Autonomia legislativa differenziata. La vera posta in gioco
di Ettore Jorio
Si sta giocando una partita fondamentale per il Paese e i diritti sociali della Nazione. La partita finale, oltre la quale in caso soccombenza c’è la più grande sconfitta sociale, è vincere sul piano dei diritti godibili. Il rischio è l’inesigibilità dei diritti fondamentali, quali la salute, l’assistenza sociale, i trasporti pubblici sociali e l’organizzazione strutturale scolastica
21 NOV -
Calderoli cerca partner regionali. I presidenti di Regione si distinguono e fortemente nella “contesa” dell’attuazione dell’art. 116, comma 4, della Costituzione. C’è chi spara a salve e c’è chi, come al solito roboante, dice cose giuste. C’è chi si limita in corrette ma parziali rivendicazioni. C’è chi, proveniente dal sud più martoriato, propone la riscrittura organica del muletto di lavoro proposto dal ministro Calderoli.
Il tema della diversificazione legislativa può compromettere i diritti, se fatta male
Si sa, il regionalismo differenziato - alias autonomia (ma) legislativa differenziata - è una brutta gatta da pelare, anche a causa della ingiustificata maldicenza ideologica dedicatagli dai soliti cantori dell’immaginato pericolo per il Mezzogiorno. Da coloro che amano, per mestiere, immaginarlo governato sempre da incapaci e non da decisori illuminati.
Qui si gioca una partita fondamentale per il Paese e i diritti sociali della Nazione. La partita finale, oltre la quale in caso soccombenza c’è la più grande sconfitta sociale, è vincere sul piano dei diritti godibili. Il rischio è l’inesigibilità dei diritti fondamentali, quali la salute, l’assistenza sociale, i trasporti pubblici sociali e l’organizzazione strutturale scolastica.
Gli interrogativi che hanno una risposta ovviaLa domanda, cui occorre dare una risposta nell’approcciare al tema dell’attuazione del regionalismo differenziato, è: vogliamo mantenere lo stato delle cose attuali, oppure vogliamo lavorare seriamente perché cambino? Soprattutto nel Sud ove nei quattro anzidetti ambiti si rintraccia la peggiore situazione dell’intero Paese.
E poi: l’attuazione dell’art. 116, comma 4, della Costituzione, in che cosa modificherebbe l’erogazione dei detti servizi fondamentali e prestazioni essenziali nel resto del Paese al netto del Mezzogiorno?
Bando alla chiacchiere. Si studi bene il problema e si lavori sulle soluzioni del 2009/2011Al di là delle fantasticherie dilatorie di chi ha voluto, in passato, condizionare per oltre venti anni la “messa a terra” di quanto scritto nel 2001 dal centrosinistra in Costituzione e condiviso in un apposito referendum confermativo, ricorrendo a titoli divisivi e preparatori non so di quale rivoluzione culturale, c’è poco da scherzare.
Il regionalismo differenziato, da esercitare attraverso una maggiore autonomia legislativa delle Regioni di quella sancita nell’art. 117 della medesima Carta, si rende assolutamente necessario. Ciò per due ordini di motivi:
a) far cessare lo Stato croupier, che mescola le carte, le distribuisce a seconda del peso politico dei giocatori (privilegiando le Regioni amiche ovvero quelle che fanno comunella nelle Conferenze), si disinteressa di chi vince o perde, ma incassa cinicamente le giocate dei perdenti, abbandonati al loro atroce destino. Quello che dura da sempre con 10 Regioni via via sottoposte a piano di rientro , di cui cinque commissariate, con il resto di due (Calabria e Molise);
b) pretendere, finalmente e nell’immediato, un governo delle Regioni in mano a Presidenti capaci di programmare le loro politiche, incidenti sui diritti civili e sociali, di gestire la spesa e di essere severi controllori della azioni lodevoli ovvero delle malefatte della dirigenza, da nominare con criteri esclusivamente meritocratici.
Dunque, con uno Stato attento al coordinamento delle politiche, con le Regioni responsabilizzate sulle loro politiche governative e sulla corretta attuazione delle stesse, in una ad una rigorosa sorveglianza degli organi di revisione e ad una collaborazione continuativa della magistratura contabile le cose andrebbero (andranno) sicuramente meglio di come vanno. In tutte le regioni del Mezzogiorno, malissimo!
Basta con lo snorkeling, si lavori in profondità ove si cattura la “preda” giustaPrendendo atto delle rivendicazioni giuste, rappresentate dai presidenti De Luca e Occhiuto, rispettivamente della Campania e della Calabria, necessita entrare nel concreto dettaglio della bozza per meglio comprendere come meglio assicurarsi la tutela sociosanitaria nelle regioni ove essa è assolutamente precaria.
Lo strumento di lavoro Calderoli presenta dei punti deboli, alcuni segnatamente.
Prioritariamente, non è affatto condivisibile il non condizionare, in discontinuità con il DDL Bocci e quello di Gelmini, il regionalismo differenziato a regime - cui potranno fare ricorso le Regioni istanti condivise a seguito della procedura dettata dall’art. 2 - alla preventiva individuazione e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.. Specie di quelli afferenti ai diritti sociali, che dovranno costituire una ineludibile pregiudiziale e non solo nella forma dei LEA.
Dalla lettura dell’elaborato risulta introdotta una disciplina “in corso d’opera” della definizione del sostegno finanziario ai medesimi, che si offre alle Regioni ricorrenti alla suddetta prescrizione costituzionale (art. 116, comma 3), dall’effetto verosimilmente dilatorio, considerata l’esperienza negativa maturata dal 2011.
Conseguentemente, la prima fase dell’applicazione suscita, invero, dei dubbi applicativi.
Al di là del richiamo alla Costituzione, il rinvio per la definizione dei lavori “entro dodici mesi” per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sembra essere la reiterazione delle cause del ritardo registrato ad oggi, nel non essere stati capaci di realizzarla, per quanto riguarda le prestazioni socio-sanitarie così come individuate dal d. lgs. 68/2011.
Costi e fabbisogni standard troppo alla lungaCiò suscita altresì il timore della inapplicabilità dell’auspicato sistema di finanziamento basato sui costi e fabbisogni standard (quali-qualitativo), nella sanità e nel sociale, e sul fabbisogno standard (quantitativo perché valorizzato per compiti istituzionali o livello di servizio) per l’esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane, nonché delle Regioni. in senso limitato. Con il conseguente rischio di registrare un regionalismo differenziato attuato ma non assistito dalle risorse sufficienti perché inadeguatamente garantito da quella spesa storica che ha determinato il collasso delle regioni del Mezzogiorno.
Dunque, troppi rinvii di tempi e di lavori assegnati alle solite commissioni, sino ad oggi incapaci a determinare alcunché, atteso che non si è pervenuti da oltre dieci anni:
1) alla definizione dei Lep (Lea nella sanità e nel sociale);
2) alla valorizzazione dei costi standard, propedeutici a definire i fabbisogni standard regionali, sociosanitari in primis (dirimente per adeguare al necessario e per colmare gli indici di deprivazioni espressi dalle singole regioni);
3) ai fabbisogni standard valorizzati degli enti locali (ma anche delle Regioni in termini di buoni livelli di servizio) per assicurare l’esercizio delle funzioni fondamentali, tra le quali l’assistenza sociale.
I fabbisogni standard, come previsti nella legge 42/2009, sono di due distinte tipologieUn’altra osservazione riguarda la confusione che si fa tra fabbisogni standard, garanti delle funzioni del sistema autonomistico locale, e tra il sistema costi/fabbisogni standard, garante della salute dei cittadini, intendendo per tale l’assistenza socio-sanitaria uniformemente assicurata. Non si comprende, infatti, la confusione che si fa tra la determinazione dei costi standard degli enti locali, da determinarsi con le procedure sino ad oggi fallimentari, di cui al d. lgs. 216/2010, con i fabbisogni standard riferibili alla determinazione delle risorse da valorizzarsi in modo differenziato alle Regioni, attraverso gli individuati costi standard riferiti ai macro-livelli assistenziali dei LEA (prevenzione, assistenza distrettuale, prestazioni ospedaliere)
Mi spiego meglio.
Le procedure convenute al comma 1 dell’art. 4 basate sul fabbisogno standard (quantitativo perché valorizzato economicamente per funzioni), con espliciti richiami alla SOSE e all’Istat, sono riferibili esclusivamente alla determinazione mediante questionari. Quella metodologia che ha fallito sino ad oggi la corretta individuazione delle risorse necessarie perché gli enti locali possano assicurare le loro undici funzioni fondamentali.
Il sistema costi/fabbisogni standard (quali-quantitativi) afferenti invece alla sanità e all’assistenza sociale, garantiti da una perequazione al 100%, comporta : a) la valorizzazione dei costi standard riguardanti le singole prestazioni sociosanitarie; b) la successiva determinazione dei fabbisogni regionali calcolati sulla base del bisogno epidemiologico e dei rischi epidemici delle singole regioni, dell’età media dell’utenza (più risorse a quella più avanti negli anni) e degli indici di deprivazione socio-economica e culturale che le stesse esprimono.
La perequazione dov’è? Senza non si va da alcuna parteAll’articolo 4, comma 2, è completamente omesso, così come trascurato in tutto il testo legislativo, il fondo perequativo di cui all’art. 119, comma 3, della Costituzione.
Non solo. La quota di riferimento del fondo perequativo dovuta alle Regioni più povere (preposte ai territori con minore capacità fiscale per abitante) non è affatto compresa nella somma delle risorse finalizzate a “l’integrale finanziamento delle funzioni trasferite”.
Ciò in NON assoluta coerenza e armonia con l’art. 119, comma 4, della Costituzione, che offre alla quota di fondo (“Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti”, per l’appunto il quarto, istitutivo - come detto - del fondo perequativo) la strumentalità maggiore per sopperire alla mancanza di risorse drenate ordinariamente dalle Regioni più povere. Insomma, sul muletto ci sarà tanto da lavorare.
Ettore Jorio
Università della Calabria
21 novembre 2022
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