Spending review. Assobiomedica: “A rischio qualità, ricerca e sviluppo e occupazione”
A lanciare l’allarme insieme alle imprese, le società scientifiche che dicono no ai tagli lineari: “Così si mette a rischio la salute dei pazienti”. Per il presidente Rimondi, dietro le scelte del Governo si nasconde la volontà di spingere la sanità privata, tutta di serie A.
24 LUG - La spending review proprio non va: verrà meno la possibilità per le aziende di investire in ricerca e sviluppo, i prezzi di riferimento minimi potrebbero creare solo monopoli a discapito della qualità dei prodotti. Aumenterà il rischio di delocalizzazione delle imprese con conseguenze devastanti per l’occupazione. Soprattutto si creerà una sanità di serie A tutta declinata verso il privato, per chi potrà permettersela, e una di serie B pubblica per i cittadini meno abbienti.
È questo l’allarme lanciato da Assibiomedica e Società scientifiche in una conferenza stampa congiunta organizzata oggi nella Capitale.
“La sanità non è considerata da questo Governo una priorità – ha detto
Stefano Rimondi presidente di Assobiomedica – con questo provvedimento perderemo in ricerca e sviluppo e si creeranno grandi problemi occupazionali. Il taglio indiscriminato del 5% sui contratti è una mazzata per le amministrazioni virtuose, che già hanno i costi sotto controllo, mentre non sposta molto le cose per chi spreca. L'imposizione dei prezzi di riferimento regolati al ribasso farà sì invece che nessuno avrà più interesse a introdurre prodotti innovativi sul mercato, ma cercherà di abbassare le spese. Da anni – ha aggiunto – proponiamo un osservatorio degli acquisti che vada a chiarire l’insieme dei prodotti e servizi per valutarne la congruità. Una proposta sempre ignorata perché probabilmente richiede un grande sforzo lavorativo, mentre è più semplice tagliare. Così come esiste un rischio delocalizzazione: se l’unico modo per stare sul mercato è abbattere i costi di produzione molto al disotto degli attuali si perde interesse perché vuol dire non fare più ricerca, e così si va a produrre dove il costo del lavoro è nettamente inferiore”.
Soprattutto l’effetto combinato di questi elementi porterà ad un inevitabile scadimento della qualità terapeutica: “Ci sarà una sanità pubblica di serie B, con dispositivi obsoleti e di scarsa qualità con un inevitabile abbattimento dei Lea – ha aggiunto Rimondi - e una privata di serie A che però pochi potranno permettersi. Questa è una scelta politica precisa, e non credo sia casuale, e allora lo si dica chiaramente”.
Insomma un quadro allarmante condiviso da
Marco D'Imporzano, presidente del Collegio Italiano dei Chirurghi: "Le società scientifiche sono sempre state pronte ad indicare dove sono i veri sprechi, e come intervenire - ha affermato - ma non sono mai state ascoltate, e non lo sono neanche ora. Inutilmente abbiamo invocato la costituzione di tavoli tecnici. E ora il sistema è fallito, abbiamo solo provvedimenti a cerotto. Anche il riferimento ai prezzi di riferimento minimo può essere assimilato alla scelta di un orologio di plastica”.
Se in generale le cure salvavita non sono a rischio, ha spiegato
Luigi Padeletti, presidente dell'associazione italiana di aritmologia, le conseguenze sono comunque gravi: "Non credo che i pazienti non avranno più il pacemaker - ha affermato - però avranno quello di qualità peggiore. Un paese che non puo' offrire la cura più idonea non è un paese civile”.
A pagare saranno anche i giovani medici: “assisteremo ancora di più ad una fuga di cervelli se non c’è la possibilità di fare ricerca. Ed anche i nostri pazienti emigreranno laddove l’innovazione è garantita. Le migliori terapie saranno garantite solo dal censo”.
24 luglio 2012
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