Guarite dal cancro, ma in preda alla depressione
Un’indagine condotta in tre centri di eccellenza evidenzia la piena soddisfazione delle donne curate per un tumore al seno per l’assistenza ricevuta. Ma sei su dieci hanno sperimentato un periodo di depressione e altrettante temono di ammalarsi di nuovo.
22 LUG - Sono ormai oltre 400 mila le donne che in Italia hanno affrontato e superato il tumore al seno. Numeri che per la prima volta rendono un tema di salute pubblica comprendere quale sia l’impatto della malattia nel lungo periodo. È quanto ha cercato di fare un’indagine promossa dall’Associazione Ricerca ed Educazione in Oncologia (Areo) in tre centri oncologici di eccellenza: il dipartimento di Oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, la Divisione di Oncologia dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova e Dipartimento di oncologia presso l’IRCCS “Regina Elena” di Roma.Centocinquanta le donne che hanno preso parte allo studio condotto tra l’ottobre 2009 e il maggio 2010. Tutte avevano ricevuto una diagnosi di cancro al seno tra i 5 e i 10 anni prima. E i risultati, pur evidenziando qualche criticità, sono pienamente soddisfacenti. Innanzitutto le donne dichiarano di sentirsi bene (il 72,6% è soddisfatto del proprio stato di salute, il 26% molto soddisfatto) e ritengono di essere state seguite in modo più che positivo (45,2%), addirittura eccellente nel 7,8% dei casi. Tuttavia, l’aspetto psicologico risulta spesso indebolito: oltre il 30% si sente meno femminile, circa il 20% rileva cambiamenti nella propria situazione familiare e nei rapporti sociali, sei su dieci hanno sperimentato un periodo di depressione. E il 65% teme di ammalarsi di nuovo.
“Il nostro obiettivo era analizzare, per la prima volta con criteri scientifici, l’impatto di questa malattia nel lungo periodo”, ha illustrato Pierfranco Conte direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. “I risultati in parte ci sorprendono perché, per fortuna, il livello di reintegrazione sociale sembra buono e non si notano discriminazioni evidenti. La stragrande maggioranza torna al lavoro e solo un 4% lo ha perso nel periodo della terapia. Oltre il 50% al rientro ha scelto di mantenere il tempo pieno e appena il 10% ha subito una riduzione dello stipendio. Colpisce invece in negativo l’assenza di supporto psicologico”.
Un aspetto, quest’ultimo di estrema importanza soprattutto nel caso della neoplasia del seno che, ha spiegato Francesco Cognetti, direttore del dipartimento di oncologia al “Regina Elena” di Roma, “è particolarmente ricca di significati simbolici e si ripercuote con più evidenza rispetto ad altre sulla sfera sessuale. Fra le donne in età fertile - ha aggiunto - il desiderio è compromesso in un’alta percentuale (il 34% del gruppo a meno di 10 anni dalla diagnosi) e solo il 16% ha preso in considerazione l’idea di una gravidanza. Oggi sappiamo invece che non esistono controindicazioni alla maternità dopo questa malattia. Anzi, la preservazione della capacità riproduttiva rappresenta una delle nuove priorità per gli oncologi medici, sempre più preoccupati, non solo di sconfiggere il tumore, ma di garantire la miglior qualità di vita alle proprie pazienti”.
L’indagine ha consentito di valutare anche gli effetti a lungo termine del trattamento. “Il 66% del campione era stato sottoposto a chemioterapia e il 53% a terapia ormonale”, ha illustrato Valentina Guarneri, del Dipartimento oncologico di Modena e Reggio Emilia. “Dalla nostra analisi risultano particolarmente pesanti i disturbi osteoarticolari (48% delle donne) seguiti da quelli ginecologici (37,5%). Va sottolineato che si tratta di donne che hanno superato la fase acuta ormai da almeno 5 anni, e che in questo periodo l’armamentario terapeutico a disposizione dell’oncologo si è arricchito di nuove molecole sempre più selettive e mirate, quindi meno tossiche per l’organismo”.
Su un ultimo aspetto, però, i ricercatori hanno voluto focalizzare l’attenzione: la prevenzione e la diagnosi precoce. Per quanto riguarda il cancro al seno, infatti, “è stato calcolato che la sola obesità è responsabile di circa il 20% di tutti i casi e del 50% delle morti dovute a questa causa in post-menopausa”, ha illustrato Cognetti. “Numerosi studi hanno dimostrato inoltre l’importanza della dieta e dell’attività fisica nel prevenire le recidive. Eppure molto resta ancora da migliorare: secondo un’indagine presentata al Congresso Americano di Oncologia (ASCO), una donna su due non ha mai parlato con il proprio medico dell'opportunità di modificare il proprio stile di vita”.
Ed è questa la sfida che l’Associazione Ricerca ed Educazione in Oncologia ha voluto lanciare: “L’indagine sulle donne guarite rappresenta l’esito di un progetto di sensibilizzazione iniziato nel 2008 con la “Storia di Paula”, una fiction in 3D per raccontare l’intero percorso di una donna malata che si traduce ora nella realtà della nostra pratica clinica. In entrambi i casi, il messaggio chiave che abbiamo voluto trasmettere è che si tratta di una malattia che si può, anzi si deve, prevenire e che si può affrontare e superare con successo”, ha concluso Conte.
22 luglio 2010
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