Biotestamento. Audizioni in Commissione Sanità al Senato. Oggi Siiarti e Centro nazionale trapianti
Per il direttore del Cnt, Nanni Costa, non c'è al momento l'esigenza di istituire un registro nazionale delle Dat. La Siaarti ha invece sottolineatro tre principi fondamentali nell'approccio alla persona malate nel fine vita: condivisione delle decisioni, rispetto dell'autodeterminazione e dell'identità della persona malata e limitazione dei trattamenti sproporzionati.
10 MAG - La commissione Sanità del Senato è stata oggi impegnata con le audizioni informali sul disegno di legge sul testamento biologico già approvato dalla Camera. Ad essere auditi sono stati oggi la Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e del Centro nazionale trapianti.
"L'attività di accertamento di morte, quella più vicina a noi, è estranea a quella delle DAT. Le DAT si occupano della disposizione di ciò che succede nei trattamenti in vita, noi, invece, ci occupiamo di ciò che accade dopo l’accertamento della morte. Vi è una scissura nettissima tra ciò che posso decidere di me vivo e ciò che posso decidere di me una volta morto, si tratta di argomenti diversi che viaggiano su piani completamente diversi", ha da subito precisato il direttore del Centro nazionale trapianti,
Alessandro Nanni Costa.
"Il sistema informativo dei trapianti dispone di un registro di tutte le dichiarazioni di volontà sulla donazione degli organi che vengono effettuate tramite i Comuni al momento del rilascio della carta d’identità. C’è poi un registro che raccoglie anche le dichiarazioni formulate all’Aido e alle Asl. Il registro ha al momento circa 2 mln di queste dichiarazioni e funziona online. E’ un sistema funzionante a regime H24", ha proseguito il direttore del Cnt.
Incalzato poi dalla presidente della XII commissione,
Emilia Grazia De Biasi (Pd) circa l'utilità di istituire un registro nazionale delle DAT, Costa ha spiegato: "Secondo me non c’è necessità di un registro nazionale delle DAT. Apprezzo l’impianto delle DAT per la gran parte. Credo, però, che la tempistica delle DAT non sia tale da richiedere un accesso informatico a un registro. Non credo abbia una logica chiara far arrivare le DAT in un unico punto nazionale".
La Siaarti, nel suo
intervento, ha invece sottolineato che l’approccio alla persona malata giunta alla fine della vita debba sempre essere ispirato a tre principi fondamentali:
- condivisione delle decisioni: le decisioni alla fine della vita devono essere maturate all’interno di una relazione di cura centrata sulla persona malata; nelle decisioni devono essere adeguatamente coinvolti la persona malata stessa quando possibile (o, in caso contrario, il suo rappresentante legale), i suoi familiari, i medici e gli infermieri.
- rispetto dell’autodeterminazione e dell’identità della persona malata: il processo di morte non deve essere caratterizzato da sofferenza e da trattamenti sproporzionati ossia non fondati sulla necessaria sintesi tra l’appropriatezza clinica (buona pratica clinica) e il criterio etico di proporzionalità delle cure (rapporto tra oneri e benefici che necessariamente include la percezione soggettiva della persona malata, in ragione delle sue convinzioni, dei suoi principi e delle sue preferenze manifestate o attendibilmente ricostruite).
- limitazione dei trattamenti sproporzionati: la terapia deve essere clinicamente indicata (efficace sulla patologia) ed eticamente proporzionata (CDM, art. 16)
. L’astensione dai trattamenti clinicamente non indicati, sempre doverosa, diviene particolarmente importante alla fine della vita e comporta l’astensione o sospensione di tutti i trattamenti che non sono più in grado di modificare positivamente la prognosi. Ugualmente doverosa è la limitazione dei trattamenti che, pur clinicamente indicati, risultano eticamente sproporzionati (in quanto la loro applicazione o i loro esiti risultano inaccettabili per la persona malata, che ha il diritto di rifiutarli anche a rischio della sopravvivenza). La limitazione dei trattamenti, così come la somministrazione della sedazione palliativa per abolire la sofferenza, costituiscono un dovere deontologico del medico. La limitazione dei trattamenti sproporzionati non può e non deve essere in alcun modo equiparata all’eutanasia, che consiste invece in un atto compiuto volontariamente da un medico o da altra persona e finalizzato a provocare la morte della persona malata su sua richiesta.
"Questi principi, basati su numerose evidenze scientifiche, sono condivisi in documenti di raccomandazioni nazionali e internazionali, e trovano ampio riscontro nel Codice di Deontologia Medica, in documenti della Unione Europea, nella Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina del Consiglio d’Europa, nella Costituzione della Repubblica e in numerose sentenze delle Corti. Tuttavia, ancora oggi in Italia, essi non sono raccolti in uno specifico quadro legislativo, privando così le persone malate e i loro familiari, i medici e gli infermieri, di un importante strumento che li aiuti a misurarsi con il complesso tema delle cure e delle decisioni alla fine della vita", spiega la Società degli anestesisti rianimatori.
"Allo scopo di fornire agli anestesisti-rianimatori e alle persone malate un supporto utile in tal senso, la Siaarti, già nel 2015, ha prodotto, assieme al 'Cortile dei Gentili' – fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura – e alla Società Italiana di Cure Palliative, un documento condiviso. In esso si afferma che un approccio legislativo alle problematiche attinenti alla fine della vita, per essere efficace, non deve essere prescrittivo ma limitarsi a fornire alle persone malate e ai medici un punto di riferimento etico nel quadro dei dettami fondamentali della Costituzione, della legge e del Codice di Deontologia Medica. Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo riconoscendo l’autonomia della relazione di cura in modo da salvaguardare il diritto delle persone malate non solo alla vita e alla salute, ma anche al rispetto della propria dignità e libertà di scelta".
10 maggio 2017
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