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Tanto ormai…Così è morta mia moglie

di Anselmo Terminelli

Lei era la scrittrice Chiara Palazzolo, morta il 6 agosto 2012 in un ospedale di Roma per un tumore al fegato, dopo un ricovero di due settimane. Un ricovero, secondo l'autore del libro, "gestito in maniera negligente e inappropriata, che non ha portato a Chiara nessun beneficio sotto il profilo clinico, né è riuscito a rendere sereni gli ultimi giorni di vita"

24 FEB - Tanto ormai… è l’espressione che alcuni sanitari pronunciano, ancora oggi, con le parole o con i fatti quando si trovano davanti un malato terminale. I malati e i familiari di fronte a questo atteggiamento di abbandono si sentono disorientati e soli. La disperazione si impossessa della loro vite. E quel debole raggio di sole che dava loro un po’ di speranza si trasforma improvvisamente in un’ombra grigia, cupa e minacciosa. I sanitari, da parte loro, fino a qualche anno fa, si sentivano intoccabili, in quanto all’accusa di abbandono, che è negligenza protratta nel tempo, replicavano che per il malato ormai non c’era più niente da fare e pertanto era inutile qualsiasi altro intervento sanitario. 
 
Questo accadeva fino a qualche anno fa. Oggi invece pronunciare “tanto ormai…” in una struttura sanitaria significa venire meno alle disposizioni previste dalla legge 38/2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore che obbligano medici e infermieri a farsi carico delle sofferenze dei malati terminali e non solo per alleviare il dolore, ma anche e soprattutto per non farli sentire soli e abbandonati. 
Purtroppo però esistono ancora oggi sanitari, anche in strutture d’eccellenza, che di fronte alla morte certa, abbandonano il malato, condannandolo senza appello, negli ultimi giorni di vita, alla solitudine e negandogli persino i più elementari diritti di cittadinanza. Questa è anche la storia di un abbandono e di tanta solitudine.
 
Questa è la storia degli ultimi giorni di vita di mia moglie Chiara Palazzolo, morta il 6 agosto 2012 presso il Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma, dopo un ricovero di due settimane. Un ricovero gestito dal personale sanitario in maniera negligente e inappropriata, che non ha portato nessun beneficio a Chiara né sotto il profilo clinico, né tantomeno è riuscito a rendere sereni gli ultimi giorni di vita. 
 
Tutto questo è accaduto proprio in quella struttura sanitaria, come ha dichiarato al quotidiano Avvenire il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell'Università Cattolica, dove “l’identità cattolica non è un'etichetta” in quanto “padre Agostino Gemelli nel volere fortemente una Facoltà di Medicina con l'annesso Policlinico, intendeva garantire la formazione di medici che avessero una chiara visione cristiana della professione sanitaria”. 
 
Più che contraddire il presule, chiedo un suo intervento, in quanto durante tutto il ricovero di Chiara non ho mai avuto la sensazione di trovarmi in una struttura sanitaria di ispirazione cristiana o più precisamente cattolica. E questo sempre. Ogni giorno. Da quando Chiara ha varcato la soglia del policlinico per essere ricoverata, fino a quando è uscita con il carro funebre. E dimostrerò anche che quel poco di cattolico che continua a sopravvivere al Gemelli è frutto di un’attenta selezione della dottrina finalizzata, purtroppo, proprio a mantenere l’etichetta.
 
Il ricovero di Chiara è una vergognosa storia di gestione del malato che dalla corsia di un reparto ospedaliero d’eccellenza ci ha sbattuti “in un oscuro labirinto senza uscite, popolato da orchi”, come li ha definiti Chiara l’ultimo giorno di vita. Quando, con funzioni cerebrali ormai compromesse, continuava a raccontare storie, “per restare vigile” diceva, utilizzando un vocabolario ormai limitato di parole. Parole semplici e concetti elementari con i quali, attraverso storie apparentemente fantastiche, descriveva metaforicamente la terribile realtà che stava vivendo e il suo stato d’animo ferito. 
 
Uno dei suoi ultimi racconti, nella tarda serata di domenica 5 agosto, è stata la storia degli orchi che ci rincorrevano in un labirinto senza uscite. Chiara diceva che da solo non sarei riuscito a portarla fuori. Era necessaria un’altra persona: suo padre, morto molti anni prima. Solo voi due insieme riuscirete a portarmi fuori dal labirinto, concluse il racconto. 
In realtà, continuando la triste metafora, il padre è riuscito a portare fuori solo lei. Mentre io da allora continuo a vagare tra i meandri oscuri del labirinto, senza ancora aver trovato nessuna via di uscita.
 
È stata Chiara a chiedermi di raccontare questa storia quando ha capito, negli ultimi giorni di vita, di essere stata tradita e abbandonata dai sanitari del Gemelli, persone nelle quali aveva riposto tutta la sua fiducia.
Con questa memoria Chiara voleva denunciare la distanza che si instaura ancora oggi in alcune strutture sanitarie tra le esigenze reclamate dai malati gravi e l’indisponibilità del personale sanitario che spesso, come nel caso di Chiara, è completamente sordo. Specialmente quando si tratta di malati terminali.
 
Non ho nessuna intenzione di avviare un processo popolare contro chi è stato negligente nei confronti di Chiara. Per il momento infatti non indico nemmeno i loro nomi. Come nelle intenzioni di mia moglie, questa memoria vuole essere solo un grido di dolore e di rabbia di un cittadino malato e fragile che non ha potuto reagire contro quell’atteggiamento di abbandono che è stato tenuto nel corso di tutto il ricovero da quasi tutto il personale sanitario. E per il momento, assecondo con questo scritto la volontà di Chiara, cosciente comunque che questo atteggiamento del personale sanitario, come vedremo nelle pagine seguenti, si scontra con tante leggi italiane e tutti i codici deontologici.
 
Scrivo da semplice cittadino, anche se il mio lavoro di giornalista esperto in politica sanitaria mi aiuterà a spiegare i fatti nei dettagli, inquadrandoli in un contesto generale, e avanzare anche alcune proposte. Scrivo per il rispetto che ho, e ho sempre avuto, verso gli operatori sanitari diligenti, medici e infermieri, che ogni giorno in tutta Italia danno, in modo encomiabile, speranza a milioni di cittadini che si affidano alle loro cure. Professionisti questi che con grandi sacrifici e tanto impegno personale, nonostante questi tempi di crisi, continuano a mantenere eccellenti i livelli della qualità assistenziale.
 
Parlerò esclusivamente dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria, della presa in carico e del prendersi cura del cittadino malato da parte dei sanitari e, in particolare, di tutti gli aspetti che hanno riguardato l’erogazione delle prestazioni sanitarie a Chiara. Non affronterò comunque in questa sede l’aspetto clinico e diagnostico dell’assistenza, tranne quando è funzionale al discorso. 
 
Non spiegherò neanche come si sono aggravate le condizioni cliniche di Chiara che hanno motivato l’ultimo ricovero, prima del decesso. Sarebbe troppo complesso. Poi non è oggetto di questa memoria ed esula anche dalle mie competenze. Inoltre, alcuni amici medici hanno iniziato ad analizzare le terapie e le indagini diagnostiche prescritte a Chiara a partire dal settembre 2008. Da quando cioè le è stato diagnosticato un tumore al seno. Quindi in questa sede parlerò solo dell’ultimo ricovero.
 
Avrei dovuto scrivere una storia di orchi e labirinti ma invece ho preferito raccontare chiaramente i terribili eventi che hanno scandito ogni giorno, per due intere settimane, il ricovero ospedaliero di Chiara e di cui io sono testimone e nello stesso tempo vittima.
Lo farò, denunciando tutte le negligenze, le inadempienze, le incompetenze, le superficialità e le inappropriatezze protratte per l’intero ricovero e che ho potuto verificare durante l’erogazione delle prestazioni sanitarie. 
 
E l’ho fatto soffermandomi essenzialmente su tre questioni principali: 
· quali sono state le negligenze e le inadempienze del personale nell’erogazione delle prestazioni sanitarie a Chiara e perché sono tali;
· in che modo, secondo la legislazione vigente, dovrebbe essere organizzata l’assistenza sanitaria, e in particolare il prendersi cura del malato, per evitare questi eventi di malasanità;
· come e perché in una struttura sanitaria di eccellenza si sviluppano sacche di malasanità e come potrebbero essere estirpate.
 
E formulando tre proposte per umanizzare l’assistenza:
- formazione obbligatoria - soprattutto pratica - dei sanitari sul rapporto con i malati e sul "prendersi cura";
- individuazione di un indicatore per il monitoraggio in ogni struttura del rapporto sanitario-malato;
- istituzione in ogni struttura di un garante per la tutela della dignità del malato.
 
Anselmo Terminelli
Giornalista di politica sanitaria
Dalla prefazione a Tanto ormai...
 
L'ebook Tanto ormai…è scaricabile gratuitamente a questo link: www.tantormai.it. Per leggere una sintesi del libro clicca qui.

24 febbraio 2015
© Riproduzione riservata
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