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Assistenza sociale. Una nuova debacle per la Calabria

La Regione Calabria si è resa recentemente protagonista di una brutta vicenda che ha turbato e infastidito non poco le coscienze di chi, per ragioni diverse, è sensibile alla problematica dell'assistenza agli individui con maggiore fragilità psico-fisica. Ciò è successo per il solito difetto di fare comunque qualcosa, peraltro molto male, dopo una colpevole trascuratezza durata decenni

09 OTT - La Giunta regionale calabrese ha adottato lo scorso 9 settembre un regolamento con il quale si ha, tra l'altro, la pretesa di perfezionare una riforma del sistema dell'assistenza sociale e di ridefinire i criteri e i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni e gli accreditamenti degli erogatori privati. Un'altra prova di inefficienza che va ad aggiungersi alla consolidata incapacità di assicurare i diritti sociali ai calabresi.
 
La Calabria riesce sempre a differenziarsi in negativo dal resto del Paese in tantissime cose. Quanto all'esigibilità dei diritti fondamentali si caratterizza per una quasi assoluta precarietà. Per quelli che afferiscono direttamente alla cura della persona: una sanità che non c'è e una assistenza sociale che è peggio della sanità.
 
L'assistenza sociale, la cenerentola
In relazione a quest'ultima, neppure nell'immaginario regionale di renderla integrata, come ovunque, con l'organizzazione della salute, la Regione Calabria si è resa recentemente protagonista di una brutta vicenda che ha turbato e infastidito non poco le coscienze di chi, per ragioni diverse, è sensibile alla problematica dell'assistenza agli individui con maggiore fragilità psico-fisica. Ciò è successo per il solito difetto di fare comunque qualcosa, peraltro molto male, dopo una colpevole trascuratezza durata decenni. Questo è il solito modo per vendere, nell'imminenza delle prossime elezioni, un prodotto che, come vedremo, e molto più clientelare che risolutivo dei reali problemi cui la Regione avrebbe dovuto da tempo immemorabile offrire una pratica doverosa soluzione.
 
Non solo. Lo ha fatto definendo riforma quanto è solo un modesto provvedimento normativo, tecnicamente inadeguato e peraltro già restituito al mittente a cura di una magistratura amministrativa, anche del più alto livello, che - se reimpegnata al riguardo - reitererà la medesima negativa decisione. E ancora. Stravolgendo le regole costituzionali che pretendono che, per l'appunto, le riforme strutturali - quelle vere che ridisegnano i sistemi che hanno diretta incidenza sulla vita delle persone e che disciplinano istituti del tipo l'autorizzazione e l'accreditamento - vadano fatte con leggi e non già con regolamenti. Questi ultimi sono normalmente attuativi di provvedimenti legislativi che, allo stato, addirittura mancano relativamente ai due importanti strumenti autorizzativi e abilitativi perché i relativi articoli (24 e 25 della legge regionale 23/2003) sono stati abrogati da una legge regionale del 2004 (art. 15 della l.r. 24).
 
Competenze cercansi
Tutto questo dimostra quanto siano tenuti in considerazione in Calabria i percorsi disegnati da legislatore, soprattutto di alto rango, riguardanti la formazione delle leggi, a cominciare dalla grave disattenzione della omissione di cui si è reso responsabile quello costituzionale. Quella penosa trascuratezza che, nella revisione del Titolo V del 2001, dimenticò colpevolmente di insediare l'assistenza sociale tra le materie di legislazione concorrente, relegandola così alla competenza residuale delle Regioni, offrendo così l'occasione alle stesse di ricodificare i principi fondamentali della materia prescindendo da quanto sancito dalla legge 328/2000. Un modo che - nonostante la sottovalutazione del legislatore costituzionale - ha dato comunque alle Regioni l'opportunità di disegnarli tenendo conto delle particolarità che caratterizzavano e caratterizzano la propria popolazione più fragile e bisognosa, nonché di intervenire legislativamente e con una apposita programmazione, atte a stabilire modalità assistenziali personalizzate adattate ai luoghi di prevalenza del fenomeno. Di tutto questo, ovviamente in Calabria la nullità assoluta. 
 
Di conseguenza, ogni calabrese si chiede il perché di tutto questo, del modo di essere diversamente trattato in pejus dal resto del Paese.
 
La confusione ideologica e procedurale
Ebbene, tutto        questo è avvenuto a causa di gravi errori di ipotesi e di una disattenta lettura delle norme generali,  ma anche di altrettanti errati riferimenti normativi regionali - del tipo la legge regionale n. 19/2001 - che, nel semplificare il procedimento amministrativo, hanno esplicitamente escluso l'applicazione delle regole alla formazione degli atti normativi (e i regolamenti lo sono!).
 
Gatta ci cova!
A tutto ciò si è aggiunto un più recente grave accaduto. Esso si è concretizzato nelle ripetute affermazioni dell'assessora al ramo che ha ribadito - ammettendo con questo la debolezza della scelta giuntale di adottare il richiamato provvedimento tale da configurarne un immediato ritiro - la pretesa della Regione di volere fare, comunque, qualcosa piuttosto che nulla. Ciò in quanto anche il relativo provvedimento (impropriamente adottato con delibera di GR. n. 423 del 9 settembre 2019) «è nato non già con l'intento di procedere ad una reale e concreta organizzazione del settore, quanto, piuttosto, per dare soluzione ad una problematica limitata e particolare, per come si evince chiaramente dal corpo dell'atto deliberativo». Una dichiarazione di una gravità assoluta specie se relazionata alla decisione «regolamentare» che, di fatto, raddoppia sulla spada (così come si fa nelle celebrazioni delle nomine dei cavalieri di Malta), il numero degli accreditati, peraltro con l'individuazione di tariffe retributive degli erogatori che metteranno sul lastrico tutti gli operatori e metteranno i poveri assistiti nella condizione assurda di vedersi assicurata la copertura finanziaria della loro pulizia giornaliera con soli 0,15 euro pro capite.
 
Il primo dei doveri
Le riforme strutturali, è bene ricordarlo, specie se ricadenti su settori sensibili quale è quello dell'assistenza da garantire alle persone affette da gravi patologie psico-fisiche, tali da renderle bisognose di importanti supporti assistenziali, non posso essere giocate con finalità politico-elettorali.
 
Un decisore pubblico dovrebbe all'uopo ben sapere che per generare la migliore esigibilità dei diritti sociali - proprio perché così importanti per il vivere civile e per il soddisfacimento delle pretese non esaudite nonostante le previsioni costituzionali che ne prevedono l'obbligo a carico dei decisori pubblici - necessitano dei provvedimenti legislativi più adeguati. Quelle leggi, ampiamente istruite e discusse costruttivamente nei consessi deputati, che per una loro corretta elaborazione dovrebbero essere sottratti a chi mastica appena la materia e delegate a chi ne ha la migliore conoscenza.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

09 ottobre 2019
© Riproduzione riservata

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