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Alessandro Sidoli (presidente Assobiotec)

27 GEN - Presidente Sidoli, quale è il bilancio del 2010 per il settore delle biotecnologie?
Tutti i settori e le aree di ricerca legate alle biotecnologie, quali la farmaceutica, l’agrochimica e le applicazioni industriali, stanno crescendo in maniera graduale e costante negli ultimi 10 anni. Ma il nostro settore, come tutti gli altri, nel corso del 2010 ha sofferto la crisi, anche se le difficoltà riscontrate sono state probabilmente meno critiche rispetto a quelle di altri Paesi europei. Tuttavia, in Italia non sono certo mancate conseguenze negative.
La situazione finanziaria delle nostre aziende è di fatto peggiorata negli ultimi due anni e l’indebitamento come modalità di finanziamento per le proprie attività è diventato sempre più complesso. Inoltre la disponibilità di cassa si aggira intorno ai sei mesi per oltre il 50% delle nostre aziende.
La situazione si può dunque definire abbastanza delicata, tenendo presente che la gran parte delle imprese biotech non produce ricavi. Nel caso del farmaco, ad esempio, occorrono più di 10 anni per sviluppare un nuovo prodotto e ancora di più per valorizzarlo. Tempo che brucia cassa.
Analizzando più in generale la situazione del comparto posso dire che, nel corso del 2010, abbiamo registrato un buon dinamismo ed una discreta crescita. I problemi riscontrati sono per lo più legati al consolidamento competitivo. Di fatto partiamo da una situazione di svantaggio poiché negli altri Paesi si è prodotta da tempo una strategia politica di supporto al settore della ricerca e dell’innovazione: da noi questo manca. Per fare un esempio, in Italia il credito d’imposta per le spese R&S nel biennio 2008-2009 è stato del 10% sulla ricerca interna, quando in Paesi come Francia e Usa si è arrivati anche al 50-60%, per di più su un arco temporale molto più lungo. Ciò rende l’idea della difficoltà in cui si sono trovate le aziende italiane, non certo supportate nel pianificare una seria politica di investimenti in ricerca e sviluppo. Ciò vale in particolare per le imprese più piccole con minori disponibilità economiche. Da questo punto di vista siamo di fatto il fanalino di coda dell’Europa.
 
Quali sono gli auspici per il 2011?
Vorremmo invece che venissero implementate strategie e normative adeguate, indispensabili per gettare solide basi in grado di aiutare lo sviluppo competitivo di quelle che noi chiamiamo “imprese innovative”. In questo ambito Assobiotec si sta impegnando da tempo su iniziative che servirebbero a rilanciare lo sviluppo del settore in Italia e a favorirne il consolidamento, tra cui l’adozione dello status della Piccola Impresa Innovativa (PII) e la creazione di un fondo di investimento per il biotech.
Per quanto riguarda la PII proponiamo di riservare a questa tipologia di impresa, che investe più del 30% dei ricavi o costi operativi in R&S, e che impiega un numero di addetti superiore al 30% nel settore della ricerca, alcune agevolazioni fiscali specifiche, come ad esempio il credito d’imposta alla ricerca in quota significativa e per un periodo temporale adeguato, e la riduzione temporanea dei contributi per l’assunzione di personale R&S.
Come misura strategica vorremmo anche promuovere la costituzione di un fondo per il biotech, che potrebbe permettere alle realtà altamente promettenti di continuare il proprio sviluppo competitivo, avendo la possibilità di accedere ad adeguate risorse finanziarie. L’iniziativa dovrebbe coinvolgere soggetti privati, sia finanziari che industriali, con il supporto di misure atte a favorire l’investimento ad alto rischio, che è tipico del settore.
Oltre a questo è prioritaria una nuova politica del farmaco innovativo, che metta al centro l’innovazione e mitighi le restrizioni a cui sono soggetti i biotecnologici. Tutelare il valore dell’innovazione biotech significa non solo offrire una speranza di cura a tanti pazienti che oggi non hanno a disposizione una soluzione terapeutica adeguata, ma anche investire nell’economia del sistema-Italia. Riconosciamo certamente che su alcuni temi abbiamo già dei parziali risultati positivi, come l’accordo Stato-Regioni sui farmaci innovativi, e che altri sono per lo meno nell’agenda della politica, come la questione dei biosimilari e quella delle malattie rare e dei farmaci orfani; ma allo stesso tempo riteniamo che molto vada ancora fatto per valorizzare un settore di grande importanza sia per la salute pubblica che per l’economia del Paese. Dalla revisione del tetto della spesa ospedaliera alla tutela della proprietà intellettuale, molte sono le aree che necessitano di una revisione critica.
Nel complesso, dato il delicato momento storico, è poi necessaria una migliore allocazione delle risorse economiche disponibili, unito ad un miglior funzionamento della macchina burocratica. Ancora oggi i ministeri valutano le proposte secondo meccanismi arcaici e poco selettivi, aggravati dai noti problemi legati alla burocrazia.
Non voglio però dipingere un quadro troppo negativo. Ci sono state anche lodevoli iniziative da parte di alcuni ministeri, ma il punto è che, nel complesso, dal dopoguerra ad oggi, è mancata una vera e propria politica nazionale legata all’innovazione. Le lacune che oggi possiamo riscontrare non sono solo quelle legate al supporto dello Stato: vi sono anche quelle relative alla formazione e alle normative sul lavoro. In generale in Italia manca ancora una vera cultura di mercato, ricerca e innovazione. Per non parlare dell’assenza di una cultura della flessibilità, ossia quella che è, per definizione, il fattore essenziale per l’innovazione. Sono questi alcuni dei punti focali sui quali si deve lavorare per migliorare la competitività del nostro settore e del Paese.
 
Giovanni Rodriquez


27 gennaio 2011
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