Spesa farmaceutica. Servono più risorse per i farmaci innovativi
di Fabrizio Gianfrate
L’Aifa ha fatto i miracoli per garantirne l’elevata qualità ed equità rimodulando prezzi e volumi di rimborsabilità. Ma non basterà più. Già oggi alcuni farmaci molto costosi per patologie a elevata incidenza sono dispensati solo ai pazienti più gravi, escludendo tutti gli altri per i quali sarebbero comunque indicati
07 GEN - “Qui ci salva solo il Padreterno, ma di persona, però; stavolta non mandi il figlio che proprio non è cosa da ragazzi”. L’irriverente battuta di Keynes si addice all’insostenibilità dell’assistenza farmaceutica, dato il numero record di nuovi e costosi farmaci in arrivo nel 2016 da rimborsare con la nostra spesa Ssn tra le più basse in EU e Ocse. Basterebbe guardare
gli sforamenti di spesa dai dati 2015 appena usciti, con l’ospedaliera, che include i più innovativi, che sfonda il suo budget del 33%, un’enormità.
L’Aifa ha finora fatto i miracoli a colori per garantirne l’elevata qualità ed equità, con unlavoro di progressivo adattamento incrementale a domanda e offerta crescenti, rimodulando direttamente e indirettamente prezzi e volumi di rimborsabilità. Facendo leva prevalentemente, inevitabilmente, sui margini della filiera, industria, distribuzione e farmacie. Ma non basterà più, è ormai evidente. Già non basta più.
Già oggi, nei casi più critici, alcuni farmaci molto costosi per patologie a elevata incidenza sono dispensati solo ai pazienti più gravi, escludendo tutti gli altri per i quali sarebbero comunque indicati. La coperta corta delle risorse ne fa una scelta obbligata, per quanto sgradevole. La peggiore soluzione, a parte tutte le altre, citando Churchill. Etica dell’utilità collettiva a scavalcare inevitabilmente l’etica ippocratica. Efficienza allocativa e costo-opportunità, giustamente.
Così quei pazienti esclusi spereranno di aggravarsi per guarire, paradosso inedito in medicina, alquanto grottesco. Qualche prestigiatore della dialettica lo chiama “universalismo selettivo”, un ossimoro. Niente trucchi dialettici, si chiama semplicemente selezione, certo a favore di chi ne ha più bisogno. Questa, in fondo, la non proprio felice evoluzione delle sanità moderne.
Peccato, tuttavia, usare le potenzialità di quei farmaci straordinari a una frazione del loro reale potenziale, come prendere la Rolls solo per andare al caffè dietro l’angolo. Non è vera innovazione se non è per tutti, diceva Henry Ford già nel 1920. Però date le risorse attuali di meglio non si può.
Che fare? Ovvio, aumentare le risorse. È il proverbiale rasoio di Frate Guglielmo di Occam (William of Ockham): sfrondare e scartare le soluzioni troppo complesse e articolate, spesso fuorvianti e di dubbio risultato, anche etico, e andare dritto alla soluzione più semplice ed efficace. Cioè, nel nostro caso, più spesa.
Il francescano del Surrey, quasi compaesano di Keynes, stessa countryside londinese e medesimo humor british, ma una manciata di secoli prima, lisciandosi serafico la pelata (era Sean Connery ne “Il nome della Rosa”) procederebbe col seguente ragionamento sillogico:
1) per i farmaci in Italia si spende meno degli altri Paesi in EU e Ocse, il 2% dell’intera spesa pubblica, 16 dei suoi 770 miliardi;
2) è una voce di spesa pubblica certo prioritaria più di tante altre eppure molto più dispendiose e socialmente meno utili, anche per la domanda superiore data dai tanti nostri anziani;
3) pertanto da quel calderone di 770 miliardi, un mestolo in più per la scodella dei farmaci, poniamo un minuscolo 0,5%, tra i 3 e i 4 miliardi, si dovrebbe tirare su senza esitazioni, coerentemente con le reali priorità collettive. Efficienza allocativa e costo opportunità, detta col latinorum degli economisti.
Lo sappiamo, gli replicherebbero che non ci sono risorse, “there’s no extra fat” (non c’è trippa per gatti), che siamo incatenati ai vincoli di bilancio con l’EU (che abbiamo approvato noi stessi sia alle Camere sia a Bruxelles, come tacchini che votano per il Natale), che “nessun pasto è gratis”, come diceva il nobel Friedman, cioè che ogni consumo è inevitabilmente e comunque pagato da qualcuno, ovvero tolto a qualcun'altra spesa.
Nessun pasto è gratis, anche nell’Italia immutabile degli sprechi, dell’appropriazione indebita impunita e delle intoccabili prebende di casta e di loggia. Ma vallo a spiegare a quel paziente col tumore avanzato al quale è negata l’ultima speranza, l’ultimo farmaco uscito, perché costa troppo e i soldi non ci sono. Vaglielo a dire che siccome nessun pasto è gratis tocca proprio a lui pagare quello ad aragosta e champagne di certa gente.
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria
07 gennaio 2016
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