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Comi (Società italiana di neurologia): "la CCSVI non è la causa della sclerosi multipla"


19 OTT - “Evitiamo di creare un nuovo caso di Bella”. Questo il timore espresso da Giancarlo Comi, ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, membro del Comitato Scientifico dell’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis e presidente eletto della Società italiana di neurologia. Una dichiarazione forte, giustificata però dala semplicità della teoria Zamboni comparata alla complessità delle attuali spiegazioni della sclerosi multipla e dalla promessa di una immediata risoluzione della malattia in confronto al calvario a cui i malati sono oggi costretti. Senza contare il forte carico simbolico dell’intervento che viene ormai definito «liberazione» che ha fatto in fretta a conquistare i pazienti. Non stupisce che i malati e i loro congiunti siano in fibrillazione. Né che all’estero - ma anche in Italia - il trattamento Zamboni cominci a venire offerto al di fuori dalle indicazioni e che aumenti in numero di quanti vi ricorrono.
Perciò avere i piedi di piombo in questi casi è averli ancora troppo leggeri. Zamboni sembra aver chiara la delicatezza del momento, come ha riconosciuto lo stesso ministro della Salute Ferruccio Fazio che, in un’intervista al Quotidiano Nazionale, ha definito le sue dichiarazioni “estremamente serie e responsabili”. Il medico ferrarese in un incontro con la stampa italiana a margine del congresso Ectrims è il primo a mettere in guardia i pazienti: “Non abbandonate i farmaci e se proprio volete sottoporvi all’intervento non fatelo al di fuori dei programmi di ricerca”, ha affermato. Inoltre “l’intervento non è una cura per la disabilità”. Un modo per dire che i danni fatti - a carico del sistema nervoso - non si recuperano.
Ma per Comi restano fortissime perplessità: “La CCSVI non è la causa della sclerosi multipla”, ha affermato. “Appare abbastanza chiaro che ci potrebbe essere qualche associazione con la malattia ma non di tipo causale”. Perciò “non esiste alcuno spazio di terapia, sarebbe una follia perché questa condizione di
restringimento delle vene giugulari è presente in un quarto delle persone normali”. Insomma, a breve avremo i risultati degli studi “che metteranno la parola fine alla diatriba. Anche se i dati che abbiamo sono già molto chiari”.
Una bocciatura senza appello. Ma non tutti ne sono convinti. Soprattutto i pazienti, che - almeno finché la ricerca non scioglierà tutti i dubbi - non accettano che le loro speranze vengano spente. E che senza mezzi termini spiegano la ritrosia della comunità dei neurologi nell’accettare l’ipotesi Zamboni con una semplice competizione professionale. Un profano - un chirurgo vascolare - che sfila dalle loro mani una importante malattia neurologica non può essere visto di buon occhio, affermano in uno dei mille blog e gruppi che hanno ormai invaso il web.
D’altra parte non manca chi rimprovera a Zamboni un doppio atteggiamento: rigoroso nei consessi scientifici molto meno cauto nel lasciare aperta la porta a trattamenti risolutivi di fronte ai malati.
Per avere l’ultima parola sull’ipotesi Zamboni occorrerà aspettare. Nel frattempo, certamente, non si placherà la polemica e occorrerà la massima attenzione perché la vicenda non sfugga di mano. Le istituzioni stanno seguendo la vicenda e il Consiglio superiore di sanità - che si è già espresso sulla materia - fa sapere che, “pur prestando la massima attenzione alle istanze dei pazienti, occorre muoversi nel rispetto assoluto dei criteri scientifici di valutazione che anche in questo caso vanno rispettati con rigore. È quindi bene attendere i risultati delle sperimentazioni annunciate”.
A.M. 

19 ottobre 2010
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