Ancora tagli alla sanità? Tutto si può fare, ma non raccontiamo più balle agli italiani
di Cesare Fassari
Si parla già di altri tagli tra i 3 e i 5 miliardi alla sanità. Le cifre sono ancora ballerine ma che la prossima legge di stabilità possa toccare ancora una volta il servizio sanitario si comincia a dare per scontato. Ma questa volta il sistema potrebbe non farcela a tenere botta. Ecco perché
26 AGO - Manca poco più di un mese e mezzo al 15 ottobre. Entro quella data è attesa la nuova legge di stabilità. Un appuntamento nevralgico per il Paese che ogni anno segna il passo dei Governi e rispecchia la loro capacità di rispondere agli stimoli (positivi o negativi) del contesto economico e sociale.
Quest’anno, come annunciato e ribadito a più riprese da
Matteo Renzi, il “piatto forte” dovrebbe essere l’abolizione di Tasi e Imu prima casa. Una promessa da almeno 4,5 miliardi, cui bisogna aggiungere circa 22,5 miliardi (i calcoli sono della Cgia di Mestre) necessari per evitare l’aumento dell’Iva, il ritocco all’insù delle accise sui carburanti e per rispettare le disposizioni stabilite della Corte Costituzionale con le sentenze sulle pensioni e sul rinnovo dei contratti del Pubblico Impego.
In sostanza stiamo parlando di almeno 27 miliardi di fondi da reperire a fronte dei quali appare quindi evidente che, al di là delle speranze su qualche bonus dall’Europa in materia di rispetto dei parametri di bilancio, ci dobbiamo attendere una bella sforbiciata alla spesa pubblica.
La domanda che più ci interessa è se questa ennesima sforbiciata riguarderà anche la sanità. Tutto fa pensare che un ulteriore taglio al Ssn arriverà e probabilmente sarà ancora una volta presentato come “risparmio” in riferimento a recuperi di efficienza e di riorganizzazione del sistema.
In questi termini, del resto, ne hanno parlato recentemente sia l’attuale commissario alla spending review
Yoram Gutgeld che il suo predecessore
Carlo Cottarelli, ambedue convinti che in sanità vi siano ancora molte sacche di inefficienza e sprechi da aggredire. Di quanto parliamo? Le cifre già circolanti sui media in questi ultimi giorni di agosto parlano di 3/5 miliardi e le ricette già fioccano.
Ma il sistema può tenere con altri tagli? La domanda non è peregrina e non può esserlo neanche la risposta. Andiamo per ordine. Se si trattasse di veri sprechi e inefficienze è chiaro che la loro abolizione porterebbe effettivamente risparmi “puliti” e teoricamente indolori per la qualità delle prestazioni.
Ma a fronte di questa tesi esistono diverse perplessità. La prima è che, anche ammesso che si tratti di sprechi, la loro estirpazione non sarebbe comunque facile e immediata (e quindi misurabile da subito in termini di cassa) perché sprechi e inefficienze sono per loro natura tendenti a radicarsi nei comportamenti e nelle prassi, spesso in modo anche inconsapevole (nessuno ammetterà mai di essere uno sprecone inefficiente!). E quindi tali comportamenti e prassi andrebbero aggrediti con interventi mirati e complessi che richiedono tempo e pazienza per dare risultati tangibili in termini economici.
La seconda perplessità è sull’ammontare di questi sprechi e inefficienze. Gli unici dati circolanti da tempo sono una serie di stime estrapolate a loro volta da altre stime internazionali emerse negli anni in vari studi campionari. Questo vale per i famosi 10/13 miliardi imputati alla medicina difensiva, come per i 6 e rotti miliardi imputati alla corruzione e gli oltre 3 miliardi stimati come inefficienze del sistema (tutti questi dati sono stati raccolti e presentati insieme
poco più di un anno fa dall’Ispe in un suo rapporto che infatti sommava a 23,6 miliardi la massa di denaro aggredibile in sanità senza toccare le prestazioni).
Ma possiamo essere sicuri di questi dati? Al di là della perplessità rispetto al fatto che, se fossero veri, vorrebbe dire che quasi un quarto della spesa sanitaria sarebbe frutto di sprechi e inefficienze,
non abbiamo elementi di studio contrari ma una riflessione su alcuni elementi di fatto può aiutare forse a ridimensionare la portata di questi presunti sprechi (indipendentemente dalle loro cause).
Il dato forse più significativo è quello su quanto spendiamo per la sanità rispetto agli altri Paesi. Secondo gli ultimi confronti (
rapporto sanità Crea-Tor Vergata 2014), il nostro gap nei confronti dell’Europa a 15 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Germania, Irlanda, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia) è ormai del 25,2% in meno in termini procapite a parità di potere d’acquisto.
Ma non basta. Anche l’assioma del Sud inefficiente e spendaccione cade. Sempre secondo il rapporto Crea-Tor Vergata, a livello regionale, la spesa totale pro-capite più elevata si rileva in Valle D’Aosta e nelle due Province Autonome di Trento e Bolzano, con subito a ruota il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Al contrario, i valori minori di spesa si registrano nelle Regioni del Sud. Emblema della voragine che divide in due il Paese è il confronto tra Valle d’Aosta e Campania: il differenziale di spesa è del 53,8%, poiché gli indicatori si attestano rispettivamente su 3.169 euro e su 2.061 euro. E, anche eliminando l’aspetto demografico, il trend viene comunque confermato: il differenziale di spesa è del 48,3% (euro 3.184 vs euro 2.147).
Sostenere, come si è fatto e si fa ancora, che la sanità più efficiente (quella del Nord) costa anche meno non è pertanto corretto. Al Nord c’è sicuramente più efficienza e più soddisfazione del cittadino rispetto al Sud ma anche perché si spende di più.
Sulla base di questi elementi dire che esistono oltre 20 miliardi di sprechi e inefficienze vorrebbe dire accettare l’assunto che ce la potremmo fare a mantenere in piedi la nostra sanità con ancora meno risorse di quelle attuali che già ci vedono fortemente penalizzati nei confronti dell’Europa e al nostro interno tra Nord e Sud.
Mi sembra una tesi onestamente indifendibile. Detto ciò, è chiaro che tutto si può fare. Ma pensare e sostenere di voler mantenere comunque, nonostante i tagli (risparmi) un Servizio sanitario nazionale universale e aperto a tutti senza particolari limiti di accesso, se non i ticket esistenti, è quanto meno velleitario oppure macroscopicamente falso.
Immaginare di continuare a garantire gli attuali livelli di assistenza con ancora meno risorse non è realistico (se si è in buona fede), e il Governo (
Renzi, Padoan e
Lorenzin in primis) dovrebbe spiegarlo bene agli italiani e al milione di addetti della sanità.
Facendola finita con il balletto ormai stucchevole dei tagli lineari spacciati per risparmi (come avvenuto per l’ennesima volta con il decreto Enti Locali figlio di quella scellerata intesa Stato Regioni che l'ha preceduto) e come, prevedibilmente, accadrà a ottobre.
Cesare Fassari
26 agosto 2015
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