Colasanto: “I professionisti della sanità devono ritrovare il protagonismo”
20 GIU - “Il lavoro è la chiave di volta di ogni cambiamento in sanità, ma oggi il lavoro manca di protagonismo. Un protagonismo che i professionisti della sanità devono ritrovare”. Ad affermarlo è stato Michele Colasanto, ordinario di sociologia e dei processi economici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, introducendo ieri pomeriggio la tavola rotonda con i professionisti della sanità promossa nell’ambito della seconda giornata di lavoro del convegno organizzato dall’Ufficio per la pastorale sanitaria della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) dal titolo
Un nuovo paradigma per la sanità in Italia. La Chiesa a servizio del cambiamento. Un paradigma che, secondo la Cei, deve essere incentrato sulla centralità della persona, sull’umanizzazione, sul dialogo e l’ascolto, sull’equità e sulla valorizzazione della dignità della persona e sulla collaborazione tra tutti i professionisti, ma anche tra tutti i cittadini, per realizzare un vero welfare solidale.
Secondo Colasanto, “è paradossale come invece in Italia il lavoro sia stato sempre ‘perdente’. Alla crisi, infatti, invece di investire sulle energie umane, si è sempre pensato di rispondere tagliando sul lavoro”. E anche oggi “nel decreto anticrisi non c’è quella giusta spinta sulla risorsa della forza lavoro di cui l’Italia, invece, avrebbe bisogno”. Perché, ha osservato l’esperto, “quale risorsa migliore c’è degli uomini, della loro volontà e delle loro intelligenze?”. Occorre allora, secondo Colasanto, “assegnare un ruolo alle persone, dargli centralità, anche come lavoratori”.
Riscoprire la forza del lavoro, per l’esperto della Cattolica, significa però anche ripensare lo strumento contrattuale, “che deve essere più attento a garantire la qualità del lavoro inteso come sicurezza, come sviluppo e aggiornamento delle abilità professionali, come salute e benessere sui luoghi di lavoro e anche come conciliazione tra vita lavorativa e vita privata”. Una cosa che anche in sanità ancora manca. “Le donne, ad esempio, sono sempre più numerose in sanità, eppure il precariato è soprattutto femminile. Anche a causa della mancanza di una conciliazione con la vita privata. Credo che questo sia un aspetto su cui occorra riflettere e intervenire”.
Ma essenziale, se si vuole davvero creare un nuovo paradigma della sanità, è anche “ricomporre la frattura tra la cura e il care, cioè il prendersi cura”, ha evidenziato Colasanto. Perché oggi “gli standard vengono contrapposti alle eccellenze, la selettività svilisce l’universalismo, c’è povertà di servizi e non c’è servizio ai poveri, c’è una questione economica che non permette di sviluppare la sanità e c’è, appunto, un obiettivo cura che ha trascurato l’importanza del prendersi cura”.
Per Colasanto, “il welfare e la sanità hanno qualche responsabilità di quello che sta accadendo. Se non altro là dove si sono fatte promotori di attese e di promesse di un benessere che nel tempo si è tradotto nella ricerca della felicità. Una promessa di felicità che la sanità ha contribuito a veicolare”. Se allora “non è sempre possibile prevedere tutte le evoluzioni che la sanità, in tutti gli elementi che la compongono, subirà nel tempo, è però necessario – ha concluso Colasanto – dotarsi di strumenti di programmazione, intesi come linee l’individuazione di linee di linee di tendenza verso cui potersi orientare”. E questo deve avvenire “non solo guardando al macro sistema, ma anche al microsistemi, cioè alle comunità”.
20 giugno 2012
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