21 AGO 2018 - Mi venne a trovare nel mio ufficio a via Barberini a Roma, dove stava per prendere vita il quindicinale di politica sanitaria Il Bisturi, che forse qualcuno di voi ricorderà. Il progetto prevedeva di trasferire nel mondo della sanità - paludato, formale, molto autoreferenziale - uno sguardo meno scontato, critico e fuori dagli schemi, fin dal formato della rivista: quattro pagine grandi in bianco e nero sullo stile del Foglio di Giuliano Ferrara, di cui Vincino era collaboratore fin dal primo numero.
Il Bisturi piacque subito a Vincino che, senza pensarci un attimo, mi disse subito di sì. Da allora abbiamo sempre collaborato, prima al Bisturi e fino a ieri con Quotidiano Sanità.
Le sue vignette non piacevano a tutti. Non è stato di quelli che la satira la fanno per piacere, ma se lo capivi e coglievi il suo sguardo tra i tratti irregolari e sfrontati, potevi innamorartene.
Della sua storia professionale e delle sue prestigiose collaborazioni e ideazioni (da Il Male degli anni '70/80 al Corriere della Sera) potete leggere oggi su tutti i giornali. Qui mi voglio limitare a ricordare il suo sguardo particolare sul nostro mondo.
Vincino con la sanità aveva un rapporto d'amore. Ne amava i medici, gli infermieri, tutti coloro che si sbattono dal mattino alla sera per prendersi cura di tutti noi. Ne amava la ricerca, la speranza di vita che veniva da un gene studiato e analizzato in alambicco. Meno i politici e i businessmen del settore verso i quali, comunque, aveva sempre uno sguardo lucido, mai prevenuto.
Da oggi Vincino non c'è più e con lui se ne va anche la nostra finestra di satira. Senza di lui non mi va più tanto di scherzare.
Ciao amico mio
Cesare Fassari