Infermieri. Fnopi: “È un lavoro usurante, non solo gravoso”
Audizione della Federazione alla Commissione Lavoro del Senato: “Oggi, nelle disposizioni sui lavori usuranti gli infermieri rientrano solo in via residuale tra la generalità dei lavoratori notturni e quelli che ne beneficiano in concreto sono pochi: l’attività usurante viene riconosciuta solo nei casi in cui i dipendenti prestino servizio per almeno 6 ore del periodo notturno e per un minimo di 78 notti ogni anno”. IL DOCUMENTO
08 FEB - Quello degli infermieri è un lavoro usurante e non “gravoso” come è stato finora catalogato togliendo alla categoria una serie di facilitazioni organizzative e previdenziali. Non ha dubbi la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), che in audizione alla Commissione Lavoro del Senato ha spiegato e articolato le ragioni di questa affermazione.
“Oggi, nelle disposizioni sui lavori usuranti – ha spiegato durante l’audizione
Carmelo Gagliano, componente del Comitato centrale FNOPI e presidente dell’ordine di Genova - gli infermieri rientrano solo in via residuale tra la generalità dei lavoratori notturni e quelli che ne beneficiano in concreto sono pochi: l’attività usurante viene riconosciuta solo nei casi in cui i dipendenti prestino servizio per almeno 6 ore del periodo notturno e per un minimo di 78 notti ogni anno. Sono poi considerati come usuranti anche quei lavori in cui l’impiego nella fascia 24:00-05:00 è di sole 3 ore, ma per un periodo di lavoro pari all’intero anno lavorativo”.
“Al di là delle evidenze emerse durante la pandemia, che dovrebbero aver allontanato ogni dubbio circa il lavoro su turni, spesso inesistenti per il protrarsi dell’attività accanto agli assistiti – ha proseguito -, sull’impegno fisico e su quello mentale, ormai da anni (e ben prima del 2011) gli infermieri sono chiamati a svolgere un’attività sempre superiore a quella dettata dai normali turni di lavoro, come dimostrano anche le somme erogate dalle singole Regioni per straordinari a partire dal 2009, legata alla carenza di organici che non può essere risolta a breve termine”.
I dati illustrati alla Commissione parlano chiaro.
Al di là della pandemia, a certificare la complessità del lavoro svolto dall’Infermiere e il carico di lavoro usurante, c’è una ricerca del Cergas Bocconi che ha certificato come l’11,8% degli organici di Asl e ospedali – e tra questi il 16% circa degli infermieri in servizio - presenta inidoneità fisiche che ne limitano la mansione svolta e di questi il 7,8% presenta inidoneità parziali permanenti.
La qualità, la tipologia, le peculiarità del servizio infermieristico e il carattere stressante dell’attività svolta, pongono sicuramente gli infermieri non solo tra i lavori cosiddetti “gravosi”, ma sicuramente tra quelli “usuranti”. Durante la pandemia – ma questo avviene anche al di fuori del periodo pandemico per far fronte alle carenze di personale - agli infermieri sono state richieste precise competenze per far fronte da una lato alle esigenze delle terapie intensive, dall’altro dell’assistenza ai malati Covid sul territorio e, dall’altro ancora, a quelle dei malati non Covid sempre sul territorio, ma anche in ospedale, che oggi rappresentano i maggior problema da risolvere per quanto riguarda i bisogni di salute, l’aggravarsi delle condizioni cliniche e le liste di attesa.
Tutto questo ha portato burnout e stress psico-fisico: durante COVID-19 queste sintomatologie hanno colpito tra il 30 e il 50% degli operatori sanitari e a fine pandemia possono lasciare tracce indelebili.
Gli Infermieri rientrano a pieno titolo tra le professioni che si trovano a dover subire infortuni che evolvono verso malattie professionali a causa della peculiare attività lavorativa svolta.
Una recente ricerca svolta in Emilia-Romagna indica che su 2.439 casi di malattie professionali denunciate nella Regione nel periodo posto in osservazione, la maggior parte dei casi riguarda lavoratori per l’88% di sesso femminile, di età superiore ai 50 anni (76%) e gli infortunati svolgono prevalentemente il lavoro di infermiere (32%).
Per non parlare della violenza (fisica o verbale) che ha coinvolto finora l’89% degli infermieri.
“Non si può utilizzare il mero parametro nel numero di turni di notte effettuati nell'arco dell'anno – conclude Gagliano - come prevede ora la legge: prestare servizio per dieci ore di notte in condizioni massima allerta, in un servizio di rianimazione o ad un tavolo operatorio, dove ogni istante l'allarme di un respiratore automatico può richiedere un immediato intervento salvavita, non è come essere adibiti ad una catena di montaggio. Gli infermieri sono responsabili di vite umane e questo, come ormai tutti dovrebbero sapere, non è davvero un compito solo ‘gravoso’”.
08 febbraio 2022
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