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Il commento. Le nuove liberalizzazioni. Bene la prima, ma...

di Cesare Fassari

12 GEN - Liberalizzazioni. Un termine che stiamo imparando ad usare sempre più nei nostri discorsi e nelle nostre analisi. Un termine tutto sommato nuovo per l’Italia. Tanto nuovo che al tempo dei decreti Bersani del 2006 era stato subito soppiantato dal più esoterico “lenzuolate”.
Un termine che, stiamo scoprendo, accende emozioni fortissime tra tutti coloro che ne sono coinvolti, fino all’esasperazione para-terroristica degli inaccettabili atti di intimidazione nei confronti di diversi esponenti del mondo della farmacia.

Oggi, con la bozza del nuovo decreto “Monti”, i riflettori si riaccendono fortunatamente sul merito delle cose da fare, o che si vorrebbero fare.
Per le farmacie la via scelta sembra quella di puntare decisamente all’apertura di più esercizi. Più farmacie, senza il “para” davanti. Una scelta sensata e in linea con una vera logica concorrenziale. E che si conferma, viste le prime reazioni negative sia di Federfarma che delle Parafarmacie, in pieno stile Monti che ci sta abituando a norme capaci di scontentare a destra e a manca e proprio per questo, almeno fino ad oggi, in grado di passare il guado dei veti incrociati.
 
Del resto, l’avevamo già scritto, meglio liberalizzare i “negozi” che i “prodotti”, cercando di far sì che si superi quell’anomalia tutta italiana di farmacie di serie A e di serie B che rischiava di diventare cronica.
E’ chiaro che se la bozza andrà avanti qualcosa cambierà. E gli attuali 18 mila titolari di farmacia (pubblici e privati) dovranno operare in un contesto indubbiamente più difficile, visto l’incremento degli esercizi che il decreto produrrà.

Nello stesso tempo, però, resta l’esclusiva della vendita dei farmaci con ricetta nelle sole farmacie (senza il “para” davanti) e questo è un bene, anche per dare un freno a una possibile deriva di consumismo farmaceutico di cui non si avverte il bisogno.
 
Ma alcune ombre nella bozza sono indubbie. La prima è certamente quella della “sanzione” nel caso in cui le Regioni non dovessero effettuare almeno l’80% dei nuovi concorsi per l’apertura delle nuove farmacie. Giusto penalizzare le Regioni con un taglio ai fondi sanitari ma che senso ha penalizzare anche le farmacie prevedendo che nelle Regioni inadempienti sia autorizzata la vendita della fascia C con ricetta anche al di fuori delle farmacie? Oltre che rappresentare un non sense giuridico (si penalizza chi non ha responsabilità del fatto), con questa norma si andrebbe ad intaccare quel principio del “farmaco con ricetta solo in farmacia” che ha ispirato il decreto “Salva Italia”, ma che sembra confermato anche da questo nuovo provvedimento, come abbiamo appena osservato.

La seconda stortura da correggere è poi quella della riduzione a soli sei mesi (dagli attuali due anni) per la vendita della farmacia in caso di morte del titolare. Immaginare che in un arco di tempo così limitato gli eredi possano riuscire a vendere la propria farmacia (soprattutto in questi momenti di crisi economica), sulla quale hanno investito denari e lavoro, e che in ogni caso è la loro fonte di reddito primaria, è molto azzardato. Si dirà che sei mesi bastano per il passaggio a un congiunto con i titoli, ma se questa fattispecie non c’è il rischio è quello di mettere in gravi difficoltà economiche l’erede del titolare, magari con figli piccoli da crescere.
Mi rendo conto che queste ultime possano apparire piccole e limitate questioni, ma è proprio sulle piccole e limitate questioni che si gioca l’equità di un provvedimento come questo, evitando di trasformarlo in una “caccia al tesoro” basata esclusivamente sulla legge del più forte.

E infine un’ultima considerazione che travalica dagli ambiti di pertinenza del decreto. Da almeno dieci anni in farmacia non arrivano più specialità medicinali innovative essendo orami privilegiato il canale della distribuzione ospedaliera. E questo avviene anche per prodotti che non richiederebbero la dispensazione guidata del medico. In realtà il motivo sta quasi esclusivamente nella necessità di risparmiare da parte del Ssn. I farmaci in ospedale vengono infatti acquistati direttamente dalle Asl a un prezzo base già scontato del 50%.
La giustificazione del risparmio (che, va detto, è a danno non solo delle farmacie ma anche del paziente che ha certamente più difficoltà di accesso al medicinale attraverso l’ospedale piuttosto che nella farmacia sotto casa) ci può anche stare.

Ma allora ci sta anche la sconsolata affermazione del presidente della Fofi Mandelli che recentemente, a chi accusava le farmacie di essere ormai diventate venditrici di “zoccoli e biberon”, ha risposto “che sarebbe bene non prendersela con chi cerca comunque di sopravvivere, quanto con chi, da un lato pretende aperture H24 e presenza capillare anche in zone disagiate, e dall’altro fa cassa sulle spalle dei farmacisti privandoli della possibilità di vendere medicine importanti e innovative”.
Anche in questo caso soluzioni ci sarebbero, studiando prezzi e margini particolari per questi prodotti, in modo da non stravolgere i conti pubblici ma nello stesso tempo recuperando aree di business al farmacista, anche a compensazione di una maggiore concorrenza, e a tutto vantaggio del cittadino che non sarebbe più costretto ad andare in ospedale per cure anche di lunga durata, come nel caso di molte patologie croniche, spesso invalidanti.

Cesare Fassari

12 gennaio 2012
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