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Gostinelli: "Gli si danno nuove competenze ma la loro titolarità resta al medico"

20 APR - Questa la critica più forte alla proposta "Ministero-Regioni" ora all'esame delle professioni mediche e sanitarie. A dirlo è un'infermiera del Centro oncologico fiorentino che ha letto il documento e ci ha inviato il suo parere.

Gentile direttore,
ho letto con attenzione la proposta  sugli infermieri e non mi stupiscono le reazioni critiche che essa ha suscitato. Se la premessa di un ragionamento è fallace è possibile che siano fallaci anche le sue conclusioni. Su questo giornale Cavicchi ha inquadrato  molto bene  le ragioni e i limiti di questa proposta: visioni tayloristiche superate, economicistiche, squilibri del mercato del lavoro, ecc.

Dalla sua analisi viene fuori un paradosso: è innegabile che esistono problemi, conflitti, tra le professioni, che esistono in prospettiva gravi problemi di “organigramma”, ma proprio per questo è altrettanto innegabile che serve un cambiamento, nuove idee sul lavoro e sul suo impiego. La cosa che mi colpisce della proposta è il divario grave tra problemi e soluzioni, cioè il basso grado di innovazione. Le soluzioni indicate sono in massima parte al di sotto della sfida rappresentata dai problemi.

Da una parte l’epoca d’oro della professione medica è finita. E mi riferisco alla condizione di  padronanza, di assoluto privilegio nella scala della stratificazione sociale  e di forte dominanza e controllo sulle altre occupazioni  sanitarie e sui malati, che la professione aveva raggiunto negli anni 20 e 70 in particolare. Dall’altra  si sono moltiplicate le professioni sanitarie, le loro richieste di riconoscimento, quindi i ruoli, i compiti, le funzioni  di un organigramma sanitario sempre più grande. In questo quadro, non sorgono problemi solo tra medici e infermieri  ma anche tra questi e altri operatori sanitari. Bortone, il coordinatore delle professioni sanitarie, ci avvertiva ad esempio del rischio di passare da una visione medico centrica ad una visione infermieristico centrica.

Cassi (CIMO Asmd) ha posto la questione  dell’atto medico. L’Anaao  cerca in ogni modo di ricostruire  una sorta di centralità perduta e accarezza l’idea di un nuovo statuto giuridico del medico.
Cosa sta succedendo agli operatori della sanità? Sta succedendo che una vecchia forma di cooperazione tra professioni sta saltando. In questo quadro molti  infermieri, forti della normativa, tentano di  avvalersi delle tecniche non solo per aumentare l’efficacia delle loro prestazioni professionali, ma anche per avere un minimo di titolarità e quindi più potere professionale e più riconoscimento. Pertanto si è bravi infermieri se si riesce ad utilizzare prevalentemente una razionalità tecnica, illudendosi di trovare una autonomia che non può esserci.

Su questa illusione fa leva la proposta del ministero. Leggendo la bozza di accordo Ministero-Regioni si capisce bene che l’operazione avviene sul terreno di competenze tecniche tra l’altro con l’ambiguità, ben evidenziata da Cavicchi, di un ritorno surrettizio dell’ausiliarietà, cioè si danno competenze agli infermieri ma mantenendo la titolarità del medico. In nessun caso nella proposta  c’è l’intenzione di spostare l’attenzione sulla natura relazionale della funzione assistenziale che non si sa perchè viene rammentata solo marginalmente e nell’ambito, prevalentemente, delle cure primarie e quasi  sempre legata al discorso educativo.

Non si fa mai riferimento a competenze capaci di promuovere organizzazioni relazionali, interconnesse, compossibili, e che consentano di superare gli  assolutismi della razionalità tecnica, le vecchie concezioni tayloristiche, i vecchi modi di operare. E nell’ambito delle competenze chirurgiche non si dice mai del “modo di operare” nella tecnica ma si parla solo della tecnica. E nelle competenze tecnico professionali trasversali non si fa mai riferimento ad un infermiere che può dare consulenze su come organizzare dei servizi, dei programmi, ma solo su come fornire un supporto tecnico esperto. Rispetto a tali limiti  di grande importanza assume la questione che Cavicchi definisce “coevoluzione professionale”, cioè l’idea di un cambiamento collettivo coordinato da una nuova idea di lavoro che cambi la vecchia logica della divisione del lavoro.

Il documento non arriva a questo e ripropone, quella che  Cavicchi nei suoi libri definisce  “giustapposizione”, cioè un modo particolare di dividere il lavoro,i servizi, le competenze, i rapporti. Per il ministero e le regioni si tratta di mettere a fianco,infermieri e medici, quindi accostarli  ma senza definire  ciò che intercorre o non intercorre fra di  loro. Il documento, ad un tipo di vecchia giustapposizione tra medico e l’infermiere, non propone un altro tipo di relazione ma la stessa giustapposizione appena corretta da un punto di vista tecnico.
Per cui ha ragione chi considera la proposta una “forzatura burocratica” che  acuisce i conflitti tra professioni senza apportare quel cambiamento necessario a risolvere i problemi. Gli infermieri, rispetto alla relazionalità dovrebbero essere il principio, cuore e  cervello di un altro modo di conoscere, di operare, di scegliere, di decidere, di concepire la complessità. Ma di questo, nel documento, non vi è traccia.

Marcella Gostinelli
Responsabile dell’innovazione organizzativa e assistenziale del Centro oncologico fiorentino


20 aprile 2012
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