Stati Generali: “questione medica”
di Ivan Cavicchi
20 DIC - Come ha ben spiegato il Presidente Anelli
nella sua presentazione, la convocazione degli Stati Generali della professione medica è una decisione politica presa dal Consiglio Nazionale della FNOMCeO il 24 marzo 2018, su proposta del Presidente Anelli, discussa e approvata, preliminarmente, dal Comitato Centrale.
Si tratta di una scelta politica di importanza storica che bisogna comprendere a fondo per non sottovalutarne, o peggio, per non equivocarne la portata.
Non si tratta della solita formale, quanto spettacolare, conferenza nazionale della professione, quindi, sul piano pratico, inconseguente ma, al contrario, di uno straordinario momento deliberativo, aperto all’intera professione, in tutte le sue forme, espressioni e organizzazioni, che, alla fine di un percorso progettuale condiviso, delibererà una piattaforma sulla ridefinizione operativa del medico e della medicina, da oggi al futuro.
Lo scopo è ricontestualizzare la professione rispetto alle numerose complessità che, oggi, in questa società e nel mondo, tutto sfidano senza alcuna eccezione, compresa la professione medica, la medicina e la sanità. Il carattere deliberativo dell’evento impone che gli Stati Generali siano adeguatamente preparati da una discussione preliminare estesa prima di tutto a tutti gli Ordini, al fine di coinvolgere attivamente la professione reale in ogni realtà territoriale e operativa del nostro paese e quindi a tutti gli interlocutori possibili.
Perché gli Stati Generali? La ragione che spiega e giustifica la scelta di convocare gli Stati Generali è semplicemente politica e culturale e riguarda quello che è stato definito anche nella presentazione del Presidente Anelli “un cambio di passo” (relazione Anelli al Consiglio Nazionale 24 marzo 2018); più precisamente si tratta di un cambio:
• nell’analisi e nella lettura dei problemi della professione
• nella ricerca delle soluzioni necessarie
• nelle modalità attraverso le quali la professione si pone nei confronti del mondo con il quale intende rapportarsi in modo autonomo dialettico e costruttivo.
Sino ad ora i problemi della professione sono stati letti semplicemente come riduzione o condizionamento di alcune sue facoltà caratteristiche (l’autonomia professionale ad esempio) riconducibili per lo più ad alcuni particolari fattori ostili e contrastanti di natura politica (de-finanziamento, aziendalismo, blocco del turn over ecc).
Tale lettura si poggiava:
• sull’assunto della “professione invariante”, cioè sulla difesa di un genere di medico indiscutibile, tuttavia da rilegittimare, ma danneggiato nella sua operatività da politiche “espropriative” dalle quali bisognava difenderlo
• sulla visione contingente dei problemi professionali, cioè per lo più legati a politiche avverse, comunque ridiscutibili e comunque relative a fasi critiche e effimere
• su un presupposto di facile reversibilità dei problemi della professione, quindi sulla difesa e sulla ricostruzione del suo caratteristico status quo • sul ruolo della mediazione politica accettando comunque l’adattamento del medico a politiche di compatibilità giudicate relativamente inevitabili.
Oggi con il “cambio di passo” la lettura è cambiata:
• il medico è coinvolto in una crisi che prima di ogni cosa coinvolge l’intera medicina che a sua volta si origina da grossi problemi paradigmatici per cui è certamente vittima di politiche avverse ma tali politiche anche congiunturali si originano comunque da cambiamenti molto più profondi di tipo epocale, con i quali bisogna fare i conti
• è del tutto improbabile la difesa dell’invarianza dello status quo classico del medico e la possibilità di contro-vertere i processi in corso che lo stanno trasformando in peggio alla radice
• la mediazione politica è necessaria ma non basta più, meno che mai in un contesto politico che nel nostro paese vede la nascita della Terza Repubblica e lo sfaldarsi di vecchie forme di consociativismo
• la rassegnazione alle politiche di compatibilità oggi è ridiscussa dalla necessità non più rinviabile di altri generi di approcci.
Prima del “cambio di passo” i problemi della professione sono stati letti come “complicazioni” non come “complessità”, come “interferenze” nei confronti di un grado di autonomia ma in nessun caso come “destrutturazione” dell’autonomia, come “delegittimazione” mai come possibile “snaturamento” e come regressività di uno status rispetto ad un paradigma.
In sintesi: il “cambio di passo” quindi la nuova lettura ammette, per la prima volta, l’esistenza tanto di una crisi della medicina scientifica quanto di una “crisi professionale” di tipo epocale, definita “questione medica” relativa certo a ragioni contingenti e politiche ma anche se non soprattutto a profonde contraddizioni proprie al paradigma fondante della professione medica e che in quanto tale, prima di ogni cosa, bisogna ammettere e accettare.
Qual è il problema di fondo che gli Stati Generali dovranno affrontare? La questione sovrana relativa all’espressione adottata dalla FNOMCeO “questione medica” e che ne caratterizza ormai la strategia, è quale identità deve avere il medico, cioè un medico sempre più in conflitto tra i suoi doveri deontologici e la sua controversa realtà professionale.
La domanda cruciale alla quale gli Stati Generali dovranno rispondere è: quale medico serve da qui in avanti che sia comunque un medico, quindi con una identità da medico, per risolvere in avanti la crisi della professione in questo nostro tempo storico rispondendo ad una ad una alle sfide sul tappeto?
Ma si può avere una nuova professione a medicina invariante? Cioè è possibile ridefinire un nuovo medico senza nello stesso tempo ridefinire una nuova medicina?
Il medico altro non è se non la proiezione ortogonale di una certa medicina scientifica, di una certa idea di scienza, di una certa idea di malattia, di medicina, di metodo, di malato, di società sorta e affermatasi a partire dalla fine dell’800 e consolidatasi per tutto il 900.
Se egli è in crisi, lo è in ragione della “questione medica” o perché la “questione medica” è l’effetto sociale di una crisi paradigmatica più profonda? In sostanza:
• la piattaforma che gli Stati Generali, come risposta alla crisi della professione, dovranno licenziare, dovrà avanzare una proposta di medico del terzo millennio, desunta e dedotta certo dalla “questione medica” ma considerandola espressione anche di una consunzione paradigmatica più profonda quindi intesa come sua risoluzione, al fine di aprire un negoziato con le diverse controparti coinvolte
• rispetto alla piattaforma, l’identità del medico non dovrebbe essere dedotta per compensazione dalla crisi del suo ruolo cioè restituendo qualcosa che è stato in qualche modo estorto, ma dovrebbe essere l’inferenza di un nuovo progetto di professione che passa per un ruolo del tutto rinnovato ma anche se non prima di tutto per una nuova e più moderna idea di medicina.
Il problema dell’identità del medico non si risolve con una definizione ma si costruisce come un mosaico deducendola quale soluzione finale da tutte le problematiche insite nella questione medica e nella crisi del paradigma esattamente di quello positivista.
Stati Generali: “questione medica”
La crisi della professione medica altrimenti definita “questione medica” può avere due significati, uno in senso negativo e uno in senso positivo:
• essere l’occasione per lo Stato che non ha nessuna idea di come ridefinire la medicina e la professione, di accrescere per ragioni finanziarie, e non solo, i limiti da imporre alla professione e quindi negarle delle possibilità trasformative di crescita
• essere l’occasione per la professione rispetto alla Stato al quale ci si rivolge a partire da una idea più moderna di medicina, per trasformare in nome della società, i limiti che si vorrebbero imporre alla professione in nuove possibilità professionali.
Se:
• non si ammette preliminarmente l’esistenza di una crisi della professione quale crisi della medicina, in nessun caso è possibile attivare ciò che serve per la sua risoluzione e meno che mai organizzare gli Stati Generali utili e convincenti
• al contrario, la crisi viene negata, non c’è nessuna ragione per fare gli Stati Generali e quindi assumere politiche straordinarie che rilancino nel mondo che cambia una professione rinnovata attraverso pure una medina rinnovata.
Se si è deciso di fare gli Stati Generali, è perché si tratta di mettere in campo una nuova idea di medicina e di medico, in luogo di quelle tradizionali ormai ampiamente contraddette dai fatti della storia e dalle politiche che dietro di essi si manifestano. Il tempo dell’apologia è finito.
Si tratta, in modo pragmatico, di fare i conti, alla pari, con la realtà. Questa società e questo Stato chiedono sotto forma di conflitti, problemi economici, sociali, culturali, organizzativi, professionali, disagi, delegittimazioni, un altro genere di medico e di medicina.
A noi tocca l’onere della proposta perché allo stato attuale delle cose non c’è nessun altro sulla piazza con una proposta decente, meno che mai lo Stato. Si rammenti che nelle situazioni di crisi come in qualsiasi tempesta se non si ha una rotta per andare avanti il rischio di tornare indietro è molto forte.
Se non si ha un pensiero riformatore contro-riformare diventa quasi inevitabile. Il senso politico di fondo degli Stati Generali è quello di fare della crisi a un tempo della medicina e del medico, una grande possibilità di crescita della professione investendo sulle generazioni presenti e su quelle che verranno.
Stati Generali piattaforma e controparti
Lo scopo pratico degli Stati Generali è varare una piattaforma per la rilegittimazione completa della professione. Il termine “piattaforma” in genere è un termine usato nel mondo della politica e più propriamente in quello sindacale.
Nel caso degli Stati Generali con “piattaforma” si intende un programma, assunto dalla FNOMCeO come base di una azione politica, culturale e sindacale di tipo rivendicativo, che definisce l’insieme di obiettivi che essa si propone e dichiara di voler conseguire per i proprî rappresentati, attraverso dei negoziati con le contro parti istituzionali e sociali più adeguate. Ma chi sono le controparti di questa eventuale piattaforma?
Se accettiamo che la “questione medica” sia tale, in ragione di una crisi epocale della medicina e quindi di tanti tipi di problematiche, coesistenti e compresenti, simultaneamente, in uno spazio di tempo storico, allora dobbiamo pensare che, in ragione di tali problematiche diverse, per una eventuale piattaforma, esistano altrettanti controparti.
Per gli Stati Generali non esiste una sola controparte, ma tutte quelle che, specificamente, corrispondono ai difficili rapporti tra medicina e società, alle sue difficoltà in ordine alla crisi del paradigma, alla crisi della professione causata anche dai limiti economici che condizionano la sua autonomia di giudizio, ai disagi relativi ad una idea nuova di scienza, ai suoi problemi lavorativi.
Le controparti quindi saranno:
• quella sociale cioè il soggetto sociale vale a dire colui che chiede aiuto alla medicina, ossia la persona, il cittadino, la comunità e i loro rappresentanti verso i quali nella piattaforma si dovrà prevedere una proposta di un nuovo contratto sociale su base affidataria e fiduciaria tra medicina e cittadini
• quella politica del governo che, a vari livelli, gestisce il sistema sanitario nelle sue varie forme, organizzazione, servizi, rispetto al quale la piattaforma dovrà definire una nuova idea di medico autonomo e responsabile anche per l’impiego delle risorse, cioè un medico che garantisce sostenibilità
• quella scientifica quindi l’università, le società scientifiche, il mondo della ricerca verso il quale la piattaforma avanzerà nuove proposte di medicina e di formazione del medico nel quadro di una idea di scienza aggiornata e ricontestualizzata alla luce delle complessità da affrontare
• quella sindacale e delle sue controparti, rispetto alla quale la piattaforma dovrà avanzare una proposta di riforma delle prassi e delle forme storiche di cooperazione interprofessionali e delle metodologie pragmatiche.
La deontologia come base della piattaforma
Se l’identità del medico è la meta-questione che sovraintende l’intera questione medica, quindi è la proposta operativa tout court, allora la deontologia dovrà essere la meta-soluzione dalla quale tutte le proposte della piattaforma dovranno obbligatoriamente riferirsi.
La deontologia è la regola di autogoverno della professione e in quanto tale è la base valoriale a partire dalla quale si predefiniranno i postulati e i presupposti dai quali dovranno partire le proposte che si rivolgeranno alla società, al governo nei suoi vari livelli, al mondo della scienza e al mondo del lavoro.
La deontologia, per questo, come detto chiaramente dal Presidente Anelli al Consiglio Nazionale del 24 marzo 2018, dovrà essere radicalmente riconcepita. Ma anche in questo caso la domanda che si impone è: è possibile risolvere i problemi deontologici del medico senza affrontare i problemi del paradigma della medicina?
Se i comportamenti dei medici avvengono secondo scienza e coscienza, è possibile ridefinirli deontologicamente senza prima ridefinire cosa sia oggi scienza e cosa sia coscienza?
O scienza e coscienza sono da assumere come costanti e invarianti nel tempo?
Non si tratta più di aggiornare le condotte professionali come è stato fatto sino ad ora cioè a partire dal 1903 al 2014, ma di definire, questa volta, a partire dalla “questione medica” come espressione di una crisi paradigmatica più profonda e assunta come un nuovo principio di realtà, una deontologia dell’identità e del ruolo, quale soluzione alle principali problematiche che costituiscono la questione medica, ad una ad una ma sapendo bene che l’identità professionale è speculare all’identità complessa della medicina nei suoi rapporti con la società.
Questo significa che la deontologia rispetto agli Stati Generali in ragione della ridefinizione dell’identità medica non potrà più essere concepita come se fosse un “codice civile” della professione, ma dovrà essere concepita come una carta costituzionale che in quanto tale “costituisce” o “ri-costituisce” l’identità del medico quale risposta alla sua crisi a partire da una nuova idea di medicina.
Il nuovo codice deontologico, in questo senso, è chiamato a svolgere una funzione di coordinamento delle diverse proposte della piattaforma. Al fine di implementare il lavoro di ridefinizione della deontologia, gli Stati Generali assumono, come base di elaborazione, il lavoro di riforma della deontologia presentato ufficialmente il 23 giugno a Trento dall’Ordine di Trento, con il sostegno della FNOMCeO, acquisendolo come parte integrante di queste tesi.
Schema di lavoro: premessa macro aree e tesi
Per favorire e incoraggiare la discussione ci serviremo dello strumento delle “tesi” vale a dire di particolari asserzioni di natura diversa, attinenti alla crisi della medicina e alla crisi del medico.
Il fine è enunciare in modo possibilmente chiaro e sintetico delle analisi, delle convinzioni, delle proposte e promuoverne la discussione fino a costruire una piattaforma di cambiamento.
Le tesi che qui presentiamo, quindi, hanno lo scopo di assistere gli Ordini nell’indirizzare e nell’aiutare la discussione, della quale abbiamo bisogno per assicurare agli Stati Generali un carattere di partecipazione vasto e condiviso, con la speranza, nello stesso tempo, di ricevere proposte, suggerimenti, critiche costruttive condivisioni.
Le tesi per ragioni pratiche saranno raggruppate in 6 macro aree:
• quella relativa alla analisi della crisi della medicina e di conseguenza della professione e che funzionerà da premessa
• quella sociale cioè il rapporto a volte conflittuale e comunque difficile tra medicina e società, quindi il tema fondamentale delle relazioni con gli altri, del rapporto fiduciario ecc
• quella economica, gestionale, organizzativa cioè la forte esigenza per chi gestisce di chiedere al medico di essere comunque “sostenibile” con le risorse disponibili
• quella scientifica-culturale, cioè il problema di aggiornare l’idea di clinica, alla luce sia dei cambiamenti del concetto di scienza, sia dei cambiamenti del genere di domanda che oggi la medicina riceve, sia per governare i sempre più crescenti gradi di complessità del discorso salute/malattia, sia per affrontare il grande problemi dei modi di essere di conoscere e di agire, del medico nei confronti della irriducibile singolarità malato, ormai a un tempo, persona, cittadino e malato
• quelle del lavoro, cioè il discorso sulle prassi, sulle organizzazioni dei servizi, sul modello di governo e il lavoro, sul lavoro dipendente, sulle forme storiche di cooperazione con altre professioni, sui ruoli, i compiti e degli impegni ecc.
• quella conclusiva il medico e il futuro dove si abbozzerà una idea di nuova medicina e di nuovo medico.
Rappresentazione delle tesi
Abbiamo pensato di organizzare le tesi attraverso una rappresentazione che metta chiunque in grado di rendersi conto a fondo, anche se nel modo più sintetico possibile, della complessità, con la quale abbiamo a che fare.
Il nostro obiettivo è certo quello di far partire una discussione ma anche quello di mettere chiunque in grado di comprendere bene di cosa si sta parlando sapendo noi bene che su moltissime questioni in modo particolare quelle che attengono il paradigma, la medicina, la scienza, l’epistemologia, c’è bisogno per molti di noi di un supplemento di spiegazione.
In un certo senso il medico, il cittadino, chiunque di noi davanti a qualsiasi crisi si trova nella situazione di colui che subisce le conseguenze di un terremoto e che per ovvie ragioni sanno tutto sui suoi effetti ma sanno poco o nulla delle cause profonde che lo hanno scatenato.
Per saperne qualcosa di più costoro devono consultare i geologi, i sismologi cioè coloro che al contrario studiano per mestiere la genesi e le dinamiche dei terremoti.
Quindi non si tratta di ignoranza, sia chiaro, i medici fanno i medici ed hanno le loro conoscenze ma per comprendere i problemi dei paradigmi, delle crisi, dei modelli abbiamo bisogno di altri generi di conoscenze che vanno ben oltre quelle del medico, esattamente come i terremotati e i sismologi che rispetto al terremoto quale fenomeno comune hanno conoscenze diverse.
La commissione che il Comitato Centrale della FNOMCeO ha istituito per organizzare gli Stati Generali, è stata concepita per mettere insieme “terremotati e sismologi” cioè per mettere insieme, rispetto a un comune problema, il “terremoto”, conoscenze diverse in modo da comprendere bene tanto gli effetti che le cause, nel senso di farli cooperare dal momento gli uni senza gli altri e viceversa non sono facilmente comprensibili.
Torniamo allo schema che abbiamo deciso per rappresentare al meglio la complessità di una crisi professionale.
È una rappresentazione:
• che non vuole essere “la lista della spesa” cioè che non si limita a enunciare le tesi come se fossero delle petizioni di principio isolandole dalla loro genesi e dai contesti che le giustificano e le spiegano,
• ma è uno schema che fa derivare le tesi da una analisi per quanto sintetica mettendo a confronto i fatti della realtà con le loro contraddizioni o con i loro problemi cioè ricavando le tesi da un confronto tra i problemi del medico e della medicina e il nostro tempo.
• Qualunque crisi nasce perché qualcosa nei confronti della realtà non funziona più, o si rompe, o si consuma o diventa inadeguato, o subisce gli effetti di cambiamenti contrari, nuove condizioni di contesto.
Resta il fatto che la crisi è il prevalere di una asimmetria:
• tra ciò che è stato
• ciò che è in realtà
• ciò che dovrebbe essere.
Il medico oggi si trova in una curiosa situazione:
• non è più quello per il quale è stato progettato circa un secolo fa e che per almeno un secolo è stato, perché per tante ragioni il suo ruolo e la sua identità si sono deteriorati diventando suo malgrado la sua versione peggiore • non è ancora quello che per tante ragioni dovrebbe essere, nel senso che per diventare altro da quello che è, prima deve risolvere la sua crisi professionale.
Quindi il medico si trova tra ciò che è stato, ciò che è suo malgrado e ciò che dovrebbe essere. Lo schema che abbiamo adottato vuole dare il senso di questa complessità e difficile transizione ma soprattutto vuole spiegarla perché il senso della transizione, del passaggio, del cambiamento sia colto e condiviso da tutti.
Lo schema di rappresentazione
Cominciamo a spiegare i concetti e le parole:
Sinossi,è una esposizione sintetica e schematica di una questione, con l’intento di anticipare il senso di quello che si intende discutere e che compendia il molteplice sotto una idea.
Proposizioni, cioè sono degli argomenti di un discorso più ampio che riferiscono di come stanno le cose, quindi enunciazioni sui problemi sul tappeto, quindi sub questioni scelte per la loro importanza non potendo fare un’analisi più larga e completa e scritte sinteticamente con la forma della brevità e incisività.
Aporie,sono le difficoltà che incontra un concetto, sono le sue fragilità, anche contraddizioni, i suoi anacronismi che nascono, in qualche modo.
Tesi,sono asserzioni che si ricavano dal confronto tra le proposizioni di approfondimento e le aporie che indicano che vi sono problemi da affrontare, che vi sono cose da discutere e da approfondire e che si pongono come degli input per discutere.
Quesiti,sono domande che sono rivolte ai medici che devono discutere le tesi e che in un certo senso, si rivolgono ai medici, per porre loro, le questioni più rilevanti, al fine di stimolare delle risposte, dei suggerimenti, delle proposte.
Cioè per impegnarli ancora di più nella discussione. Lo schema di rappresentazione delle tesi qui proposte è:
• sinossi
• proposizioni di approfondimento
• aporie
• tesi
• quesiti
Come funziona?
Facciamo un esempio. La questione del metodo:
• si comincia con una sinossi cioè si spiega succintamente perché oggi un certo metodo è un problema
• si espongono le proposizioni di approfondimento principali che spiegano cosa sia un certo metodo per i medici e la medicina, la sua importanza, la sua funzione, i suoi scopi
• dalle proposizioni si ricavano le aporie cioè si spiegano le contraddizioni e i problemi che un certo metodo incontra oggi in questa società, nei confronti del malato ecc.
• si ricava da questo percorso una o più tesi per indicare qualcosa che riguarda il metodo e che oggi bisogna discutere perché all’origine di molti problemi professionali
• infine, si trasformano le tesi in quesiti per permettere una migliore discussione cioè una ricerca di soluzioni.
Perché questo schema?
Le ragioni sono due.
La prima è formativa e didattica. In genere dei loro problemi i medici (ma non solo), esattamente come i terremoti, conoscono gli effetti finali, ma non le loro cause profonde e meno che mai conoscono le implicazioni che tali cause hanno sul loro modo di essere e di pensare.
Prendiamo ancora l’esempio del metodo. Oggi vi è un abuso del metodo che si chiama “medicina amministrata”. I medici si rendono conto di essere amministrati quando la loro autonomia è fortemente condizionata. Ma la medicina amministrata è possibile solo perché quel certo metodo, ai quali i medici si attengono, è fatto in un certo modo.
Per fare in modo che i medici non siano più amministrati, non basta dire “autonomia”, bisogna ripensare il metodo in rapporto all’autonomia aggiungendo cose che fino ad ora neanche esistevano (la sostenibilità per esempio), dal momento che un certo tipo di metodo nasce proprio con lo scopo di condizionare l’autonomia della professione.
La seconda è dialettica e dialogica. Per favorire la discussione nella professione non basta elencare delle tesi in una banale contrapposizione tra problemi/soluzioni nel senso “questo è il problema bisogna trovare una soluzione”.
Non si trovano soluzioni soddisfacenti se prima non si comprendono a fondo i problemi, e i problemi non si comprendono a fondo se prima non sono esplicati come si deve.
Noi abbiamo bisogno di soluzioni effettive ed efficaci, per cui la discussione ci serve non per agire formalmente la democrazia, ma per definire attraverso la democrazia le nostre piattaforme.
Torniamo all’esempio del metodo: una volta che ci si è resi conto che un certo metodo per i medici è un problema, a partire da certe tesi, nella piattaforma non si scriverà solo “dateci più autonomia” ma si scriverà “definiamo le coordinate per una nuova metodologia”.
Questo vuol dire che se non si discutono a fondo i problemi si rischia di non capire quali sono le loro controparti. Chi può dare più autonomia non è la stessa istituzione che può fare un accordo per ridefinire la metodologia clinica.
Quindi lo schema “sinossi/proposizioni/aporie/tesi/quesiti” ha lo scopo non di estrapolare una tesi dai contesti rispetto ai quali esse sono formulate, ma esattamente il contrario, di partire dai contesti per comprendere le tesi, come si deve, sapendo bene che le tesi sparate nei documenti spesso non sono null’altro che petizioni di principio cioè liste per la spesa.
Ivan Cavicchi
Presentazione al volume "Stati generali della professione medica"
20 dicembre 2018
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