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Radiazione Venturi. Quando la convenienza elettorale prevale sull’evidenza scientifica

05 DIC - Gentile direttore,
come è noto, l’Ordine dei medici di Bologna ha recentemente radiato il Dott. Venturi, medico e Assessore alla sanità della Regione Emilia-Romagna, in sostanza per la stessa ragione per la quale due anni orsono decise di sospendere altri medici del 118 di Bologna, Piacenza e Modena: esser contravvenuti all’articolo 3 del Codice di Deontologia Medica, avendo delegato agli infermieri attivi nell’emergenza extra-ospedaliera protocolli operativi che prevedono, in situazioni ben definite, la somministrazione di farmaci salva-vita sotto il controllo attivo e in tempo reale del medico di centrale operativa. 
 
Questo sistema, ha permesso fino ad oggi di produrre i migliori risultati in tutte le situazioni di emergenza extra-ospedaliera non solo in Emilia-Romagna ma anche in altre regioni italiane così come in molti Paesi europei, dove, peraltro, questi sistemi sono attivi da decenni.
 
Oggi, l’OMCeO di Bologna vorrebbe smantellarlo questo sistema non per una sua supposta inefficienza, peraltro mai dimostrata, ma accusando i professionisti che vi lavorano e l’Assessore di aver violato una norma del Codice Deontologico; tutto questo con un avallo politico che persegue tutt’altri fini, ben diversi da quello della salute pubblica.
 
Come per la questione dei vaccini, ancora una volta nel nostro Paese, la convenienza elettoralistica prevale sull’evidenza scientifica, unica tutela della salute dei cittadini.
 
Il Presidente dell’OMCeO bolognese, peraltro non nuovo alla ribalta delle cronache, è sembrato di fatto prestarsi a questo gioco, tentando di far passare l’autoritarismo per autorevolezza e spacciandolo come l’unico mezzo per ripristinare il prestigio professionale di un tempo, mentre il suo principale obiettivo avrebbe dovuto essere la continua ricerca e costruzione delle alleanze necessarie allo sviluppo e alla modernizzazione del ruolo sociale del medico.
 
Le voci della politica, a loro volta, sebbene prive della necessaria competenza e del tutto estranee alla sanità pubblica e alle problematiche delle moderne professioni sanitarie, hanno assunto esplicitamente posizioni a sostegno dell’OMCeO bolognese, realizzando quella che appare ora come una strategia comune: andare a una prova di forza con l’intera giunta regionale.
Questa strategia ha generato però incertezza e timori nella popolazione, essendosi concretizzata praticamente in un atto di sfiducia verso medici, infermieri e tecnici operanti in uno tra i migliori servizi di emergenza territoriale, come dimostrato dall’intervento dispiegato in occasione dell’esplosione della cisterna sull’A14 nell’agosto scorso.
 
Vale la pena ricordare alcuni numeri riguardanti quell’evento.
 
Vi furono un morto e 145 feriti, 4 dei quali ricoverati ai centri grandi ustionati di Cesena e Parma. I mezzi di soccorso arrivarono sulla scena dopo circa 6 minuti, 58 pazienti furono presi in carico all’ospedale Maggiore e al policlinico Sant'Orsola e gli altri in provincia. L'azione sul posto si risolse in due ore con l’intervento di 26 ambulanze, 3 auto mediche e un elicottero del 118/112, due coordinatori infermieristici sul posto, due in centrale operativa, e uno in prefettura per un totale di 75 operatori direttamente coinvolti nei primi soccorsi.
 
Definire questo un sistema inefficiente che mette a rischio la salute dei cittadini o è una menzogna detta scientemente per usare l’opinione pubblica come massa di manovra o è frutto di una macroscopica ignoranza.
 
Simili comportamenti sono però anche il segno della disgregazione di ciò che dovrebbe intendersi per buona politica: la capacità di riconoscere che quanto di positivo le persone fanno per la comunità con il proprio lavoro è un patrimonio di tutti da salvaguardare e valorizzare, non da distruggere per un interesse di parte.
 
In questo senso colpisce il silenzio del Ministero della Salute che, avendo come suo precipuo compito la salvaguardia della salute dei cittadini, dovrebbe pubblicamente offrire rassicurazioni e garanzie sulla qualità del sistema dell’emergenza in quanto ganglio nevralgico dell’intero Sistema Sanitario Nazionale.
 
In ultimo, quanto è accaduto e sta accadendo a Bologna potrebbe essere utile anche alla Federazione Nazionale degli Ordini per avviare, nella prospettiva di quegli Stati Generali della professione previsti per il 2019, una discussione fra tutti i medici sul fatto che a coloro che oggi affrontano come professionisti sanitari la complessità della moderna realtà sociale, non servono strutture ordinistiche cristallizzate, repressive e retrograde, ma organizzazioni formate da uomini che abbiano chiaro che “il nostro Ordine in particolare deve, più di altri, mantenersi al passo con i cambiamenti tumultuosi della medicina e della società in cui siamo incardinati”.
 
Oggi, la professione medica opera in tre diversi ambiti correlati tra loro: scientifico, etico ed economico. Ciascuno di essi è in continua evoluzione, pertanto se la professione medica vorrà mantenere il suo ruolo di riferimento nella società, dovrà porre costante attenzione a questi cambiamenti cercando di evolvere coerentemente con essi. Per i medici significherà essere in grado di negoziare costantemente la loro posizione sociale, il loro modello professionale e la loro funzione per continuare a rappresentare un riferimento per i pazienti e, più in generale, per la popolazione. Gli eventi di Bologna testimoniano invece l’arretratezza culturale e l’incapacità di parti della categoria a comprendere questa complessità, essendo invece impegnate a perpetuare la stessa funzione, lo stesso status, lo stesso ruolo del passato quando non le proprie convenienze.
È opportuno qui ricordare allora che all’origine del “caso Bologna” c’è una denuncia del sindacato SNAMI, che, in quanto tale, non ha propriamente come suo primario compito istituzionale la salute dei cittadini ma la difesa degli interessi dei suoi iscritti.
 
È lecito quindi chiedersi se il cosiddetto il “task shifting” (il trasferimento delle competenze dal medico ad altri professionisti) sia davvero il più grande dei problemi del sistema di emergenza 118, soprattutto se si tiene conto del fatto che molte altre regioni italiane hanno adottato per l’emergenza sul territorio lo stesso modello organizzativo dell’Emilia-Romagna senza suscitare “scandalo”, anzi fornendo ogni giorno un prezioso servizio a tutta la popolazione.
 
Pur apprezzando l’iniziativa del Tavolo di confronto tra gli Ordini e le Regioni, avviata dalla FNOMCeO, forse è giunto, prima di tutto, il momento di fare la necessaria chiarezza per evitare che gli effetti negativi di questa vicenda ricadano anche sull’immagine della Federazione stessa. In questo senso molti si augurano che la convocazione del Dott. Pizza presso FNOMCeO contribuisca finalmente a ristabilire la verità ma anche a definire eventuali responsabilità.
 
Sarebbe però anche opportuno che al Tavolo di confronto tra gli Ordini e le Regioni si proponesse, come in altri Paesi, di progettare uno studio su scala nazionale per valutare in base ai dati, quindi senza pregiudizi o preconcetti ma con l’unico metodo scientificamente valido, i risultati e i costi dell’attività dei sistemi di emergenza nelle singole regioni, nonché la reale fattibilità e consistenza di proposte che vengono oggi demagogicamente sbandierate senza la minima consapevolezza dei problemi e delle complessità in gioco. Solo l’approccio scientifico può infatti sgombrare il campo da tutte le ambiguità basate su semplici opinioni, vere e proprie bugie o peggio sulle convenienze che hanno avuto fino a oggi spazio proprio per la mancanza di inoppugnabili prove di efficacia.
È urgente prendere una definitiva distanza da questa deriva antiscientifica e di sfiducia nel sistema di emergenza per ridare al più presto garanzie certe ai cittadini sulla validità del sistema emergenza 118 e dignità al lavoro, non certo facile, degli operatori.
 
Dott. Giuseppe R. Gristina
Medico, anestesista-rianimatore

05 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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