialmente confermato l’orientamento dei tribunali di Torino (n.184/2022), Vercelli (n.383/2022) e Trento (n.102/2022).
La sentenza del Tribunale di Parma
“La pronuncia del Tribunale di Parma – sostiene l’avvocato Francesco Cecconi dello Studio Legale FCA di Firenze e legale della rete di Consulcesi & Partners – conferma la riconducibilità dell’infezione da Covid nell’ambito del concetto di infortunio sulla base di un’attività di interpretazione delle clausole previste dalla stessa polizza e che si riferivano ad infezioni particolari. Tra queste ve ne erano alcune che escludevano l’indennizzabilità degli infortuni derivanti da ‘contaminazione biologica o chimica a seguito di atti di terrorismo di qualsiasi genere’. Ebbene, se la clausola esclude l’infortunio derivante da contaminazione per ragioni riferibili al contesto in cui essa è avvenuta, significa che essa ammette che la contaminazione e l’infezione siano indennizzabili in virtù della definizione ‘base’. Ciò non poteva che significare che le infezioni erano state considerate dalle parti contrattuali come rientranti nel concetto di infortunio, purché ovviamente fossero state riferite ad un evento che presentasse tutte le caratteristiche tipiche degli infortuni (secondo la definizione prevista in polizza) e dunque derivanti da causa esterna, violenta e fortuita. Circostanza confermata dallo stesso giudice”.
L’accordo transattivo con cui la compagnia assicurativa ha indennizzato un medico
La letteratura medico-legale
“Queste sentenze, compresa quella del Tribunale di Parma, confermano la riconducibilità dell’infezione da Covid nell’ambito del concetto di infortunio, e sono dunque indennizzabili”, spiega ancora l’avvocato Cecconi: “Prima della pandemia da Sars-CoV-2 la letteratura medico-legale era pressoché concorde nel ritenere che le infezioni caratterizzate da virulenza fossero riconducibili al concetto di infortunio e quindi indennizzabili, salvo la presenza di clausole di esclusione specifiche. A seguito della pandemia, invece, si sono registrati pareri divergenti nella comunità scientifica medico-legale ma forse più per il timore, da parte delle compagnie, che l’apertura verso questo tipo di indennizzo potesse provocare un proliferare di altre richieste”.
La diatriba tecnico-giuridica
L’avvocato spiega che “la diatriba tecnico-giuridica è incentrata sulla interpretazione del concetto di causa violenta. Parte della dottrina ritiene che l’infezione da Covid non abbia questa caratteristica perché la contrazione dell’infezione non sarebbe caratterizzata da un evento immediato e concentrato nel tempo. Altra dottrina ritiene invece che la contrazione del Covid sia caratterizzata proprio da un’azione rapida e concentrata nel tempo, tanto da sconvolgere la salute di una persona in poche ore. Si equipara dunque il concetto di violenza con quello di virulenza, ossia di una infezione acuta e capace di alterare la salute di un soggetto e portarlo addirittura alla morte in pochissimo tempo”.
La disparità tra medici privati e pubblici
La ritrosia delle compagnie nel riconoscere il Covid quale infortunio ha creato una disparità di trattamento molto evidente tra i professionisti sanitari dipendenti di strutture pubbliche e quelli privati. In favore dei primi, infatti, era intervenuto il decreto Cura Italia che ha riconosciuto l’infezione da Covid come infortunio e sono dunque tutelati dalla legge. I professionisti non soggetti all’Inail, e dunque mmg, pediatri, dentisti e così via, non sono coperti allo stesso modo. “Si tratta – spiega l’avvocato – di una disparità di trattamento eclatante. Mentre gli ospedalieri sono tutelati con la copertura Inail, grazie ad una norma ad hoc emanata per stabilire che il Covid è un infortunio, per tutti gli altri ciò non accade. Da allora sono passati un paio di anni ma non c’è stato l’auspicato intervento del legislatore per istituire almeno un fondo che prevedesse ristori per questi medici di fatto esclusi dall’indennizzo”. La giurisprudenza, però, è andata avanti: “Le prime pronunce dei tribunali erano negative per i medici o i famigliari di operatori deceduti a causa del Covid. Dal 2022 in poi, però, la giurisprudenza si sta stabilizzando nel senso opposto: viene riconosciuta la riconducibilità dell’infezione da Covid, in quanto violenta e acuta, nell’ambito del concetto dell’infortunio. E la sentenza del Tribunale di Vercelli dell’agosto 2022 ha stabilito il principio che ci aspettavamo tutti: anche ai medici privati si applica l’articolo 42 del decreto Cura Italia”.
I presupposti per l’indennizzabilità
Ma quali sono i presupposti per ottenere dalla propria compagnia assicuratrice un indennizzo? Chiunque abbia contratto il Covid, anche solo in forma asintomatica, può accedervi? “Anzitutto – spiega l’avvocato di Consulcesi & Partners –, è necessaria l’esistenza di un nesso di causalità tra infezione e lesioni permanenti o, nel peggiore dei casi, il decesso del cliente. È fondamentale, inoltre, che non vi siano preesistenze o comorbilità che possano essere state concause delle lesioni o del decesso. L’accertamento di questi requisiti è di competenza del medico legale. Inoltre, la polizza non deve presentare clausole di esclusione specifiche, come quelle che prevedono la non indennizzabilità delle infezioni virali in generale o addirittura da Covid. Per alcune tipologie di polizze (per es. dell’EMPAS a favore di medici di continuità assistenziale), è necessario anche che l’infezione sia stata contratta “in occasione di lavoro”: in tal caso potrà reclamare l’applicazione dei principi dettati dall’art. 42 del DL 18/2020 compresi quelli previsti dalla circolare Inail n. 13 del 2020 che prevede anche una presunzione semplice a favore degli operatori sanitari per cui in caso di dubbi o difficoltà di prova circa l’origine della infezione, si presume che sia stata contratta in occasione del lavoro”, conclude l’avvocato Cecconi.
Arnaldo Iodice