Dat a rischio? Si, ma c’è una soluzione
di Daniele Rodriguez
La legge non prevede che venga dato un qualche avallo “iniziale” al contenuto delle DAT. Il loro contenuto sarà oggetto – in un imprevedibile momento del futuro – di valutazione da parte di un medico, che, pur chiamato a seguire quelle dichiarazioni, potrà non rispettarle qualora le giudichi non congrue. Ecco una possibile soluzione “preventiva”
03 AGO - Il
recente parere del Consiglio di Stato (Commissione speciale) del 18 luglio 2018 in materia di disposizioni anticipate di trattamento (DAT) induce a riflettere su alcuni aspetti della legge 22 dicembre 2017, n. 219, evidenziati nel parere ma lì affrontati solo marginalmente, poiché il parere stesso è volto a dare risposta a cinque quesiti posti dal Ministero della salute circa l’articolo 4 della legge n. 219 nei sui rapporti con l’art. 1, comma 418, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
Questi aspetti meritevoli di approfondimento sono:
a) il contenuto del documento che riporta le DAT;
b) le caratteristiche dell’adeguata informazione che va fornita preliminarmente dal medico alla persona.
La legge n. 219 nulla dettaglia circa a) e si limita a prospettare come ineludibile l’informazione di cui al punto b).
Ricordo preliminarmente che le DAT possono essere espresse da “ogni
persona maggiorenne e capace di intendere e di volere”. Questa “persona” può quindi essere già portatrice della malattia circa la quale vuole operare scelte “in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi“ oppure esente dalla predetta malattia.
Le questioni relative al primo tipo di persone appena citate sono di soluzione abbastanza agevole; infatti queste persone possono esprimere le DAT in relazione alle prevedibili varie fasi evolutive della malattia in atto e per il medico è facile dare adeguate informazioni sulle conseguenze delle scelte che quest’ultimo indicherà come da rispettare nelle varie fasi evolutive della malattia.
Meritano dunque specifica riflessione le problematiche, meno facilmente risolvibili, relative alle DAT di persone senza alcuna significativa forma patologica in atto.
Il contenuto del documento che riporta le DAT
Secondo la formulazione dell’articolo 4, comma 1, della legge n. 219, le DAT sono l’espressione da parte della “persona” delle proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché del consenso o del rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.
La legge n. 219 non specifica il grado di dettaglio con cui devono espresse siffatte volontà. Per valutare questo aspetto, occorre tener presente che il medico può disattendere le DAT, in tutto o in parte, in accordo con il fiduciario, “qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita“.
Dato che il medico è chiamato a valutare la congruità delle DAT in rapporto alla condizione clinica futura, può essere sostenuto che le DAT devono riguardare trattamenti e ad accertamenti riferiti a determinate condizioni cliniche, le quali, dunque, andranno citate nelle DAT stesse.
DAT che riportino solo l’elenco degli accertamenti e trattamenti accettati o rifiutati dalla persona, a prescindere dalle condizioni cliniche, saranno attendibilmente valutate, dal medico chiamato ad applicarle quando il paziente sarà incapace di autodeterminarsi, incongrue o comunque non specificamente correlate alla situazione clinica; il che, quindi, rende probabile che le stesse – qualora sussista accordo con il fiduciario – siano disattese dal medico.
Pure a rischio di essere valutate “incongrue” dal medico chiamato ad applicarle sono DAT che riportino condizioni cliniche generiche o indichino genericamente i trattamenti e gli accertamenti rifiutati (o richiesti).
Le uniche DAT, sulle quali non graverebbe il rischio della valutazione di incongruità, sarebbero quelle in cui, per le singole condizioni cliniche, sono indicati gli specifici trattamenti ed accertamenti rifiutati o accolti. Si tratta, con ogni evidenza, di una prospettiva complessa e improponibile nella pratica.
A meno che non si voglia privare di significato l’istituto delle DAT, occorre trovare una soluzione a quest’
impasse.
Prima di passare alle proposte conclusive, occorre però affrontare l’altra faccia del problema.
Le informazioni sulle conseguenze delle scelte
Come sopra riportato, secondo l’articolo 4, comma 1, l’espressione delle DAT è successiva all’acquisizione di “adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte”. Le informazioni da acquisire prima dell’espressione delle DAT non saranno mai “adeguate” se non concernenti specifici accertamenti e trattamenti correlati a specifiche condizioni cliniche.
Deve dunque esservi omogeneità fra contenuto del documento che riporta le DAT ed informazione conferita dal medico alla persona. In caso contrario, grava sulle DAT il rischio della valutazione di non adeguatezza delle informazioni mediche preventive e di un conseguente giudizio di incongruità da parte del medico che interverrà in futuro.
Il rischio è tanto più consistente quanto meno documentati sono il contenuto e gli altri requisiti dell’adeguatezza della previa informazione medica alla persona.
La legge n. 219 postula il requisito della adeguatezza delle informazioni mediche preventive ma non chiarisce a chi competa la valutazione dell’adeguatezza. Ma è facile prevedere che il medico che, intervenendo sul paziente incapace, potrà basare il proprio giudizio di congruità anche sopra l’adeguatezza delle previe informazioni mediche, che andranno dunque documentate.
Il problema pratico
Non è mia intenzione evidenziare questa problematica per rendere difficoltosa l’applicazione della recente normativa in tema di DAT. Il mio obiettivo è esattamente il contrario, quello cioè di rimuovere tutti i potenziali ostacoli alla concretizzazione del diritto di ogni persona alla persistenza della propria volontà anche dopo la perdita della capacità di autodeterminarsi.
In particolare, va evitato che le DAT abbiano un contenuto suscettibile di essere giudicato, in futuro, incongruo perché non riferito a precise condizioni cliniche o rispecchiante una volontà non valida perché non supportata da informazione medica adeguata.
È da considerare che la legge non prevede che venga dato un qualche avallo “iniziale” al contenuto delle DAT; esplicitamente, nella circolare n. 1 del 2018 del Ministero dell’Interno, riportante “Prime indicazioni operative” circa la legge n. 219, è espressamente scritto che “l’ufficiale [di stato civile] non partecipa alla redazione della disposizione né fornisce informazioni o avvisi in merito al contenuto della stessa, dovendosi limitare a verificare i presupposti della consegna – con particolare riguardo all’identità ed alla residenza del consegnante nel comune – e a riceverla”.
Il contenuto delle DAT sarà oggetto – in un imprevedibile momento del futuro – di valutazione da parte di un medico, non preventivamente identificabile, che, pur chiamato a seguire quelle dichiarazioni, potrà non rispettarle qualora le giudichi non congrue.
È da ribadire che questo medico ha potestà di disattendere, in tutto o in parte, le DAT solo “in accordo con il fiduciario”, il quale potrebbe comunque aderire alle valutazioni del medico che ritenga sussistere la palese incongruità delle DAT o la loro non corrispondenza alla condizione clinica attuale del paziente.Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, la decisione è comunque rimessa al giudice tutelare ai sensi del comma 5 dell'articolo 3.
Di fonte a tali questioni di incerta interpretazione, la persona che oggi sottoscrive il documento che reca le DAT non può sempre avere la sicurezza che esso sia stato redatto in modo tale da risultare, in futuro, agli occhi del medico che dovrà valutarne il contenuto, convincente espressione della volontà della persona adeguatamente informata.
Prospettive di soluzione
Per risolvere le incertezze, tutta l’attenzione va dedicata al medico che realizza la informazione preventiva. Ritengo che il suo ruolo vada valorizzato per i motivi che di seguito espongo.
Occorre avere ben presente che tutta la legge n. 219 si basa sulla relazione di cura, come valore preminente della prestazione professionale, punto di riferimento nelle scelte della persona e cardine, quindi, della relazione fra paziente e medico.
Anche le DAT vanno considerate come manifestazione della relazione di cura. Esse sono pertanto da intendere come espressione da un lato delle aspirazioni di cura della persona, dall’altro della responsabilità del medico, chiamato ad impegnarsi per rendere concreto il diritto del paziente ad essere reso consapevole e ad esprimere le proprie aspirazioni ed i propri desideri anche attraverso le DAT.
La legge n. 219 non definisce il concetto di cura, che tuttavia è da individuare nell’ascolto e nella presa in carico del paziente da parte del medico, che garantisce, sulla base del suo ruolo professionale, tutte le attività idonee a dare concreta ed adeguata risposta ai bisogni ed alle aspirazioni di salute della persona, nel rispetto della volontà consapevole di quest’ultima.
Ed è a questa relazione di cura che non può non ispirarsi il medico che fornisce alla persona l’informazione preliminare alle DAT. A tal fine, va costruito un dialogo in cui la persona esprime le proprie aspirazioni, le quali, se non adeguatamente riferite dal punto di vista tecnico, potranno essere meglio espresse con l’ausilio del medico, che potrà anche aiutare la persona ad identificare attività e strumentazioni invasive che intende rifiutare.
Il medico potrà inoltre illustrare le varie condizioni cliniche ed i corrispondenti eventuali trattamenti sanitari, i loro risultati prevedibili e le conseguenze della loro mancata attuazione.
Tale procedura potrà essere riportata in apposita relazione scritta, magari firmata da entrambi, persona e medico.
È pacifica l’opportunità che a questo colloquio fra persona e medico partecipi anche il fiduciario; in tal caso, anche questi potrà sottoscrivere la predetta relazione.
Logica conclusione di una siffatta procedura è che il medico prenda atto del testo delle DAT stilato dalla persona e dichiari in forma scritta che l’informazione da lui conferita è stata adeguata avendo reso il paziente consapevole di tutte le questioni connesse alle stesse DAT.
La relazione a più firme e la dichiarazione del medico sono da considerare parte integrante, come allegati, al documento che riporta le DAT.
Conclusioni
La procedura che propongo, non contemplata dalla legge n. 219, non è tuttavia in contrasto con la stessa, considerando in particolare che le DAT sono espresse in forma libera e possono contenere qualsivoglia allegato.
È indubbio che la procedura che propongo abbia aspetti di complessità organizzativa, che dovrebbe ridimensionarsi all’interno di una collaudata relazione di cura e che, in ogni caso, ha un obiettivo che ampiamente la giustifica: la procedura complessa mira infatti a risolvere i problemi che esistono in caso di DAT sottoscritte dalla persona e non ulteriormente supportate dal punto di vista documentale in relazione alla previa informazione medica, con il conseguente rischio di poter essere considerate in futuro non valide perché manifestate da persona non consapevole perché non adeguatamente informata o incongrue perché eccessivamente generiche.
La procedura che propongo si integra con le proposte che figurano nel parere del Consiglio di Stato citato in premessa.
Prof. Daniele Rodriguez
Medico legale in Padova
03 agosto 2018
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