Il commento. La debacle delle Regioni
15 LUG - Oggi riprende il confronto tra le regioni sulla manovra economica. La “fronda” regionale nei confronti del “tiranno” centralista ha avuto però breve durata. Quel fronte unito e compatto da Milano a Palermo, dalla Lega al Pd, che sembrava ergersi come un baluardo invalicabile a difesa del federalismo e dell’autonomia locale contro lo strapotere dell’imperatore, è durato poco.
Non sappiamo se oggi si ritroverà una parvenza di unità, dopo lo smarcamento della Lega dall’ipotesi di restituzione delle deleghe e dopo le concessioni ottenute dalle regioni più colpite dal deficit sanitario.
Ma una cosa appare certa: le regioni hanno perso la loro battaglia e forse anche perché l’hanno giocata da subito su toni altissimi, senz’altro encomiabili sul piano della coerenza istituzionale, ma forse poco pregnanti su quello della trattativa politica.
Non a caso l’unica modifica ottenuta al testo originario della manovra è stata più una beffa che un successo. Che sembra quasi voler dire “avete rivendicato che dovete essere voi a stabilire quanto tagliare? Ebbene, decidetelo pure da soli, purché la somma sia sempre la stessa”. Secondo il testo del maxi emendamento, all’ammontare inalterato dei tagli, si affianca infatti un nuovo criterio per la loro ripartizione tra le regioni. Non ci sarà più un semplice calcolo proporzionale ma si dovrà tener conto della “buona condotta” delle amministrazioni sul piano del contenimento delle spese, soprattutto del personale e della sanità.
Non bisogna essere profeti per prevedere che assisteremo presto a una guerra tra poveri e a una rivendicazione reciproca di essere i più bravi del reame al fine di pagare meno pegno allo Stato.
Il presidente Errani non può che ribadire che l’unità contro la manovra resta. Ma ormai sembrano parole al vento, di fronte a quella che appare come la più drammatica
debacle del fronte regionale dalla riforma del titolo V in poi.
Cesare Fassari
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