Sostenibilità del Ssn. Gustavino (Udc): “Inutile reperire risorse se non si corregge il sistema"
Basta con la stagione della "manutenzione". Alla sanità serve una riforma vera. "Occorre riflettere sulla necessità di riformare il Ssn, non solo di aggiustarlo, e sull’opportunità che questa riforma sia una scelta politica". Ecco le tre proposte di Gustavino.
03 DIC - Le dichiarazioni del Primo Ministro sulla sostenibilità del Ssn hanno avuto il pregio di archiviare un termine, divenuto in fretta e acriticamente di moda, e uno slogan, usato spesso impropriamente. Il termine è “manutenzione” e lo slogan “via la politica dalla sanità”.
Le parole di Monti impongono una riflessione sulla necessità di riformare il Servizio Sanitario Nazionale, non solo di aggiustarlo, e sull’opportunità che questa riforma sia una scelta politica.
Due soli sono stati, nel campo della sanità pubblica, gli interventi riformatori autentici. La legge d’istituzione del Servizio, nel 1978, e il decreto legislativo che lo ha regionalizzato, con la trasformazione delle Unità Sanitarie locali in Aziende, nel 1992. Gli interventi successivi, la legge Bindi del 1999 e il recente decreto Balduzzi, hanno portata manutentiva appunto, più che riformatrice. Rivoluzionaria invece, per gli effetti che ha determinato sulla vita quotidiana del Servizio, la modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, che ha inserito la materia sanitaria nel regime di legislazione concorrente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il Servizio Sanitario Nazionale non c’è più. Ci sono piuttosto ventuno sistemi autonomi, con proprie regole, che sanciscono differenze in tutto: modi di reclutamento di dirigenti e personale, acquisizione di tecnologia, regimi di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini, distribuzione dei farmaci, persino protocolli diagnostici-terapeutici sono soltanto alcuni esempi della frammentazione in cui versa il SSN, che va ben al di là di una diversa e giustificata articolazione organizzativa. Più che di un sistema federalista siamo alla presenza di una deriva regionalista, con l’istituzione di vere e proprie frontiere della salute, che comportano un mal sopportabile costo non solo economico, ma anche umano.
Ora, per indugiare in uno slogan, bisogna passare dalle dichiarazioni alle chiare azioni. Ne ho individuate tre.
1. La prima è un’azione istituzionale. Riguarda l'utilizzo corretto delle risorse disponibili. Bisogna riportare il Sistema a un unico livello di legislazione, che individui, secondo criteri basati sull'evidenza scientifica, il chi, il dove, il come e il quando, evitando il pericoloso, anche per i cittadini, tutti fanno tutto. La riscrittura del Titolo V è indifferibile. Non si tratta di mortificare le autonomie, ma di dare loro un senso dentro una storia comune. Il Sistema ha bisogno di buoni amministratori, che sappiano declinare sui territori una norma nazionale, senza produrne una locale per il gusto di affermare la propria potestà legislativa.
2. La seconda è un’azione culturale. Riguarda lo sviluppo della medicina dei sani, per modificare i fattori di produzione della malattia. Nessun sistema potrà sopportare una demografia di anziani malati e soli, a fronte di un sempre più scarso numero di nuovi nati. Certamente deve avere un ruolo la scuola, ma, soprattutto, lo devono avere i medici di medicina generale, divenendo autentici tutori della salute dei cittadini che a loro fanno riferimento. Serve una sanità d'iniziativa, che promuova stili di vita e comportamenti finalizzati al mantenimento della salute: quei medici vanno aiutati ad appassionarsi a questo mestiere e non vessati da sterili consegne burocratiche. E sarà opportuno smettere di irridere la prevenzione, come fosse la cenerentola del sistema: è l’unico vero piano di rientro, che potrà quel sistema salvare.
3. La terza azione è strutturale. Occorre quanto prima un Piano Nazionale di Edilizia Ospedaliera. Molte delle attuali strutture sono vecchie e antieconomiche, come i nosocomi a padiglioni. L’alienazione delle strutture attuali con eventuale valorizzazione dei siti, il risparmio di gestione offerto da una struttura nuova, che non abbisogna di continua manutenzione (a proposito…), la partecipazione di capitale privato, a fronte di esternalizzazioni di servizi non sanitari, sono esempi di voci per il reperimento delle risorse necessarie, ma comportano una regia centrale, in grado anche di determinare economie di scala. Un eguale sforzo dovrebbe essere compiuto per l’ammodernamento e la dislocazione della tecnologia.
Si tratta di azioni non certo esaustive del molto che serve. Ma la politica deve saper scegliere secondo priorità e queste che ho indicate mi paiono tali. Più del reperire risorse, che andrebbero perdute, se non si corregge, profondamente, il sistema. Come si vede, si tratta di sfide tutte politiche, che la politica non può non raccogliere, affidandosi esclusivamente a conti ragionieristici che, alla fine, non salveranno neppure i conti.
Il tema della sostenibilità del Ssn non attiene soltanto al piano economico, ma a quello della sopravvivenza di un diritto costituzionale, il diritto alla salute, che una Politica intelligente e generosa ci ha lasciato. Saper conservare il tratto universalistico del sistema e consegnarlo a chi verrà dopo costituisce l’orizzonte con cui si deve misurare chi ha ambizione di governare la cosa pubblica.
Claudio Gustavino
Responsabile sanità dell'Udc
03 dicembre 2012
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