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La Regione Calabria insiste nell’essere l’ultima

A venti anni dalla legge quadro 328/2000 sui sistemi integrati di intervento alla persona e a 19 anni da quando la riforma del Titolo V della Costituzione ha declassato l'assistenza sociale a materia esclusiva regionale, la Calabria ha fatto ciò che non doveva fare e omettendo di compiere il proprio serio dovere politico-istituzionale di corretta regolazione della materia

29 OTT - A leggere il «Manifesto della disperazione» firmato da centinaia di famiglie calabresi, che amano e naturalmente difendono le fragilità, spesso estreme, presenti nella loro composizione familiare, fa venire la pelle d'oca.
 
La Regione Calabria insiste nell'essere l'ultima
A 20 anni dalla legge 328/2000 e a 16 anni dalla legge regionale tardivamente attuativa della stessa, la Regione Calabria - meglio la sua giunta regionale - ha partorito un Regolamento (attuativo di una legge del 2003!!) che è l'esempio di ciò che una istituzione pubblica non dovrebbe mai fare nel rispetto dei deboli.

Un brutto esempio di codificazione regionale che è frutto, altresì, della confusione generata dal legislatore del più alto rango del 2001 (e dalla disattenzione anche di quello del 2012 che ben poteva rimediare alla grave dimenticanza!) che in Calabria ha trovato un suo congeniale prosieguo con una grave disattenzione sulla problematica per oltre 10 anni. Lo ha fatto sino ad arrivare all'attuale Esecutivo che - appropriandosi peraltro di indebite competenze sul finire della corrente legislatura - ha toccato la punta dell'iceberg dell'insensibilità sul tema del welfare assistenziale.

Vediamo di fare il punto sullo stato dell'arte della regolazione di una siffatta tematica, troppo spesso trascurata, tant'è che sono poche le discipline regionali e le relative programmazioni tendenti ad integrare sul serio l'assistenza sociale con quella sanitaria.
 
Il guaio interpretativo è iniziato con la revisione del Titolo V del 2001
Molti gap della attuale assistenza sociale erogata in alcune regioni - specie in quelle che sono abituali cattive interpreti della Costituzione - provengono dagli errori commessi nel 2000, appena antecedentemente alla revisione del Titolo V della Costituzione, intervenuta con la legge costituzionale n. 3/2001.

Due gli esempi più eclatanti.
Un decreto legislativo, n. 56/2000, che, - in attuazione della legge n. 133/1999 - aboliva (si fa per dire!) i trasferimenti statali alle Regioni per la salute e, dunque, il FSN, non più alimentato con le tradizionali regole finanziarie.
Una legge statale, la n. 328/2000, intesa ad assicurare alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali indispensabile per eliminare e ridurre le condizioni di disabilità e i disagi finanziari.

Due importanti provvedimenti legislativi, dei quali:
- il primo introduttivo delle imposte e delle compartecipazioni al gettito erariale (Iva) dedicate al finanziamento della sanità nonché del fondo di perequazione in favore delle Regioni (poi introdotto nella revisione costituzionale del 2001);
- il secondo enunciativo dei principi fondamentali, per essere brevi, in materia di «assistenza sociale».

Entrambi superati e resi, nel concreto, solo estemporaneamente applicabili dalla Costituzione novellata del 2001. Più esattamente, dal rinnovato impianto legislativo (artt. 117 e 119 Cost.), produttivo, tra l'altro: a) della grave dimenticanza del legislatore costituzionale di non avere inserito l'assistenza sociale tra le materie di legislazione concorrente, relegandola così tra quelle assunte in via residuale e dunque di competenza esclusiva regionale; b) dell’abbandono del criterio di spesa storica; c) della introduzione della nuova metodologia di finanziamento del sistema autonomistico territoriale, fondato sui costi e fabbisogni standard.

A questi due ultimi temi hanno dato seguito normativo, in una ottica meramente attuativa dell'art. 119 della Costituzione, la legge delega n. 42/2009 e i decreti delegati successivi, in particolare, relativamente agli anzidetti ambiti argomentativi, il d.lgs. 23/2011 per i Comuni e il d.lgs. 68/2011 per il welfare assistenziale. 

Quanto alle pratiche conseguenze di tutto ciò, è da registrare un successivo atteggiamento insipiente della politica rappresentativa delle istituzioni statali deputate alla regolazione delle materie, che invero impiegò più di otto anni, dalla intervenuta disciplina costituzionale (2001), per il perfezionamento della legge delega (2009) e oltre dieci dai relativi decreti delegati (2011). 
 
I genitori dei disabili urlano ad una Regione sadicamente sorda.
La Calabria sempre il peggio, incapace oggi di fare autocritica costruttiva ed esempio di grande e ingiustificata arroganza, difendendo l'indifendibile, nonostante le giuste istanze dei genitori degli utenti direttamente interessati dalla problematica, intese a sollecitare la stessa a perfezionare il ritiro del suo ingiusto e illegittimo provvedimento regolamentare.

Ne è la prova l'interessante j'accuse delle famiglie bersaglio dell'insensibilità, dell'insipienza e della incapacità dell'istituzione calabrese che non perde una occasione per sottrarre alle proprie collettività i diritti sociali. Lo ha fatto distruggendo per decenni la sua organizzazione della salute e sta continuando a farlo per l'assistenza sociale, opponendo un assurdo cinismo politico ai fabbisogni emergenti allo scopo di lasciare perdurare le uniche logiche ivi perseguite che vedono il clientelismo al primo posto. 
   
Come si diceva, a venti anni dalla legge quadro 328/2000 sui sistemi integrati di intervento alla persona - che voleva mettere ordine e uniformare su scala nazionale i modelli regionali organizzativi per l’assistenza sociale - e a 19 anni da quando la riforma del Titolo V della Costituzione ha declassato l'assistenza sociale a materia esclusiva regionale, la Calabria ha fatto ciò che non doveva fare e omettendo di compiere il proprio serio dovere politico-istituzionale di corretta regolazione della materia.

Con un’operazione che non trova giustificazione alcuna la Regione Calabria ha intanto fratturato definitivamente i sistemi di intervento alla persona e ha messo drasticamente in crisi tanto il welfare assistenziale regionale che le politiche del lavoro ad esso riferibili.

Con la delibera di Giunta (n. 423/2019) che ha licenziato il Regolamento che ha sollevato l'ira delle anzidette povere famiglie calabresi, invero sino a ieri inimmaginabile sia come strumento idoneo ad intervenire che come contenuto del provvedimento, ha deciso dopo 16 anni di colpevole inattività di dare applicazione alla l.r.23/2003. Lo ha fatto con un provvedimento inadeguato rispetto ai decisa della Magistratura amministrativa che aveva sonoramente bocciato un analogo tentativo perpetrato nel 2016 con le stesse modalità e le medesime conclusioni. Non solo. Lo ha fatto assumendo decisioni che è difficile non definire diaboliche, inumane e offensive della dignità delle persone, specie di quelle che compongono le famiglie colpite dai disagi, ai cui componenti ospiti nelle strutture verrebbe riconosciuto addirittura un vergognoso budget di 15 centesimi di euro per la loro pulizia quotidiana.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria
 
Enrico Caterini
Università della Calabria

29 ottobre 2019
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