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Medicina generale, la questione non è la convenzione ma l’autorevolezza del nostro lavoro

di Enzo Bozza
28 AGO - Gentile Direttore,
una delle questioni aspramente dibattute è quella della dipendenza dal SSN dei medici di base, sostenuta da molti, in opposizione a chi vorrebbe mantenere lo status quo della convenzione, come sostenuto a spada tratta dalla FIMMG, e questi anche a costo di immolarsi sull’altare della patria con minacciate dimissioni da parte del segretario. Non ho mai creduto al valore e valenza dei gesti estremi e molto saggio è il detto del paese beato perché non ha bisogno di atti di eroismo. Ma, come capita molto spesso, le motivazioni poste sul tavolo della contrattazione non sono quelle reali e, furbescamente e con una buona dose di ipocrisia, si vuole far credere che il contratto di convenzione sia a totale beneficio dei cittadini e della categoria medica.

Nei fatti, e senza disquisizione barocche, l’organizzazione territoriale della medicina di base, non risponde se non in poche cose, alle esigenze della gente. Basta, per questo, scorrere le pagine della stampa per sapere quante lamentele siano state espresse sul “non lavoro” dei medici di base. Lavoriamo poco e male. Non si dica che il medico di base lavori solo tre ore al giorno, perché è vergognosamente falso, ma di sicuro, non arriva alle 40 ore settimanali dei medici ospedalieri. Non si dica che la figura del medico di base sia peculiare e asse portante del SSN, perché non si spiega come mai non ci sia ancora una scuola di specializzazione accademica per la medicina generale, e il suo lavoro rimane convenzionato, senza ferie, malattia e alcuna direttiva programmatica strutturata con la continuità di assistenza tra ospedale e territorio. Con questo vuoto istituzionale, si capisce bene perché i giovani laureati non scelgano la medicina generale.

Non si dica del fondamentale lavoro clinico del medico di base, perché altrimenti non si spiegherebbe tutta l’immondizia burocratica che ci viene riversata addosso da tutti gli enti pubblici, perché è risaputo che il medico di base non fa un tubo da mane a sera. E se potevo sperare che non fosse così, ne è stata triste constatazione quanto successo a me, quando un mio paziente è venuto a riferirmi che il medico di PS si era rifiutato di compilare il certificato di infortunio INAIL con le testuali parole: se lo faccia fare dal suo medico perché, tanto, non fa un tubo (il tubo è eufemistico). Questo, la dice lunga anche su un’altra innegabile verità: i colleghi ospedalieri ci considerano medici di serie B, scarti del sistema e, per questo, paria da usare come scrivani fiorentini.

Per tutto questo è fondamentale riguadagnare l’autorevolezza del nostro lavoro e rimetterlo in piedi sul piedistallo che ha sempre avuto la medicina del territorio fino a qualche ventennio fa: il lavoro clinico, prima che i vari governi e sindacati ci abbiamo trasformati nella barzelletta del medico della mutua compilatore di ricette e certificati: una specie di bidello, con tutto il rispetto per il personale non docente. Ma rimaniamo bidelli in un sistema scolastico fatiscente e decadente e divorato a grandi morsi dal privato, l’avvoltoio del portafogli. E tali resteremo, se non prossimi all’accattonaggio, perché il maggior sindacato e il sistema previdenziale temono la perdita dei propri privilegi, declamando ipocritamente che la convenzione sia la panacea di tutti i mali sorvolando su tutte le nefandezze che vediamo ormai da decenni: da quello che scrive la stampa di noi, alla fuga dei cittadini in pronto soccorso, alla comoda ignavia dei tanti che chiudono l’ambulatorio dopo tre ore di appuntamenti, (ce ne sono, abbiate fede) ai troppi disperati che sognano la pensione ad occhi aperti (ce ne sono, abbiate fede) e a tutti quei giovani medici che non credono più in questa professione. Per la gioia dell’avvoltoio privato che ci sta trasformando in tanti avidi gettonisti.

Partiamo da una rivoluzione culturale e di coscienza: lasciamo che i dinosauri del sindacato si estinguano e mettiamo al centro della contrattazione e sul piatto della bilancia la nostra vocazione professionale, crediamoci tutti e non deleghiamo ad una rappresentanza sindacale incapace di capire e tutelare il nostro lavoro al di là di ogni gattopardiano privilegio. Diciamo chiaro e tondo a qualsiasi governo che il servizio sanitario nazionale siamo noi, con la nostra faccia e le nostre mani, e per questo vogliamo il ruolo che ci spetta: medici dipendenti e riconosciuti dal SSN. Non accattoni, non avvoltoi e nemmeno Guido Tersilli, medico della mutua. Stiamo raccogliendo quanto seminato, sindacalmente parlando, ma quando si raccoglie bisogna piegarsi. Una posizione pericolosa.

Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore (BL)

28 agosto 2023
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