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Ricerca. Giannini: "Priorità assumere 6mila giovani all'anno per i prossimi 4 anni"


Il Ministro dell’Università è intervenuto  alla Giornata della Ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Tra gli obiettivi del Governo, il rafforzamento dei finanziamenti pubblici alla ricerca, anche quelli legati in partnership a iniziative private. Forte l’attenzione al settore biomedico, "che da solo rappresenta quasi la metà della ricerca scientifica".

02 LUG - “La priorità del Governo è un grande piano di assunzioni. Tra università ed enti di ricerca, dobbiamo avere l’ambizione di arruolare almeno 2mila più 4mila giovani ricercatori, un totale di 6mila unità ogni anno per almeno quattro anni. Senza, con tutta la buona volontà, i discorsi di natura politica, istituzionale o scientifica restano un nobile libro dei sogni che, tuttavia, tale è destinato a rimanere”. Così il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini, intervenendo alla Giornata della Ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. 
 
“Ciò – ha aggiunto il Ministro – vuol dire qualche centinaio di milioni di euro. Il Presidente del Consiglio aveva indicato una cifra precisa, 600 milioni, per questa necessità. A questo punto, credo e mi auguro che il Governo risponda della propria volontà e delle proprie possibilità d’intervento in questo senso”.
Parole molto apprezzate dal Rettore dell’Ateneo ospitante, Andrea Onetti Muda: “Sono particolarmente contento di quanto il Ministro ci ha detto riguardo agli investimenti e alle linee d’indirizzo programmatiche del Governo sul fronte della ricerca. Sono parole importanti per un’istituzione come la nostra, ma anche per l’intero panorama italiano”. Onetti Muda ha posto l’accento, nel suo intervento, sul tema dei dottorati di ricerca. “Il nostro ateneo – ha spiegato – ha strutturato in modo integrato i progetti e i prodotti di ricerca derivanti dai propri dottorati, unendo due branche solitamente non molto facili da legare, la biomedicina e la bioingegneria. Inoltre, ha pensato una specifica proposta di crescita, il graduate program, un percorso di cinque anni che riunisce il biennio specialistico con il dottorato, facendo sì che le persone accuratamente selezionate che lo seguiranno a partire dall’Anno Accademico 2014-2015 possano professionalizzarsi in stretta collaborazione con aziende del settore, per arrivare al termine del quinquennio con un doppio titolo immediatamente spendibile nel mondo del lavoro”.

Un dato significativo se, come ha sottolineato anche il Ministro Giannini, in termini di numero di ricercatori, di quote di finanziamento, di sviluppo tecnologico e di scoperte realizzate l’ambito delle ricerche biomedicali e bioingegneristiche, particolarmente affine al Campus Bio-Medico, rappresenta oggi quasi la metà dell’intera ricerca scientifica. Un settore cruciale, dunque, nel contesto scientifico europeo. Giannini si è anche detta “felice di essere qui oggi, a Roma, in un centro che rappresenta un’eccellenza ‘non nordica’ nel campo della ricerca biomedica, laddove il nostro Paese, invece, mostra uno squilibrio tra le sue componenti interne in senso geografico: tra i 48 IRCCS presenti attualmente in Italia, infatti, ben 18 sono collocati in Lombardia e ottengono complessivamente poco meno del 50 per cento dei finanziamenti totali”.

Tre i punti evidenziati dal Ministro per riordinare la ricerca nazionale: sviluppo e attrazione di capitale umano altamente qualificato da poter inserire nel tessuto produttivo del Paese semplificando il percorso di chiamata, possibilmente rendendolo diretto; identificazione di un numero limitato di grandi sfide tematiche, da finanziare in via preferenziale, di forte impatto sulla vita dei cittadini europei, le big challenges del Programma Horizon 2020, da affrontare in chiave realmente internazionale; premiazione della capacità innovativa e competitiva del sistema industriale, in particolare quello in interazione virtuosa tra pubblico e privato.

Ultimo spunto lanciato dal Ministro nel suo intervento in Aula Magna è stato quello sulla governance della ricerca nazionale. “Forse – ha detto – anche l’Italia ha bisogno di creare uno strumento di coordinamento e riflessione delle politiche della ricerca a livello nazionale. Penso al Canada, che ha un Consiglio Superiore della Ricerca che diventa un advisory board del Governo in carica. Quindi, non una nuova agenzia, ma uno strumento di coordinamento delle attività e di indirizzo verso grandi obiettivi, per evitare distonia, frammentazione e dispersione dell’azione di ricerca”.
 
Il Piano europeo da 77 miliardi per ricerca e innovazione

Il nuovo Programma quadro europeo per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione, Horizon 2020, vale oltre 77 miliardi di euro e segue il 7° Programma quadro, conclusosi lo scorso anno. Un Piano strategico, perché chiamato a supportare sia la ricerca di base che quella applicata, con l’ambizione di creare innovazione, sviluppo sociale ed economico in Europa nei prossimi sei anni. Per la prima volta, infatti, Horizon riunisce in un unico programma tre importanti iniziative comunitarie, che fino a ieri hanno marciato separatamente: il Programma quadro di ricerca, il Programma CIP (Competitiveness and Innovation Programme) che supporta le attività nel campo dell’innovazione e l’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT).

Dei 77 miliardi di Horizon, 29,7 sono destinati al Societal Challenges, programma multidisciplinare di ricerca, orientato a soluzioni sostenibili nel lungo periodo per affrontare le sfide sociali che attendono l’Europa: la tutela della salute rispetto all’invecchiamento della popolazione e alla nuova concezione del benessere; la sicurezza alimentare e la bio-economia; l’energia pulita, sicura ed efficiente; il trasporto intelligente e quindi non inquinante ed integrato; la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini. Altri 24,4 miliardi andranno al Programma Excellent Science che mira a rafforzare l’eccellenza europea in ambito scientifico attraverso il raggiungimento di quattro obiettivi: 1) sostenere i ricercatori più promettenti e creativi nello svolgere ricerche di frontiera; 2) finanziare i gruppi di ricerca coinvolti nelle cosiddette “tecnologie intelligenti”; 3) garantire formazione e carriera ai ricercatori più promettenti; 4) supportare le infrastrutture di rete, prima di tutto quelle elettriche. Terzo pilastro di Horizon 2020 è l’Industrial leadership, il programma che mira appunto a creare un primato industriale europeo. Obiettivo ambizioso, al quale vengono destinati poco più di 17 miliardi, che serviranno a rendere l’Europa un luogo un po’ più attraente per investire in ricerca e innovazione, anche attraverso un miglior accesso al credito e al sostegno agli investimenti in nuove tecnologie. Soprattutto in quelle più avanzate, come le tecnologie per l’informazione e l’innovazione (l’Ict, Information & Communication Techonology), le bio e nanotecnologie.

Una sfida cruciale, quella dell’innovazione, rispetto alla quale l’Europa ha deciso di giocare la carta della programmazione unitaria, per evitare dispersione d’idee e risorse. Proprio quella che ha contraddistinto in passato l’approccio italiano ai bandi di ricerca europei.

Lo dicono i dati pubblicati dal Consiglio Europeo della Ricerca: nel 2013 l’ente ha assegnato 287 borse di studio a giovani ricercatori. Ebbene, di queste solo 17 sono andate ad italiani e, quel che più fa riflettere, solo otto di questi hanno scelto un ente di ricerca made in Italy per portare avanti i propri progetti. Di contro, l’Inghilterra ne ha attirati 60 e la Germania 46. Un gap competitivo nella capacità di attrarre cervelli che secondo molti ricercatori italiani dipende soprattutto dai lacci burocratici e dalla poca propensione a far convergere ricerca pubblica e privata. Senza dimenticare che all’estero chi fa ricerca non ha solo laboratori efficienti in cui sviluppare le idee, ma anche tutti quegli strumenti “non convenzionali”, come attrezzature, software, pacchetti di formazione, bonus per alloggio e viaggi. Una formula “all-inclusive” rivelatasi di successo e che qualcuno vorrebbe incentivare anche nel nostro Paese.

Campus Bio-Medico di Roma: oltre 120 progetti di ricerca, il 40% da bandi nazionali e internazionali

L’Università Campus Bio-Medico di Roma dispone di un Centro Integrato di Ricerca (CIR) all’interno del quale si svolgono tutte le attività di ricerca scientifica. Possiede oltre 40 Unità Operative, con 20 laboratori di ricerca e 104 ricercatori in organico al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. I dati 2013 sulla produzione scientifica del Campus Bio-Medico di Roma indicano una crescita dell’8 per cento nel numero di pubblicazioni, con un aumento del 7 per cento dell’Impact Factor, ovvero l’indicatore, riconosciuto a livello internazionale, della qualità delle pubblicazioni scientifiche. In particolare, rispetto al 2012 il valore dell’IF di ciascun docente del Campus Bio-Medico è cresciuto di oltre 15 punti.

Negli ultimi dodici mesi l’Ateneo ha attivato oltre 120 progetti, ottenendo il 40 per cento del budget complessivo delle attività di ricerca attraverso bandi competitivi, nazionali e internazionali. Attualmente, sono stati già raccolti finanziamenti per più di 3 milioni di euro. Sono, inoltre, in corso 50 richieste di finanziamento presentate su bandi competitivi internazionali (3), europei (14), nazionali (32) e regionali (1) per quasi 30 milioni di euro complessivi.

In particolare, la Valutazione della Qualità della Ricerca promossa dal Miur per il periodo che va dal 2004 al 2010, pubblicata qualche mese fa, ha premiato l’ambito dell’Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università Campus Bio-Medico con il terzo posto in graduatoria generale delle 56 università oggetto della valutazione a livello nazionale e ha fatto registrare il quinto posto su 58 atenei nel settore della ricerca nel campo delle Scienze Biologiche. 

02 luglio 2014
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